24/10/2023 - Il danno da mancata assunzione
Il danno da mancata assunzione
La giurisprudenza è ampiamente pacifica nel ritenere che, in caso di mancata assunzione, non può essere accordata al danneggiato l’intera somma dei compensi spettanti nel periodo di mancata assunzione. Ciò si tradurrebbe infatti in un vantaggio eccessivo per il danneggiato che, nel frattempo, avrebbe potuto e dovuto concentrare i propri sforzi verso ulteriori occasioni lavorative.
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Indice
- Danno da mancata o tardiva assunzione: va individuata l’entità dei pregiudizi
- Il lucro cessante da mancata assunzione
- La quantificazione del danno da mancata assunzione
Danno da mancata o tardiva assunzione: va individuata l’entità dei pregiudizi
Tale orientamento è stato ulteriormente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 8042 del 2 dicembre 2021, nella quale è stato in particolare affermato che: “In generale, deve ricordarsi che il danno per mancata o tardiva assunzione, derivante da una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, non può necessariamente ed automaticamente comportare una vera e propria “restitutio in integrum” (che può rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale), occorrendo invece, caso per caso, individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore (mancato) di lavoro alla stregua dell’art. 1223, cod. civ. (cfr.Cons. St., sez. V, 30 giugno 2011, n. 3934)”.
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Il lucro cessante da mancata assunzione
In questa direzione, pertanto: “il lucro cessante da mancata assunzione non può corrispondere all’intero importo degli stipendi non percepiti, in quanto ciò si tradurrebbe in un vantaggio eccessivo per l’interessato, il quale nel periodo di mancata assunzione non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative in quell’impiego, potendo rivolgerle alla cura d’ogni altro proprio interesse, sia sul piano lavorativo che del perfezionamento culturale e professionale per potere accedere ad altro impiego”.
Ed infatti: “Sussiste certamente un pregiudizio a danno dell’appellante, ma questo non può essere riconosciuto nei termini da questi richiesto, risolvendosi diversamente in un vantaggio non dovuto. Invero, nel periodo in questione, l’appellante ha goduto del tempo o dirottato le proprie energie lavorative in altri ambiti, sicché non può pretendere anche il riconoscimento di un periodo di servizio lavorativo che non ha svolto”.
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La quantificazione del danno da mancata assunzione
Come anticipato, in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, occorrendo invece caso per caso individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro.
Nel consegue che, laddove il danno non possa essere dimostrato nella sua entità, la sua liquidazione non potrà che avvenire ai sensi dell’art. 1226 c.c., ossia in via equitativa”.
Difatti, il soggetto che si assume esser leso non può pretendere di ricavare un’utilità maggiore rispetto al danno subito, né tantomeno rispetto a danni non ancora subiti, ma proiettati nel tempo futuro, tenuto conto che, lo si ribadisce, nei periodi considerati l’interessato non ha comunque prestato servizio.
Dalle statuizioni sopra riportate emerge dunque come la quantificazione del danno non debba essere rapportata all’eventuale gravità della perpetrata illegittimità ma, piuttosto, alla effettiva entità del pregiudizio subito che la parte interessata deve aver cura di precisare ulteriormente (si veda sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2011, n. 3934).