27/11/2023 - IMU - Agevolazioni ed esenzioni - Norme di stretta interpretazione ed insuscettibili di interpretazione analogica o estensiva - Sussiste
Sentenza del 21/11/2023 n. 802 - Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo Sezione/Collegio 1
Intitolazione:
IMU - Agevolazioni ed esenzioni - Norme di stretta interpretazione ed insuscettibili di interpretazione analogica o estensiva - Sussiste - L'indicazione normativa che subordina il riconoscimento dell'esenzione alla presentazione della dichiarazione, la qualifica come essenziale - Sussiste
Massima:
Come da consolidato orientamento della Suprema Corte, le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva, sicché la specifica indicazione normativa, che subordina il riconoscimento dell'esenzione alla presentazione della dichiarazione, impedisce che, in base a qualsivoglia altra circostanza e/o considerazione, si possa ritenere irrilevante la sua omissione. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi nei termini previsti dalle rispettive normative (D.P.R. n. 322 del 1998 art. 2 comma 8 bis; D.P.R. n. 600 del 1973 art. 43) non preclude tuttavia al contribuente, indipendentemente dalle modalità e dal rispetto di tali termini, di opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull'obbligazione tributaria.
Testo:
Con gravame ritualmente interposto e rassegnando le conclusioni di cui in atti, la contribuente impugnava la sentenza n. 406/22, emessa in data 08.06/07.10.2022 dalla Commissione Tributaria Provinciale di L'Aquila Sez. III, con la quale, in una alla condanna alle spese di lite, era stato respinto, il suo ricorso avverso l'avviso di accertamento IMU, relativo al periodo d'imposta 2016. A fronte di una sentenza che non aveva condiviso le doglianze opposte alla pretesa tributaria municipale, sul rilievo che, ad ostare al beneficio in questione (esenzione IMU), milita una precisa disposizione di legge che lo condiziona alla presentazione, nei prescritti termini, da parte del contribuente di una dichiarazione attestante l'attualità della natura di beni-merce dei cespiti che, appunto, si intendono sottrarre all'imposizione locale, l'appellante, nei debiti termini gravatori, ripercorsi i fatti sostanziali e processuali posti a base del mezzo, ed a rimarcare l'erroneità di quanto statuito, articolava le seguenti censure: a- la statuizione non avrebbe tenuto nel debito conto che la riconosciuta imponibilità contravverrebbe con principi di rango financo costituzionali, atteso che, in fattispecie, non sarebbe rispettato il principio di effettività della capacità contributiva (art. 53 Cost.), il principio solidaristico (art. 2 Cost.), il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), il principio di imparzialità, correttezza e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), il principio di tutela giurisdizionale e di difesa (artt. 24 e 113 Cost.), e ciò perché detta imposizione contravverrebbe alla necessaria proporzione tra capacità contributiva ed obbligazione impositiva, sì da renderla iniqua; b- nel caso in esame, giusta la normativa di riferimento, ricorrerebbero tutti e tre gli elementi costitutivi dell'esenzione (1-immobile costruito/ristrutturato da impresa costruttrice; 2-attualità della destinazione dell'immobile alla vendita e, dunque, immobile classificabile quale bene-merce, iscritto in bilancio sotto la voce "rimanenze"; 3-immobile non locato), sicché i cespiti in questione, soggetti, appunto come beni-merce, al reddito d'impresa (IRES) devono restare sottratti alla ratio del regimne impositivo previsto dall'IMU (reddito fondiario); c- la prevista dichiarazione, a pena di decadenza, se può valere in sede amministrativa, non può invece ostare al riconoscimento, in sede giudiziaria, del beneficio in questione, ove qui venga dimostrata la sussistenza dei suoi elementi costitutivi, come altresì riconosciuto dalla Suprema Corte a SS.UU. nell'arreston. 13378/2016, altresì considerato che alla occorsa omissione, ed in sede amministrativa, la contribuente avrebbe potuto rimediare solo attraverso il ravvedimento operoso entro 90 giorni dalla scadenza per la presentazione della dichiarazione, ed ulteriormente considerato che, in forza della valenza ultrattiva della dichiarazione, lo stato di fatto dei detti beni era già stato, ed in precedenza, partecipato all'ente comunale e tale era rimasto come potevasi evincere dal bilancio 2016 della contribuente; d- la statuizione non avrebbe poi tenuto in considerazione che la successiva normativa in materia (L. 160/2019) non ha più previsto alcuna forma di decadenza dal beneficio a causa della omessa dichiarazione, a cui restavano collegate le sole sanzioni, così come non avrebbe tenuto nel debito conto che nessuno può essere sottoposto a sanzioni che una legge posteriore non ritiene più comminabili. L'ufficio si costituiva irritualmente in giudizio, depositando memoria e documenti, non solo oltre il termine (in effetti non perentorio) di cui all'art. 23 D.Lgs. 546/92, ma addirittura oltre il termine (di sbarramento) di cui all'art. 32 D.gs. cit. che, appunto, non consente più alcuna produzione, né di difese, né documentale. Il ricorso veniva trattenuto a decisione all'esito della pubblica udienza del 14.11.2023, ove in limine partecipava alla discussione anche il difensore dell'appellato. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello non è meritevole di accoglimento per gli appresso spiegati motivi. Va premesso che le doglianze evocanti, in termini del tutto generici, pretese violazioni di precetti di rango costituzionali, nella pratica applicazione delle norme di riferimento, non possono essere scrutinate, atteso che l'appellante, al di là di meri richiami, non ha sufficientemente esplicitato la ragione per cui le anzidette norme di riferimento confliggerebbero con le altrettanto richiamate norme costituzionali, sì da porre questo giudice in condizione, ritenutane eventualmente la rilevanza ai fini del decidere e la non manifesta infondatezza, di rimettere la questione al giudice delle Leggi, né ha esplicitato come le richiamate norme costituzionali sarebbero, nel caso di specie, di immediata applicazione, sì da prevalere sulle norme ordinarie di riferimento, né ha esplicitato come le stesse dovessero diversamente "orientare" la costituzionale interpretazione della normativa ordinaria (in particolare, la norma che condiziona il beneficio per cui è causa alla presentazione della dichiarazione annuale relativa alla sussistenza dei beni-merce). Va altresì premesso che la doglianza, secondo cui la sopravvenuta normativa in materia (che ha abolito l'obbligo della dichiarazione annuale ad oggetto i beni-merce) dovrebbe applicarsi anche al caso in scrutino, ancor più per via del fatto che non può essere sanzionata una condotta non più prevista come censurabile dall'Ordinamento, non può essere divisata, atteso che, mentre quella di cui qui si discute (i.e. perdita del beneficio all'esenzione) non può essere affatto ritenuta una sanzione, la normativa da applicarsi, ratione temporis, è quella appunto applicata e non quella sopravvenuta (Finanziaria 2020), in vigore solo dal 01.01.2020 e per nulla abrogativa di quella precedente. Tanto ritenuto con riferimento alle doglianze sub -a e sub -d, relativamente alle restanti devolute questioni, in punto di merito, non resta che osservare, sul consolidato orientamento della Suprema Corte, che le norme che stabiliscono esenzioni (come nel caso di specie) o agevolazioni sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva, sicché la specifica indicazione normativa, che subordina il riconoscimento dell'esenzione alla presentazione della dichiarazione, impedisce che, in base a qualsivoglia altra circostanza e/o considerazione, si possa ritenere irrilevante la sua omissione. Né a tal riguardo giova eccepire che diversamente opinando si incorrerebbe in una sovrapposizione di imposizione (IRES+IMU), non foss'altro perché, sino alla loro vendita, i beni-merce costituiscono un costo e non un reddito. Né a tal riguardo giova richiamare l'arresto della Suprema Corte SS.UU. 13378/16, una volta che si è avuto ben a mente il principio di diritto ivi predicato e di seguito qui riportato: "La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'Indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta odi un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'Imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l'amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all'art. 38 del dpr 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8 bis. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, e dall'istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sul'obbligazione tributaria.", atteso che, nel caso in scrutinio, la maggiore pretesa tributaria non consegue ad errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione (non presentata) ed incidenti sull'obbligazione tributaria. La irrituale costituzione, salvo che la partecipazone in udienza, della parte virtualmente vittoriosa e la particolarità delle tematiche affrontate inducono all'integrale compensazione delle spese del grado. P.Q.M. la Corte, definitivamente pronunciando sull'interposto appello, così decide: rigetta l'appello; spese interamente compensate tra le parti.