02/11/2023 - In lode al sorteggio come criterio per ridurre il numero degli appaltatori da invitare
In lode al sorteggio come criterio per ridurre il numero degli appaltatori da invitare
Ci siamo già espressi in passato in termini molto negativi sulle norme del d.lgs 36/2023 poste ad impedire l’utilizzo dell’estrazione a sorte come sistema di individuazione delle imprese da invitare nel caso delle procedure negoziate sottosoglia.
Il codice dei contratti va inspiegabilmente e frontalmente contro le stesse indicazioni della UE. E’ da ribadire che la Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici» (2006/C 179/02) consente espressamente il sorteggio come strumento ordinario e perfettamente normale “2.2.2 Limitazione del numero di candidati invitati a presentare un’offerta.
Le amministrazioni aggiudicatrici hanno la facoltà di limitare il numero di candidati a un livello adeguato, a condizione di farlo in modo trasparente e non discriminatorio. Possono ad esempio applicare criteri oggettivi, come l’esperienza dei candidati nel settore in questione, le dimensioni e l’infrastruttura delle loro attività, la loro capacità tecnica e professionale o altri fattori. Possono anche optare per una estrazione a sorte, sia come unico meccanismo di selezione, sia in combinazione con altri criteri. In ogni caso, il numero dei candidati iscritti sull’elenco ristretto deve rispondere alla necessità di garantire una sufficiente concorrenza”.
Cosa abbia spinto i redattori del codice a porsi in così chiaro contrasto con le indicazioni della UE, apertamente favorevoli allo strumento del sorteggio è difficile comprendere sino in fondo.
Quel che appare certo è che detti redattori si sono auto avviluppati nelle catene della fissazione di principi astratti ed elaborati in provetta, ma ben lontani dalla realtà applicativa concreta, quali in particolare quello della “fiducia”, enunciato dall’articolo 2, comma 2, come quel principio che “favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.
Si tratta del chiaro intento di non subordinare l’esercizio della discrezionalità, sottostante all’autonomia discrezionale, a rigide limitazioni normative.
Tuttavia, il principio della “fiducia” nell’esercizio corretto sul piano tecnico, adeguato ai fini del conseguimento del risultato e, infine, legittimo ai fini del rispetto del principio (sovrastante) di legalità si correla strettamente al carico di responsabilità. Il principio della fiducia dovrebbe avere come destinatario il giudice, al quale dovrebbe risultare inibito agire o condannare il funzionario pubblico sulla base di una valutazione di merito della discrezionalità esercitata. Insomma, a meno che non si rilevi un chiaro errore tecnico e/o una scelta da cui discenda il mancato raggiungimento del risultato e/o l’adozione un atto illegittimo e, comunque, un complesso operativo tale da arrecare danno all’erario o a terzi, il giudice non dovrebbe poter agire nei confronti del funzionario sulla considerazione che le scelte gestionali possibili avrebbero potuto essere altre, magari ritenute preferibili.
Invece, il principio della “fiducia” viene sostanzialmente travisato e letto come autorizzazione al funzionario pubblico ad agire con esercizio della discrezionalità talmente pieno ed illimitato da sfociare nel sostanziale arbitrio. E da principio che dovrebbe riparare da responsabilità connesse a formalismi o da valutazioni di merito, passa – nei fatti – a fondamento, invece, di un potere quasi illimitato di esercitare scelte pienamente discrezionali di natura operativa, comprendenti persino quelle che incidono sulla concorrenza e la funzionalità stessa delle procedure selettive.
La “fiducia”, quindi, giustifica l’attribuzione al RUP del potere di scegliere quali operatori economici invitare in una procedura negoziata, sulla base di proprie valutazioni discrezionali; anzi, si giunge sostanzialmente ad imporre al RUP di attivare questa discrezionalità “illimitata” nella scelta degli operatori economici da invitare.
Infatti, l’articolo 50, comma 2, del d.lgs 36/2023, con norma più volte ribadita negli allegati al codice dispone: “Per la selezione degli operatori da invitare alle procedure negoziate, le stazioni appaltanti non possono utilizzare il sorteggio o altro metodo di estrazione casuale dei nominativi, se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate, nei casi in cui non risulti praticabile nessun altro metodo di selezione degli operatori”.
La ratio di tale disposizione qual è? Nella relazione illustrativa, non è dato reperirla, perché aggancia il “divieto” di sorteggio al criterio della legge delega: “fermo restando il divieto di sorteggio o di altri metodi di estrazione casuale dei nominativi, se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate, come espressamente previsto dall’art. 1 comma 2 lettera f) della legge n. 78 del 2022”.
Quali ragioni abbiano spinto il Legislatore a prevedere tale divieto (nella realtà non assoluto, visto che ricorrendo alcuni presupposti, il sorteggio si può utilizzare) non si comprende. Non certamente l’ordinamento generale della UE, che al contrario è espressamente favorevole al sorteggio.
In effetti, i soggetti che stanno provando ad approfondire i temi posti dal nuovo codice, provano a dare razionalità a quanto appare abbastanza lontano da essa. Nel caso specifico del “divieto” di sorteggio, il parere del 2143 del Servizio di consulenza del Mit, osservando che il codice pone detto divieto, si limita a sostenere apoditticamente (o, meglio, trovando nella legge il tautologico motivo di quanto conclude) che occorra “individuare i criteri oggettivi per la selezione delle imprese, ed il ricorso al sorteggio non è più consentito se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate”.
Qui, però, ci troviamo innanzi ad un evidente salto logico. Se i criteri per selezionare le ditte da invitare debbono essere “oggettivi”, allora non sono discrezionali. Infatti, un criterio è oggettivo se pone un metodo di applicazione che porti comunque sempre e solo ad un certo risultato o esito, chiunque sia il soggetto che applichi tale criterio.
Pertanto, un criterio è oggettivo laddove conduca necessariamente ad un certo inevitabile esito; il criterio è, invece, discrezionale se l’esito finale non sia scontato, ma frutto di una ponderazione di valori, interessi, grandezze, costi, tempi e altri metri di valutazione, personalmente effettuata da uno specifico soggetto e potenzialmente, quindi, capace di dare esiti anche diversi pur in situazioni analoghe o del tutto uguali.
L’oggettività, dunque, non sta affatto in un rapporto diretto con la “fiducia”. L’unica fiducia da riporre, quando si applicano criteri oggettivi, sta nella capacità del soggetto agente di utilizzare senza errori il percorso logico, l’algoritmo o, insomma, il metodo oggettivo dato.
Ora, è perfettamente chiaro come la riduzione del numero delle imprese da invitare in procedure negoziate sia operazione che esponga ad evidentissimi rischi. Ovviamente, si tratta di rischi connessi ad intenti non commendevoli e ai limiti del codice penale: ma, la gestione degli appalti è qualificata come materia ad elevato rischio di corruzione dall’articolo 1, comma 16, della legge 120/2012. Non si può certo far finta, allora, che gli appalti siano esenti da rischi e, siccome occorre mappare i rischi, la conseguenza è agire per ridurre la probabilità che si concretizzino in atti lesivi della correttezza dell’operato amministrativo.
I rischi retrostanti una selezione tra operatori economici che abbiano manifestato interesse ad essere invitati in una procedura negoziata sono molteplici: l’esistenza di cordate tra operatori, volte ad escludere gli altri concorrenti e a condizionare gli affidamenti; pressioni di un certo operatore economico, rivolte agli amministratori o ai funzionari, per essere comunque inserito nella rosa finale; tentativi corruttivi espliciti per escludere alcuni operatori o includere altri.
I RUP debbono essere agevolati nel rintuzzare tentativi di incidenza sulle loro scelte interni o esterni; allo stesso tempo, i medesimi RUP debbono essere disincentivati o del tutto impediti dal risultare essi stessi terminali di azioni poco commendevoli.
Criteri oggettivi per l’individuazione dei contraenti da selezionare, in astratto potrebbero essere efficaci, ma si pongono due problemi:
- tali criteri pare evidente possano incidere in via largamente prevalente sulla qualificazione tecnica: fatturato, precedenti esperienze, referenze, sedi, organizzazione; ma, allora, a cosa serve il sistema di qualificazione Soa?
- Le “pressioni” e “ingerenze” da chiunque provengano, possono estendersi anche ad indurre, convincere o costringere l’operatore ad applicare i criteri “oggettivi” in modo poco oggettivo.
Il sorteggio è per sua stessa natura uno strumento che depotenzia notevolmente i rischi suddetti, a meno che ovviamente pressioni e ingerenze non giungano fino all’alterazione del sorteggio stesso, operazione comunque molto più complessa che non indirizzare scelte “discrezionali”.
Non a caso, l’Anac, con la delibera n. 53 del 1 febbraio 2017 ebbe a sostenere: “Con riferimento poi alla possibilità prevista di ricorrere al sorteggio pubblico, nel caso di superamento del limite massimo previsto di numero di concorrenti, si ritiene che siffatta scelta appare coerente con la tipologia di procedura prescelta (una procedura negoziata) posto che detta procedura si caratterizza per la speditezza, economicità ed informalità che altrimenti ne verrebbero frustrate. Risulta, infatti che mediante relativo avviso contenente data e luogo del sorteggio, reso noto con idonea forma di pubblicità (pubblicato sul portale dell’ANAS, almeno 48 ore prima), l’estrazione dei concorrenti da invitare avvenga in pubblica seduta, modalità, questa, che garantisce più di ogni altra l’imparzialità in quanto elimina l’intervento discrezionale da parte della stazione appaltante”.
Anche i criteri “oggettivi”, come dimostrato prima, eliminano la “discrezionalità”, ma rendono l’operazione valutativa molto più permeabile ai rischi corruttivi di un sorteggio ben condotto, il cui effetto certo è spezzare ogni trama, non garantire alcun cartello, non permettere l’attuazione di accordi corruttivi.
Dunque, alla luce del diritto comunitario, delle regole sull’anticorruzione, della “tempestività” e dell’oggettività, al sorteggio vanno solo riservati lodi e dovrebbe essere considerato, come già l’Anac ebbe a sottolineare, lo strumento privilegiato della riduzione delle ditte da invitare.
Le norme del codice dei contratti contrarie andrebbero semplicemente cancellate. In ogni caso, la comunicazione della Commissione UE fornisce basi solide per attivare comunque il sorteggio, specie come misura di riduzione dei rischi di corruzione, magari esplicitata nei piani triennali.