23/03/2023 - L’insostenibilità della tesi delle progressioni verticali straordinarie che vanno oltre il 50% del complesso delle assunzioni.
Pensavamo, evidentemente a torto, che il CFL 208 dell’Aran potesse far constatare anche ai propugnatori ad ogni costo della tesi secondo la quale le progressioni verticali “straordinarie” previste dal Ccnl debbono stare entro la soglia del 50% del complesso delle assunzioni.
Così non è: i propugnatori “ad ogni costo”, mantenendo ammirevole fede al preconcetto, insistono nel vedere nel parere dell’Arn quel che non è scritto e che, se anche lo fosse, non potrebbe in ogni caso essere considerato accettabile e corretto.
Comunque, la chiave di lettura del CFL 208 proposto dai teorici delle progressioni verticali “contrattuali” in deroga al vincolo del 50% si fonderebbe su una lettura “a contrario” del parere dell’Aran.
Esso, infatti, nella parte finale relativa agli elementi comuni, evidenzia che “occorre garantire che una percentuale almeno pari al 50% del personale reclutato con le ordinarie facoltà assunzionali sia destinata all’accesso dall’esterno, in base a quanto previsto dall’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001, in coerenza con i principi, anche di rango costituzionale, che regolano l’accesso alla PA”.
Da qui, si propone di trarre la conclusione derivante dal seguente sillogismo:
1) il parere afferma la necessità che il personale da reclutare con concorso pubblico sia assunto attingendo alle ordinarie facoltà assunzionali;
2) sicché, la coerenza coi principi anche di rango costituzionale che regolano l’accesso alla PA, si applicherebbe solo alle assunzioni finanziariamente imputate alle ordinarie facoltà assunzionali;
3) pertanto, il personale assunto mediante le progressioni verticali di cui all’articolo 13, commi 6 e seguenti, del Ccnl 16.11.2022, potrebbe essere assunto oltre il tetto del 50%.
Il ragionamento, in termini operativi, è dunque il seguente. Poniamo per comodità che il costo lordo di un dipendente ammonti a 38.000 euro e che un certo ente disponga di facoltà assunzionali per 152.000 euro: il che gli consente di effettuare 4 assunzioni dall’esterno.
Poniamo, ancora, che il monte salari 2018 di questo ente, che abbia 20 dipendenti, ammonti a 760.000 euro: lo 0,55%, quindi, restituisce una somma di euro 4180 destinabili a progressioni verticali “contrattuali”. Il costo di una progressione verticale, connessa al differenziale, è di circa 2400 euro.
Poniamo, ancora, che l’ente decida di avvalersi della progressione verticale prevista dal Ccnl 16.11.2022.
Infine, poniamo che nella programmazione dei fabbisogni l’ente decida di coprire 6 posti, tutti nell’area Funzionari ed Elevate qualifiche, alcuni con concorso, altri con progressioni verticali.
Ora, l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, che regola le progressioni verticali a regime, le consente “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno”.
Non pare dubbio che le “posizioni disponibili” siano quelle determinate con la programmazione dei fabbisogni, sede nella quale quell’ente ha, sempre si supponga, previsto di coprire i 6 posti visti prima.
Applicando quanto stabilisce la norma, l’ente potrebbe fare non più di 3 progressioni verticali ed almeno 3 concorsi esterni.
La spesa per progressioni verticali ammonterebbe a poco più di 7.600 euro (il differenziale da Istruttori a Funzionari E/Q è di poco superiore a 2.500 euro); la spesa per assunzioni sarebbe di euro 114.000. L’ente consumerebbe, dunque, complessivamente 121.600 euro: spenderebbe, dunque, ben meno delle facoltà assunzionali che ammontano a 152.000 (ordinarie) + 4.180 euro.
L’utilizzo dello 0,55%, in questo caso, servirebbe sostanzialmente, se la spesa per le progressioni verticali contrattuali fosse imputata allo 0,55%, a fa risparmiare facoltà assunzionali che potrebbero tornare comode per abbassare il rapporto spesa di personale/media triennale delle entrate correnti al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità e permettere, l’anno successivo, di aumentare la virtuosità dell’ente e programmare ancora più assunzioni.
Se, invece, si applichi la teoria dello sforamento del tetto di spesa, quell’ente potrebbe affermare che potrebbe effettuare non 3, ma 4 progressioni verticali, perché applicando il tetto del 50% alle sole facoltà assunzionali, assumerebbe per concorso non 3, ma 2 dipendenti. Le progressioni verticali, dunque, non sarebbero il 50% delle “posizioni disponibili”, bensì il 66,6%.
L’ente, allora, spenderebbe 76.000 euro delle facoltà assunzionali ordinarie per assumere per concorso; poi, spenderebbe 2.500*4= 10.000 euro per le 4 progressioni verticali, dei quali 4.180 finanziati con lo 0,55% del monte salari del 2018 e la restante parte sempre con le risorse assunzionali (il comma 8 dell’articolo 13 del Ccnl 16.11.2022 consente di finanziare le progressioni verticali straordinarie “anche” con lo 0,55%, non esclusivamente con esso).
L’ente conseguirebbe un risparmio ancora ulteriore sulle facoltà assunzionali, ma avrebbe violato palesemente la previsione dell’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, per altro avendo un saldo netto di dipendenti a tempo indeterminato inferiore a quello che avrebbe utilizzando la selezione per concorso.
Complessivamente, quindi, quell’ente avrebbe sì valorizzato dipendenti interni, ma non avrebbe soddisfatto del tutto esigenze di crescita quantitativa del personale, affrontando il rischio di una non soddisfacente crescita qualitativa: la progressione verticale da contratto, infatti, non solo, come la progressione verticale ordinaria, è riservata a personale potenzialmente anziano e certo non dotato di competenze ed esperienze nuove ed innovative, ma, se la si adotta, è estesa anche a personale non dotato del titolo di studio che sarebbe necessario per l’accesso dall’esterno. Attendersi che poi simili progressioni verticali siano solo una soddisfazione per sindacati e lavoratori interessati, con poco frutto per l’ente e l’interesse pubblico in generale non è poi così pessimistico o irrealistico.
Ma, nella realtà, entrambi gli esempi proposti evidenziano che un utilizzo dello 0,55% del monte salari 2018 fuorviante. Nel primo caso, perché comunque si risparmiano risorse assunzionali; nel secondo, perché si dà corso ad una palese violazione della legge.
A ben vedere l’utilità della norma contrattuale consiste nel consentire a quell’ente di effettuare, in una programmazione non di 6, ma 5 posizioni da coprire, 4 assunzioni consumando interamente le facoltà assunzionali e almeno 1 progressione verticale, utilizzando lo 0,55%.
La norma contrattuale, insomma, permette di svolgere quelle procedure di progressione verticale marginali, che magari l’utilizzo pieno delle facoltà assunzionali destinate a concorsi non consentirebbe: è lì la vera utilità della previsione, che la concilia col vincolo normativo del tetto del 50% delle posizioni da coprire.
In ogni caso, né il parere Aran, né il Ccnl possono essere considerati dotati della forza giuridica di legittimare lo sforamento del tetto del 50% delle progressioni verticali in rapporto alle assunzioni per concorso.
Il parere Aran, del resto, nella parte in cui evidenzia i tratti comuni tra le due procedure, scrive: “Si ricorda che l’utilizzo delle facoltà assunzionali per le progressioni tra le aree, sia per le procedure a regime che per le procedure effettuate durante la fase transitoria, è possibile nella misura massima del 50% del fabbisogno“. Non è evidentemente possibile intendere da questa chiarissima affermazione come legittimante a contrariis o per implicito che le progressioni verticali possano essere in numero maggiore del 50% delle assunzioni. Di seguito, poi, il parere prosegue affermando che“Le risorse di cui all’art. 1, comma 612, della legge n. 234 del 30 dicembre 2021, in quanto risorse attribuite alla contrattazione collettiva il cui utilizzo è limitato alla sola fase transitoria di prima applicazione del nuovo sistema di classificazione ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, possono invece essere destinate integralmente alle progressioni tra le aree”; qui semplicemente si ricorda che lo 0,55% del monte salari 2018 può essere utilizzato solo per finanziare le progressioni contrattuali. Il che era già perfettamente evidente dal tenore del comma 8 dell’articolo 13 del Ccnl 16.11.2022.
Successivamente, tra gli elementi comuni tra progressioni a regime e progressioni verticali, il parere chiude: “occorre garantire che una percentuale almeno pari al 50% del personale reclutato con le ordinarie facoltà assunzionali sia destinata all’accesso dall’esterno, in base a quanto previsto dall’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001, in coerenza con i principi, anche di rango costituzionale, che regolano l’accesso alla PA“.
Se letto da solo, questo passaggio potrebbe dare la sensazione che le progressioni verticali contrattuali, in quanto finanziate non dalle risorse assunzionali, possano essere applicate come nel secondo esempio di cui sopra e quindi si aggiungano al 50% massimo previsto dalla legge: ma, questa conclusione, appartenendo ad un medesimo parere, non può che essere coordinata con la prima, ove si afferma che il tetto del 50% computato sui fabbisogni vale sia per progressioni a regime, sia per quelle contrattuali.
Il fabbisogno ha due nature. Una finanziaria: specifica quante risorse destinare alle assunzioni (ovviamente, alla luce del calcolo delle facoltà assunzionali in base all’articolo 33 del d.l. 34/2019); l’altra numerica e qualitativa: indica quanti e quali (per profilo e aree) materialmente coprire, utilizzando le risorse finanziarie individuate.
Il tetto del 50% non si calcola sulle risorse finanziarie. Anche in base agli esempi di cui sopra, è chiaro che se le facoltà assunzionali ammontano a 1000 in ogni caso le progressioni verticali costano molto meno delle assunzioni dall’esterno, sicchè se si guardasse il solo dato finanziario gli enti potrebbero fare sempre e comunque molte più progressioni rispetto alle assunzioni. Se, poi, si aggiunge al 1000 il quantum computato sullo 0,55% del monte salari 2018, la spesa complessiva si amplia e il 50% finanziario non si computa su 1000, bensì su 1000+X. Ma, ai fini del rispetto della previsione dell’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, che, lo si ricorda, legifica decine di pronunce della Corte costituzionale con le quali la Consulta considera costituzionalmente accettabili procedure selettive riservate a personale interno purchè in misura non superiore al 50% del totale dei posti da coprire, conta la programmazione dei posti da coprire: se i posti programmati sono 10, comunque le progressioni verticali possibili non potranno mai essere più di 5, anche se le risorse finanziarie lo potrebbero consentire.
Non è certo ammissibile da un lato attribuire al parere dell’Aran un significato che esso di certo non ha, cioè affermare che le progressioni verticali contrattuali possano andare oltre il limite del 50% del totale delle assunzioni previste dal fabbisogno.
Ma, anche ammettendo che il parere Aran possa essere letto in questo modo, allora esso andrebbe certamente disapplicato. Infatti, il parere dell’Aran sarebbe contrario alla legge ed in contrasto con la posizione consolidata della Corte costituzionale e non risulta che i pareri Aran siano nè fonte di diritto, nè, anche lo fossero, di rango pari o superiore alla legge. Sicchè, comunque, la chiave di lettura secondo la quale il parere Aran ammetta lo sforamento del 50% andrebbe in ogni caso rigettata.
Interpretazioni secondo le quali una norma contrattuale, si ribadisce contrattuale, possa essere applicata nel senso di estendere il numero delle progressioni riservate all’interno sono in chiara disarmonia con qualsiasi lettura costituzionalmente orientata dell’ordinamento. Afferma la Corte costituzionale nella sentenza 1/1999: “Chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici, questa Corte ha ripetutamente sottolineato la relazione intercorrente tra l’art. 97 e gli artt. 51 e 98 Cost., osservando come in un ordinamento democratico – che affida all’azione dell’amministrazione, separata nettamente da quella di governo (politica per definizione), il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento – il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d’imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione. Valore, quest’ultimo, in relazione al quale il principio posto dall’art. 97 della Costituzione impone che l’esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa alle condizioni personali dei vari concorrenti (cfr. sentenze n. 333 del 1993 e n. 453 del 1990). Deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione (cfr., per tutte, sentenza n. 477 del 1995) o di attuare altri princìpi di rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi. A codesto regime non si è ritenuto sottratto nemmeno il passaggio ad una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema, come quello oggi in vigore, che non prevede carriere, o le prevede entro ristretti limiti, nell’ambito dell’amministrazione: in tale passaggio è stata, infatti, ravvisata una forma di reclutamento che esige anch’essa un selettivo accertamento delle attitudini (cfr. sentenze n. 320 del 1997, nn. 134 e 528 del 1995, n. 314 del 1994, n. 487 del 1991 e n. 161 del 1990). In particolare nella sentenza n. 314 del 1994, viene osservato come l’abnorme diffusione del concorso interno per titoli nel passaggio da un livello all’altro produce una distorsione che, oltre a reintrodurre surrettiziamente il modello delle carriere in una nuova disciplina che ne presuppone invece il superamento, si riflette negativamente anche sul buon andamento della pubblica amministrazione”.
Aggiunge la sentenza 373/2002: “In realtà “il pubblico concorso in quanto metodo che offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci” è “un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi ragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell’amministrazione” (sentenza n. 194 del 2002). L’accesso al concorso può, ovviamente, essere condizionato al possesso di requisiti fissati in base alla legge, e non è da escludere a priori che possa stabilirsi anche il possesso di una precedente esperienza nell’ambito dell’amministrazione, ove ragionevolmente configurabile quale requisito professionale. Ma quando ciò non si verifichi, la sostituzione al concorso di meccanismi selettivi esclusivamente interni ad un dato apparato amministrativo non si giustifica rispetto ai citati parametri costituzionali (sentenza n. 1 del 1999). In particolare questi principi sono stati ritenuti violati nel caso di riserva di tutti i posti disponibili di una data qualifica ai dipendenti in servizio ad una certa data, pur se non appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore (sentenza n. 1 del 1999); mentre la riserva limitata al 50 dei posti messi a concorso, in favore del personale della qualifica immediatamente inferiore con almeno cinque anni di servizio, è stata ritenuta non irragionevole e non lesiva del ricordato precetto costituzionale (sentenza n. 234 del 1994)”.
Precisa la sentenza 90/2012: “Le invocate particolari situazioni, legate alla funzionalità della Regione, che legittimerebbero la censurata normativa, si risolvono in astratte affermazioni di intenti, in parte contraddittorie e, comunque, non in grado di giustificare una normativa lesiva del buon andamento dell’amministrazione. Infatti l’attivazione solo delle procedure riservate agli interni (le quali possono giungere fino al limite del cinquanta per cento dei posti «coperti attraverso prove selettive pubbliche nel triennio precedente»), congiuntamente alla mancata effettuazione dei concorsi per i candidati esterni, determina la violazione della norma interposta, rappresentata dal comma 1-bis dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede «la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso». Né può pensarsi ad un sistema che utilizzi, nel conteggio della percentuale numerica valevole per le procedure selettive interne, i posti messi a concorso pubblico nel passato, dato che la percentuale massima del cinquanta per cento dei posti messi a concorso riservabile al personale interno, di cui alla citata norma interposta, deve intendersi, per non confliggere con il dettato degli artt. 3 e 97 Cost., riferibile a concorsi che la prevedano nel momento genetico, non essendo possibile che per il suo calcolo si prendano in considerazione, retroattivamente, concorsi già svolti. Qualora, poi, unitamente alle procedure riservate agli interni fossero banditi concorsi aperti a candidati esterni, sarebbe smentito il presupposto di partenza, secondo cui le limitazioni di bilancio non renderebbero possibile l’assunzione di nuovo personale e, comunque, si attiverebbe una procedura non disciplinata dalla normativa in questione”.
Orbene, poiché l’articolo 52, comma 1-bis, anche nella sua formulazione antecedente alla novella apportata dal d.l. 80/2021 ha legificato le chiarissime indicazioni della Consulta imponendo alle selezioni non pubbliche e riservate agli interni delle PA un tetto non superiore al 50% del reclutamento complessivo, non è reperibile in nessuna fonte dell’ordinamento nessuna norma che legittimi il Ccnl, né tanto meno un parere Aran se letto in modo orientato in tal senso, a sforare quel tetto.
E’ da ricordare che nell’ordinamento, invece, si reperiscono questi principi e fonti:
- una fittissima quantità di decisioni della Consulta, come quelle citate, tutte volte a fissare la soglia delle selezioni riservate all’interne entro una soglia di ragionevolezza, non superiore al 50% del totale dei reclutamenti;
- il già citato articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, che attua proprio il dettato della Consulta e dispone in modo inderogabile il tetto del 50%;
- l’articolo 13, comma 8, del Ccnl 16.11.2022 considera lo 0,55% solo come fonte di finanziamento che si aggiunge “anche” alle altre risorse disponibili, cioè ovviamente solo quelle assunzionali;
- il principio di gerarchia delle fonti che impedisce alle leggi di violare la costituzione, impedimento valevole ovviamente ancor più per i contratti collettivi;
- la nullità dei contratti che vìolino le norme imperative di legge, disposta dagli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, che per altro determinano l’applicazione obbligatoria ed automatica della norma violata;
- l’articolo 2, comma 1, primo periodo d.lgs 165/2001 che qualifica le disposizioni del medesimo d.lgs 165/2001 come norme imperative, sancendo quindi la piena applicabilità delle disposizioni del codice civile citate prima.
Questo complesso normativo, solidissimo e non contraddittorio, impedisce radicalmente ad una norma del Ccnl di poter esplicare l’effetto di sforare il limite del 50% alle progressioni verticali; e non può esservi parere di nessun soggetto, Aran o chiunque altro, che tenga nel provare a contrastare con quell’impianto
Oltre tutto, occorre anche evidenziare la più che dubbia liceità stessa dell’articolo 13, comma 6, del Ccnl 16.11.2022. Infatti, nel disciplinare la progressione verticale “straordinaria”, tale norma si interessa della materia dell’accesso agli impieghi pubblici. In tal modo, quindi, le parti hanno violato il divieto posto alla contrattazione nazionale collettiva di disciplinare le progressioni verticali, enunciato dall’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, laddove considera come inibite alla contrattazione le materie elencate dall’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992, che al numero 4) evidenzia tra dette materie “i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro”. A ben vedere, dunque, il Ccnl 16.11.2022 nemmeno poteva disciplinare le progressioni verticali: immaginare che possa addirittura persino consentire pure oltre i limiti previsti da norma imperativa di legge, applicazione diretta delle consolidate pronunce della Consulta, è davvero andare oltre qualsiasi accettabile regola dell’interpretazione: è solo velleità e caos.