14/07/2023 - Le fasi della contrattualistica pubblica: profili di giurisdizione.
Abstract
Lo scritto muove dalla tradizionale ricostruzione bifasica dei contratti pubblici per esaminare i recenti orientamenti della giurisprudenza ordinaria e amministrativa in tema di riparto di giurisdizione sulle controversie inerenti alla fase pubblicistica e a quella esecutiva. Il discrimine tra queste ultime – un tempo individuato con sicurezza nella stipula del contratto – sembra di recente sfumare almeno in relazione alle fattispecie risarcitorie che si collocano nella (sotto)fase c.d. “intermedia” tra aggiudicazione e stipulazione, oggetto di arresti regolatori non sempre uniformi, dai quali peraltro si discostano le più recenti statuizioni dell’Adunanza plenaria (e, forse, lo stesso impianto generale del nuovo Codice dei contratti pubblici). Tali oscillazioni riflettono la sempre più avvertita “ibridazione” tra le due macro-fasi, che vede principi privatistici attingere la fase di gara e istituti tipici dell’agere pubblicistico rifluire in quella esecutiva. Ciò costituisce un diretto corollario (di settore) della neutralità delle “forme” dell’attività amministrativa e del carattere globalmente “funzionalizzato” della stessa. Da tale consapevolezza, oltre che da esigenze di concentrazione delle tutele, dovrebbe muovere una riconsiderazione del riparto di giurisdizione in materia di contratti pubblici: in attesa di tempi maturi per soluzioni di più ampio respiro, si palesa opportuno già de jure condito ricondurre ogni scorrettezza precontrattuale posta in essere nell’ambito di procedure di affidamento entro il perimetro del “collegamento mediato col potere” e, quindi, della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, lett. e), n. 1), c.p.a.
SOMMARIO: 1. L’articolazione “bifasica” dei contratti pubblici: teoria e corollari - 2. Episodi privatistici nella fase pubblicistica: “fase intermedia” e profili di giurisdizione - 3. Poteri autoritativi, diritto privato “speciale” e frammenti di evidenza pubblica nella fase esecutiva - 4. Distinte ma non separate: l’unitarietà funzionale della contrattualistica pubblica e della giurisdizione
- L’articolazione “bifasica” dei contratti pubblici: teoria e corollari
La sistematica dei contratti pubblici viene tradizionalmente scomposta secondo uno schema – logico e cronologico – di tipo “bifasico”, nel quale si succedono due sequenze caratterizzate da un differente regime giuridico: la fase di scelta del contraente e quella di esecuzione del contratto.
Nella prima – anche detta fase “pubblicistica” – l’amministrazione agisce secondo moduli autoritativi, scanditi dagli atti del procedimento selettivo ad evidenza pubblica, disciplinato dalla legge in armonia con le direttive europee e retto dai principi di concorrenza e favor partecipationis, non discriminazione e par condicio, trasparenza e pubblicità, proporzionalità ed economicità. Nella seconda, che si svolge nel solco del rapporto contrattuale instaurato con l’aggiudicatario, l’amministrazione opera, di regola, in veste di contraente e quindi in posizione di tendenziale parità con la controparte privata, secondo le regole del diritto comune.
La stipulazione del contratto, che segue l’aggiudicazione (oggi non più distinta in provvisoria e definitiva), segnerebbe il “discrimine” «tra la fase di scelta del contraente, (…) retta da norme cc.dd. “di azione” che involgono un sindacato proprio della discrezionalità amministrativa devoluto al giudice amministrativo, e la fase dell’esecuzione del contratto conseguente a tale scelta, concettualmente non diversa dai contratti stipulati tra i soggetti privati e, pertanto, naturalmente ricadente nella giurisdizione del giudice ordinario»[1].
Coerentemente con tale impostazione, per giurisprudenza costituzionale costante, mentre la disciplina (primaria) della fase pubblicistica pertiene all’ambito materiale della concorrenza, la fase che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale è invece disciplinata da norme che vanno ascritte alla materia dell’“ordinamento civile” ex art. 117, co. 2, lett. l), Cost.: ciò proprio in quanto, in tale fase, l’amministrazione si pone su un piano di tendenziale equiordinazione con il privato contraente, agendo “non nell’esercizio di poteri, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale”[2].
La distinzione in esame si riflette, altresì, sulla consistenza delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte, qualificabili di regola come interessi legittimi, o come diritti soggettivi interessati dall’esercizio di poteri amministrativi, nella fase pubblicistica, e come diritti soggettivi “puri”, speculari ad obblighi privatistici (di rilevanza patrimoniale), nella fase di attuazione del rapporto, con quel che ne consegue in ordine al riparto di giurisdizione[3]. Infatti, gli artt. 133, co. 1, lett. e), n. 1) e 120, co. 1, c.p.a. devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alle procedure di affidamento dei contratti (caratterizzate dall’esercizio di poteri, quindi dalla presenza di interessi ovvero dalla “commistione” fra interessi e diritti), mentre nella fase di esecuzione le controversie rimesse alla cognizione del giudice amministrativo sono solo quelle indicate dall’art. 133, co. 1, lett. e), n. 2), c.p.a., restando, di regola, devoluti al giudice ordinario i rapporti privatistici interni alla fase esecutiva.
- Episodi privatistici nella fase pubblicistica: “fase intermedia” e profili di giurisdizione
La struttura “bifasica” (della vicenda) dei contratti pubblici, pur mantenendo validità e utilità non meramente classificatorie, non può tuttavia essere assolutizzata, a fronte della sempre più avvertita complessità dei rapporti fra le due fasi e della “ibridazione” di ciascuna di esse, connessa alla presenza di profili privatistici nella fase pubblicistica e di profili pubblicistici in quella privatistica.
Sotto il primo profilo, è sufficiente ricordare che, per giurisprudenza ormai consolidata, anche la fase pubblicistica soggiace alle “regole di condotta” a carattere generale previste dal codice civile, e segnatamente ai principi di correttezza e buona fede oggettiva, la cui violazione può generare responsabilità precontrattuale, sia dell’amministrazione che del privato, anche prima e a prescindere dall’intervenuta aggiudicazione[4].
Sul punto, permangono tuttavia rilevanti incertezze circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, in relazione alle diverse fasi (o segmenti di fase) in cui si colloca l’evento di danno precontrattuale e alle possibili modulazioni della causa petendi azionata. Incertezze ascrivibili, per un verso, ad alcune oscillazioni nella giurisprudenza delle Sezioni unite e, per altro, al contrasto – emerso nell’ultimo triennio – tra la stessa Corte regolatrice e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento ad analoghe fattispecie di responsabilità.
Un primo orientamento delle Sezioni unite, che interpreta estensivamente l’art. 133, lett. e), n. 1) c.p.a., ritiene spettare al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti e atti assunti non solo prima dell’aggiudicazione ma anche nella successiva fase – c.d. “intermedia” – compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, circoscrivendo la giurisdizione del giudice ordinario, quale “giudice dei diritti”, alla (sola) fase di esecuzione del rapporto[5]. Tale indirizzo si informa alla scomposizione bifasica sopra richiamata (§1.), che, come visto, ha quale rigido spartiacque il momento della stipula del contratto.
Un diverso orientamento di più recente emersione, allo stato prevalente, interpretando restrittivamente l’art. 133, lett. e), n. 1) c.p.a., esclude dall’ambito della giurisdizione esclusiva i comportamenti e atti che si collocano nella fase (“intermedia”) tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, reputando che, in tale fase, la giurisdizione debba ripartirsi secondo il criterio generale, con la conseguenza che sarebbero devolute alla cognizione del giudice amministrativo solo le controversie in cui si faccia questione di interessi legittimi[6].
La giurisprudenza più recente sembra, quindi, individuare una fase “intermedia” che corre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, nell’ambito della quale atti e comportamenti dell’amministrazione potrebbero, in tesi, risultare sganciati da un collegamento (anche solo mediato) con il potere: la procedura ad evidenza pubblica “degraderebbe”, in questi casi, a mera occasione del danno, il quale discenderebbe sic et simpliciter dalla violazione del dovere di correttezza (precontrattuale), lesiva del diritto soggettivo all’autodeterminazione negoziale. La controversia spetterebbe dunque al giudice ordinario, in quanto «il presupposto della giurisdizione del giudice amministrativo, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, è sempre che la controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione e che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo»[7].
In altri termini, nella c.d. fase intermedia tra l’aggiudicazione e il contratto vi sarebbe un’ampia gamma di situazioni «che possono collocarsi in una fase sì prenegoziale, ma nella quale l’esercizio di poteri discrezionali pubblicistici non viene (più) in rilievo»[8]. Dovrebbe, inoltre, predicarsi la giurisdizione del giudice ordinario anche quando l’esercizio, da parte della P.A., di un potere autoritativo (quale, ad es., la disposta decadenza dall’aggiudicazione) che si colloca ancòra nella fase di selezione del contraente privato, rappresenti «solo un presupposto fattuale» che rimane «sullo sfondo» della pretesa azionata, la quale risulti cioè soltanto «occasionata dalla procedura di evidenza pubblica», senza rinvenire in essa il proprio specifico fondamento[9]. In queste ipotesi, invero non sempre di agevole individuazione, la circostanza che il danno risulti cagionato mentre è ancora in corso la fase pubblicistica sarebbe «non rilevante in funzione della determinazione della giurisdizione sulla domanda proposta»[10].
Dal canto suo, la giurisprudenza amministrativa sembra accedere ad una lettura diversa e per certi versi opposta. L’Adunanza plenaria ha, infatti, di recente affermato che spettano alla giurisdizione amministrativa le controversie risarcitorie per danno c.d. “da provvedimento illegittimo favorevole annullato” (in autotutela o dal giudice), quale ben può essere anche l’aggiudicazione, ricorrendo in tali ipotesi un danno pur sempre correlato all’esercizio del potere e, come tale, addirittura incluso nel perimetro nella giurisdizione generale di legittimità qualora non si verta in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva[11].
Per l’Adunanza plenaria la giurisdizione amministrativa dovrebbe, dunque, predicarsi persino ove sia dedotta in giudizio la lesione dell’affidamento riposto sull’apparente legittimità del provvedimento ampliativo, poiché il danno risulterebbe, in questi casi, pur sempre connesso all’esercizio del potere. Alla stregua di una siffatta impostazione, alla giurisdizione amministrativa andrebbe ricondotta, a fortiori, l’ipotesi in cui il danno precontrattuale sia provocato da comportamenti successivi all’aggiudicazione e anteriori alla stipula del contratto, ossia ancòra “interni” alla fase pubblicistica, essendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo estesa anche alle “controversie risarcitorie” relative a “procedure di affidamento” (così, implicitamente, il già richiamato precedente n. 5/2018, nel quale tuttavia il danno evento veniva identificato nella lesione dell’autodeterminazione negoziale quale diritto soggettivo in sé, mentre la pronuncia n. 20/2021, pur in modo ambiguo, pare ricondurre il danno alla lesione di un interesse oppositivo). Infatti, in linea con tale impostazione, proprio con riguardo alla c.d. fase intermedia o “grigia” le Sezioni del Consiglio di Stato ritengono attratte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie, incluse quelle risarcitorie ex art. 133, lett. e), n. 1) c.p.a., «che attengono ad atti che, pur collocandosi dopo l’aggiudicazione, riguardino comunque la procedura di affidamento, nel senso che ne determinano le sorti o incidono sull’individuazione del contraente e comunque sono originate dall’adozione o dalla caducazione di provvedimenti amministrativi»[12].
Può qui appena accennarsi ad un’ulteriore complicazione che la recente riforma della materia parrebbe ingenerare. L’art. 209 d.lgs. n. 36/2023 ha, tramite la modifica dell’art. 124 c.p.a., disciplinato l’azione di rivalsa della stazione appaltante nei confronti dell’operatore che, “con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”, devolvendo tale azione – al pari delle controversie risarcitorie in generale – alla cognizione del giudice amministrativo. Orbene, è evidente che una simile previsione – non fosse altro perché l’azione in parola è per definizione esperibile dall’amministrazione nei confronti di un privato, autore di un “comportamento illecito” – sfugge a quella più stretta nozione di collegamento (anche mediato) col potere cui la Corte regolatrice, sulla scia della nota giurisprudenza costituzionale, subordina la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Pare, dunque, trattarsi di un’eccezione di diritto positivo ai canoni di riparto sulle controversie risarcitorie affermati dal recente orientamento delle Sezioni unite sopra richiamato (e, per converso, di opzione in linea con il diverso indirizzo del Consiglio di Stato, di cui è ben noto, non a caso, il contributo all’elaborazione del nuovo Codice); un’eccezione che, a voler tenere ferme le premesse incardinate nella sentenza n. 204/2004, non sarebbe esente da dubbi di costituzionalità.
- Poteri autoritativi, diritto privato “speciale” e frammenti di evidenza pubblica nella fase esecutiva
Sul versante opposto a quello testé esaminato, è ormai indiscussa la presenza di “momenti” pubblicistici anche nella fase esecutiva. Quest’ultima – un tempo considerata marginale rispetto all’evidenza pubblica, in ragione del suo (ritenuto) assorbimento, pressoché integrale, nel diritto privato dei contratti – ha assunto negli ultimi decenni crescente rilevanza anche nella disciplina positiva dei contratti pubblici, fino a trovare sistemazione in un corpo di disposizioni tendenzialmente organico, inserito nel Titolo V della Parte II del Codice di cui al d.lgs. n. 50/2016 (artt. 100 ss.) e oggi contenuto nella Parte VI del Libro II del nuovo Codice adottato con d.lgs. n. 36/2023, intitolata appunto “Dell’esecuzione” (artt. 113 ss.), nonché nel Titolo III della Parte II del Libro IV dello stesso d.lgs. n. 36/2023 con specifico riferimento alle concessioni (artt. 188 ss.). Tale disciplina contempla, come si accennava, svariati atti espressione di potere amministrativo che possono o devono essere adottati nella fase esecutiva, dai quali emerge il carattere solo tendenziale della tradizionale ricostruzione “bifasica” (della vicenda) dei contratti pubblici.
A titolo solo esemplificativo, sono considerati espressione di poteri autoritativi (e non negoziali) – al di là dell’ambiguo nomen juris talvolta utilizzato dal legislatore – l’autorizzazione al subappalto (art. 105, co. 4, d.lgs. n. 50/2016, ora art. 119, commi 4 e 16 d.lgs. n. 36/2023), la sospensione dell’esecuzione disposta dal RUP (art. 107, co. 2, d.lgs. n. 50/2016, ora art. 121, co. 2, d.lgs. n. 36/2023), alcune ipotesi di risoluzione (art. 108, commi 1-2, d.lgs. n. 50/2016, ora art. 122 d.lgs. n. 36/2023), concretanti ipotesi speciali di autotutela, facoltativa o eccezionalmente doverosa, comprese quelle previste in tema di concessioni (art. 176, co. 1, d.lgs. n. 50/2016, ora art. 190 d.lgs. n. 36/2023).
Dovrebbe derivarne, quale conseguenza in punto di giurisdizione, la riemersione del criterio ordinario di riparto fondato sulla consistenza della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, che in queste ipotesi avrebbe natura di interesse legittimo e condurrebbe, pertanto, alla giurisdizione generale di legittimità. In tale prospettiva, risulterebbe smentita in radice l’idea che, al fine di individuare il giudice munito di giurisdizione nella materia in esame, sia sufficiente (o possibile) tracciare una linea netta tra fase pubblicistica e fase esecutiva. Nelle controversie inerenti all’esecuzione di un contratto pubblico occorrerebbe, infatti, “verificare” se sussista la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, «non potendo escludersi che anche nella fase esecutiva del contratto di appalto l’amministrazione committente disponga di poteri autoritativi, il cui esercizio si manifesta attraverso atti aventi natura provvedimentale espressione di discrezionalità valutativa, a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia a interesse legittimo»[13].
Va aggiunto che, ove invece vengano in rilievo “poteri” ritenuti negoziali, e non pubblicistici, esercitabili nella fase esecutiva, si tratta pur sempre di fattispecie potestative di diritto privato “speciale”, con tratti fortemente derogatori rispetto al diritto comune: gli atti che ne costituiscono esercizio devono sì considerarsi “paritetici” (intesi qui come espressione di “potestà” negoziale piuttosto che amministrativa), ma nella consapevolezza – utile ai fini del loro sindacato – che la previsione dei relativi effetti o, se l’effetto non operi ex lege, l’esercizio delle facoltà attribuite dalla legge all’amministrazione, sono pur sempre retti da considerazioni inerenti ad interessi pubblici e alla particolare natura del contraente (pubblico) che tali poteri esercita e tali interessi cura.
Ciò non toglie, beninteso, che tali atti soggiacciano al regime degli atti negoziali, sicché di essi conoscerà di regola il giudice ordinario. Sul punto basti ricordare che, dopo la stipula del contratto, per far valere sopravvenute ragioni di inopportunità alla prosecuzione del rapporto l’amministrazione non può utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990, ma deve piuttosto esercitare il diritto potestativo di recesso previsto dal codice dei contratti pubblici, che come tale non richiede l’avvio di un procedimento amministrativo in senso tecnico[14]. In questa classe di ipotesi rientra anche il recesso (doveroso) dal contratto in seguito ad informativa antimafia (artt. 88, co. 4-ter e 92, co. 4, d.lgs. n. 159/2011), che per la recente giurisprudenza «non [è] un provvedimento di autotutela, ma un atto ricognitivo che constata la verificazione della condizione risolutiva»[15].
Contribuiscono a connotare in senso pubblicistico la fase di attuazione del rapporto negoziale, inoltre, i recenti approdi giurisprudenziali in tema di accesso agli atti e documenti relativi alla fase esecutiva. Nonostante i richiami in apparenza restrittivi contenuti nelle norme che regolano la sequenza pubblicistica, la fase di esecuzione non si sottrae alla disciplina dell’accesso documentale e civico, la quale rinviene anzi nell’intera materia dei contratti pubblici il proprio terreno di elezione, dovendosi ritenere estesa anche agli atti e ai documenti della fase esecutiva, anche in virtù dell’intenso collegamento che sussiste tra quest’ultima e la pregressa procedura di scelta del contraente, le cui ragioni concorrenziali risulterebbero frustrate “a posteriori” ove fosse preclusa ai concorrenti la possibilità di verificare, tramite le forme di accesso previste dall’ordinamento, la corretta esecuzione della commessa da parte dell’aggiudicatario[16].
Si delinea, così, un “frammento di evidenza pubblica” – identificabile negli istituti di accesso – che si estende alla fase di esecuzione del rapporto e si correla all’interesse “strumentale” degli operatori allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara. Sembra in tal modo configurarsi, almeno ai fini della disciplina sulla trasparenza e dei correlativi obiettivi di conseguimento del “risultato” e tutela della concorrenza, un continuum tra le due fasi o, perlomeno, l’incidenza di principi comuni a entrambe che ne fa emergere un costante collegamento in chiave pubblicistica.
- Distinte ma non separate: l’unitarietà funzionale della contrattualistica pubblica (e della giurisdizione)
In conclusione, è possibile ritenere che la correlazione tra fase pubblicistica e fase esecutiva, pur nella persistente validità di uno schema ricostruttivo-descrittivo che ne evidenzia la distinzione concettuale e giuridica, si riconnetta alla “rilevanza globale” dell’attività amministrativa, inclusa quella lato sensu “contrattuale”, apprezzabile nel suo complesso quale “funzione” e al tempo stesso strumentale ad ulteriori funzioni attribuite alla competenza dei singoli apparati committenti. La specialità della P.A.-contraente, che non persegue i fini liberi dell’attività negoziale comune ma quelli, desumibili dalla legge, connessi all’esigenza di realizzare certi lavori o approvvigionare certi beni e servizi, si riflette anche sulla fase esecutiva, che non è mai riducibile a mera attuazione di un “comune” rapporto contrattuale.
Il quadro sopra descritto trova conferma nel Codice dei contratti pubblici adottato nel 2023, che, come visto, dedica all’esecuzione gli artt. 113-126 e 188-192. Più a monte, l’impianto generale e i “principi” della materia enunciati nel nuovo Codice – come quello del “risultato”, significativamente collocato all’art. 1 ed espressamente riferito anche all’esecuzione – sembrano confermare l’opinione qui richiamata. La scomposizione logica e cronologica (della “vicenda”) dei contratti pubblici in due fasi, lungi dal potersi considerare in termini rigidamente dicotomici, designa piuttosto uno schema composito di perseguimento dell’interesse pubblico unitariamente inteso, nel quadro di un’attività pur sempre “funzionalizzata” nel suo complesso, in cui la prevalenza dei moduli pubblicistici o privatistici nelle diverse fasi non denota una separatezza funzionale né una diseguale caratterizzazione dei fini dell’attività, ma solo una diversa modulazione del “mezzo”, informata a criteri di proporzionalità e adeguatezza applicati già in sede di astratta prefigurazione legislativa.
Nonostante tale consapevolezza sia ormai diffusa in dottrina ed evocata in svariate pronunce, continua a ritenersi preclusa, in ossequio alle note coordinate tracciate dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 204/2004, l’opzione legislativa di devolvere l’intera materia dei contratti pubblici alla giurisdizione del giudice amministrativo, in favore della quale pure militerebbero non poche esigenze, anche di ordine pratico; esigenze delle quali il legislatore pare tener conto – varcando le Colonne d’Ercole della giurisprudenza costituzionale sull’art. 103, co. 1, Cost. – solo quando l’azione veicoli una pretesa dell’amministrazione, mostrando di concepire ancora la giurisdizione speciale come una sorta di “garanzia” per le ragioni del soggetto pubblico (il riferimento è all’azione di rivalsa della stazione appaltante ora contemplata dall’art. 124, co. 1, c.p.a., su cui v. supra, §2.).
La consapevolezza della tendenziale unitarietà funzionale della materia dei contratti pubblici potrebbe, però, indurre già oggi a ritenere incluse nel perimetro della giurisdizione esclusiva ex art. 133, lett. e), n. 1) c.p.a. tutte le controversie per danni precontrattuali cagionati nell’ambito di procedure ad evidenza pubblica, intendendo queste ultime in senso ampio come comprensive anche della “fase intermedia” tra aggiudicazione e stipula del contratto, nella quale è ancora possibile il verificarsi non solo di evenienze “procedimentali” suscettibili di incidere sull’individuazione del contraente, ma anche di condotte scorrette poste in violazione di obblighi (di condotta) che, seppur apprezzabili anche nella sfera dei rapporti di diritto comune, radicano nella procedura il proprio fondamento e lo specifico atteggiarsi del proprio contenuto. In tal senso depongono ora i (positivizzati) principi della “fiducia”, della buona fede e della tutela dell’affidamento sanciti dagli artt. 2 e 5 del nuovo Codice, nei quali non sembra potersi leggere un mero rinvio tutto “privatistico” agli artt. 1337-1338 c.c. (che presupporrebbe la qualificazione della violazione in termini di comportamento mero): il riferimento è infatti all’“affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede” (art. 5, co. 2).
Tali disposizioni paiono negare in radice i fragili presupposti – espliciti ed impliciti – su cui si regge il più recente orientamento della Corte regolatrice, e cioè che certi segmenti della procedura di gara siano normalmente “mera occasione” del danno precontrattuale, che i poteri (amministrativi) nella selezione del contraente siano solo quelli discrezionali, che la violazione di obblighi di condotta nella c.d. “fase intermedia” sia di regola un comportamento mero.
Sarebbe forse preferibile, dunque, tornare al “passato” ritenendo attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative ad eventi di danno (lesione dell’autodeterminazione negoziale) verificatisi anteriormente alla stipula del contratto (o a prescindere da quest’ultima, ove si assumano danneggiati a titolo precontrattuale operatori diversi dall’aggiudicatario o la stessa stazione appaltante), quali controversie risarcitorie pur sempre “relative alle procedure di affidamento” ai sensi dell’art. 133, lett. e), n. 1 c.p.a. Un “ritorno al passato” che guardi al futuro, come il nuovo Codice, evitando letture “dilatate” della giurisprudenza costituzionale sull’art. 103, co. 1, Cost. e privilegiando diversi e non meno (semmai, oggi ben più) importanti principi costituzionali, quali l’unità della giurisdizione e la concentrazione delle tutele, anche nell’ottica di consolidare il “rapporto” – in tutti i suoi principali aspetti – quale primario oggetto del giudizio amministrativo.
[1] Cons. St., Sez. V, 30 luglio 2014, n. 4025.
[2] Corte cost. 23 novembre 2007, n. 401; Id., 28 febbraio 2011, n. 53.
[3] Cass., Sez. un., 23 aprile 2008, n. 10443; Id., 13 marzo 2009, n. 6068; Id., 12 luglio 2016, n. 14188; Id., 5 ottobre 2018, n. 24411. L’ordine concettuale di riferimento è quello, ben noto, delineato dalle sentenze Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, e 11 maggio 2006, n. 191.
[4] Cons. St., Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Id., 4 maggio 2018, n. 5.
[5] Cass., Sez. un., 23 luglio 2013, n. 17858; n. 14188/2016, cit.; Id., 25 maggio 2018, n. 13191; Id., 5 marzo 2019, n. 6356; Id., 13 marzo 2020, n. 7219.
[6] Cass., Sez. un., 4 luglio 2017, n. 16419; n. 24411/2018, cit.; 17 dicembre 2020, n. 28979; 25 maggio 2021 n. 17329; Id., 6 aprile 2022, n. 11257; 4 gennaio 2023, n. 111.
[7] Cass., Sez. un., 29 aprile 2022, n. 13595.
[8] Cass., Sez. un., n. 11257/2022, cit.
[9] Cass., Sez. un., n. 17329/2021, cit.; n. 111/2023, cit.
[10] Cass., Sez. un., n. 28979/2020, cit.
[11] Cons. St., Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 20.
[12] Cons. St., Sez. V, 27 ottobre 2021, n. 7217.
[13] Cass., SS.UU., 18 novembre 2016, n. 23468.
[14] Cons. St., Ad. plen., n. 14/2014, resa in un giudizio in cui, ad avviso di chi scrive, difettava la giurisdizione del giudice amministrativo, come la stessa Adunanza plenaria pare avvedersi al par. 2 della motivazione, rilevando però la formazione del giudicato sul relativo punto-capo.
[15] Cons. St., Ad. plen., 26 ottobre 2020, n. 23.
[16] Cons. St., Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10.