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27/10/2023 - La contrattazione integrativa non può riconoscere trattamenti economici non previsti dalla contrattazione nazionale

tratto da luigifadda.it

La contrattazione integrativa non può riconoscere trattamenti economici non previsti dalla contrattazione nazionale

 

Indice

Contrasto tra contrattazione integrativa e CCNL

La Corte di Cassazione, con sentenza 24807/2023, ha ribadito il già affermato principio di diritto per cui, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, “la contrattazione integrativa non può riconoscere ai dipendenti un trattamento economico ulteriore che non sia previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, unica abilitata in materia” (Cass. n. 21316/2022).

E’ stato rimarcato, quindi,  che la contrattazione integrativa non può porsi in contrasto con la contrattazione collettiva nazionale, dovendo svolgersi nelle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti da quest’ultima. In particolare, come prescritto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3 bis, deve rispettare il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 5, ed i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione ed assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance ai sensi dell’art. 45, comma 3.

L’art. 7, comma 5, citato precisa, coerentemente, che “Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese”.

A integrare la violazione di legge è sufficiente l’assenza di un collegamento tra il riconoscimento del trattamento economico aggiuntivo nella contrattazione decentrata e una coerente previsione nella contrattazione nazionale.

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Ne consegue che la contrattazione integrativa non può riconoscere ai dipendenti un trattamento economico ulteriore che non sia previsto alla contrattazione collettiva nazionale, unica abilitata in materia.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che sono nulle, per violazione dell’art. 1419 c.c., comma 2, le clausole dei contratti collettivi integrativi che – in violazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 2, 40 e 40 bis sulla contrattazione collettiva di diritto pubblico, aventi carattere inderogabile – riconoscano ai dipendenti un trattamento economico di migliore favore, comportando oneri non previsti negli strumenti di programmazione economica annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione (cfr. Cass., Sez. L, n. 14530 del 26 giugno 2014; Cass., Sez. L, n. 6715 del 10 marzo 2021; Cass., Sez. L, n. 2718 del 5 febbraio 2020).

Il trattamento economico illegittimo non va erogato

Per quanto riguarda il meccanismo di recupero della spesa indebitamente sostenuta “nell’ambito della sessione negoziale successiva”, esso pone un obbligo aggiuntivo a carico delle parti della contrattazione collettiva, che non smentisce la nullità della clausola della contrattazione decentrata stipulata in contrasto con il contratto collettivo nazionale e quindi si affianca al diritto-dovere della pubblica amministrazione di non erogare la retribuzione pattuita illegittimamente e di recuperare quanto già erogato in esecuzione della clausola nulla.

Del resto, il “recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva” comporta una collettivizzazione del danno che non può che essere ausiliaria e recessiva rispetto al doveroso recupero nei confronti di chi ha individualmente beneficiato della retribuzione indebita (nello stesso senso, v. Cass. n. 17648/2023).

Infine, la nullità parziale del contratto collettivo integrativo travolge inevitabilmente la corrispondente clausola del contratto individuale di lavoro, con la conseguenza che la pubblica amministrazione ha il diritto e il dovere di non erogare e di recuperare le somme già corrisposte ai lavoratori in forza di quella clausola. Ne’ può trovare applicazione l’articolo 2126, comma 2, c.c., in quanto la nullità non riguarda il contratto di lavoro bensì proprio e soltanto la clausola di attribuzione del beneficio (v. Cass. n. 30748/2021).

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