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20/07/2023 - Possibilità per la P.A. di desumere da elementi di fatto la non veridicità delle dichiarazioni rilasciate per ottenere un titolo edilizio. Pronuncia del Consiglio di Stato.

Tratto da: ildirittoamminiostrativo.it

Tanto premesso, il Collegio deve rilevare, in primo luogo, che, diversamente da quanto rappresentato dal giudice di prime cure, non si ravvisa nel provvedimento impugnato alcuna perplessità del Comune in ordine alla esistenza del deposito.

Le ragioni poste alla base del provvedimento di autotutela concernono la discrasia tra la consistenza plano volumetrica del locale deposito dichiarata nella perizia giurata (allegata alla d.i.a.) e quella effettivamente esistente, per come desumibile dalla documentazione acquisita dalla amministrazione in sede procedimentale e in base alle differenti tecniche costruttive risultanti ictu oculi dalla documentazione fotografica.

A supporto di questa discrasia, il dirigente comunale ha evidenziato che “….la precedente struttura del locale deposito risultava in pietra a secco e il successivo ampliamento (di cui non consta un titolo edilizio, neppure richiamati dalla parte) risulta eseguito con parametri murari recenti (blocchi in cemento vibro-compresso con copertura precaria in lamiera grecata, semplicemente poggiata sui muri esterni e così mantenuta da semplici pietre come consta dai rilievi in loco agli atti del fascicolo….”.

Questi elementi di fatto, che non sono efficacemente contestati dalla parte appellata, hanno indotto l’amministrazione comunale a ritenere, con motivazione immune dalle dedotte censure, che la parte istante sia incorsa in una “non veritiera rappresentazione delle consistenze plano-volumetriche del locale deposito del quale è stata utilizzata la entità volumetrica ai sensi dell’art. 4 della LR 14/2009 e che si è concretizzata una palese violazione ai sensi degli artt. 21-22 del TUE, legittimando quindi l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, che non può essere paralizzato dalla mancanza di un giudicato penale, rilevante per il solo caso (non ricorrente nella fattispecie in esame) di dichiarazioni sostitutive o atti di notorietà mendaci o falsi (art. 21 nonies, comma 2 bis, l.n. 241 del 1990).

In ogni caso, non si ravvisa la violazione del termine ragionevole per l’esercizio dei poteri di autotutela - l’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, nel testo vigente al momento dell’avvio del procedimento di annullamento in autotutela della d.i.a., disponeva: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge” - in quanto il procedimento di autotutela è stato avviato dopo pochi giorni dall’esposto dei proprietari dei fondi limitrofi, che hanno denunciato una non veritiera rappresentazione nella denuncia di inizio attività dello stato di fatto effettivamente esistente.

Orbene, secondo i principi enunciati dalla Adunanza plenaria, sopra richiamati, il termine ragionevole per l’adozione dell’annullamento d’ufficio decorre soltanto dalla scoperta dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.

Nel caso di specie, dopo pochi giorni dalla presentazione dell’esposto da parte dei proprietari dei terreni confinanti, la amministrazione comunale ha dato avvio al procedimento di annullamento in autotutela della d.i.a.

Gli elementi istruttori acquisiti dalla amministrazione comunale nel corso del procedimento (rilievi aerofotogrammetrici e ortofotografici; differenti tecniche costruttive, risultanti dalla documentazione fotografica prodotta, con utilizzo di blocchetti di cemento vibrocompresso e lamiera ondulata di copertura) comprovano in maniera esaustiva che la situazione rappresentata nella d.i.a., sia con riguardo alla datazione del manufatto (a data antecedente al 1942), che con riguardo alla sua consistenza plano – volumetrica, non fosse corrispondente a quella originariamente esistente (il manufatto è stato demolito prima della adozione del provvedimento di autotutela, cosicché l’amministrazione comunale non ha potuto procedere ad accertamenti in loco dello stato di fatto).

Da quanto precede non è ravvisabile negli atti impugnati neppure la violazione del principio del legittimo affidamento.

Come sopra evidenziato, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha precisato che l’erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla erroneità non veritiera prospettazione di parte.

A tale riguardo, ritiene il Collegio, sulla base dei documenti prodotti in giudizio, che la situazione dello stato dei luoghi rappresentata nella d.i.a. (sia con riguardo alla datazione del manufatto in data antecedente al 1942, che con riguardo alla sua originaria consistenza plano - volumetrica) non trovi riscontro nella documentazione depositata in giudizio, incidendo inevitabilmente sulla possibilità per l’interessata di invocare in suo favore la violazione del principio di affidamento.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale la prova delle dimensioni (consistenza) di un manufatto, la prova della esistenza o inesistenza di un rudere, la prova della data di costruzione e così via, grava su colui che attiva il procedimento di rilascio del titolo e poi agisce in giudizio, specie se si tratta di demo ricostruzione (cfr. sez. IV, n. 148 del 2022, sez. IV n. 463 del 2017, sez. VI n. 5106 del 2016).

Rimane al Collegio da scrutinare la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela sotto il profilo della carenza di motivazione, in relazione alla mancata indicazione, da parte della amministrazione comunale, delle ragioni di interesse pubblico sottese all’annullamento della d.i.a.

A tale riguardo, questa sezione ritiene di confermare il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà sia consentito all’amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2019, n. 1795).

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 30 giugno 2023, n. 6387.

 

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