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23/06/2023 - Il tentato abuso d’ufficio non comporta la sospensione del Sindaco

Dal sito lasettimanagiuridca.it un articolo del collega Giuseppe Vinciguerra

Con l’Ordinanza del 5 aprile 2023 la Sezione Civile del Tribunale di Agrigento, in accoglimento del ricorso presentato dal Sindaco sospeso (n. R.G. 2775/2022), ha annullato il provvedimento prefettizio ritualmente notificatogli il 12 ottobre 2022, con cui era stata dichiarata la relativa sospensione di diritto dalla carica di Sindaco per la durata di diciotto mesi, dichiarando l’insussistenza dei presupposti per pronunciarne la sospensione.
Il provvedimento prefettizio de quo era stato emanato ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera a) del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235 (recante “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposa, a nomra dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190”), sul presupposto della sentenza di condanna pronunciata a carico del medesimo soggetto dal Tribunale di Agrigento, Sez. I Penale, per il reato previsto e punito dagli artt. 56, 81 comma II e 323 del codice penale (tentato abuso di ufficio).
Con il ricorso incardinato presso la competente Sezione del Tribunale di Agrigento il ricorrente ha chiesto che, previa disapplicazione e/o annullamento del richiamato provvedimento di sospensione, venisse dichiarato il suo diritto alla piena conservazione della carica di Sindaco e dei connessi poteri e funzioni.
A sostegno del ricorso si è dedotto che la Prefettura territorialmente competente avrebbe erroneamente ritenuto applicabile, nel caso di specie, la disposizione di cui all’art. 11, comma 1 lettera a) del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235, il quale, come noto, stabilisce la sospensione ex lege degli amministratori locali che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 10, comma 1, lettere a), b) e c).
In particolare, la tesi difensiva del ricorrente ha sostenuto che il delitto per cui è stata pronunciata la sentenza di condanna a suo carico non sarebbe incluso nell’elenco di cui all’articolo 10, comma 1, la cui lettera c) si riferirebbe esclusivamente all’ipotesi di condanna per abuso di ufficio nella forma consumata, e non anche nella forma tentata.
Il ricorrente, con separato ricorso, aveva peraltro chiesto la sospensione, in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., del provvedimento di sospensione, deducendo la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, ricorso di cui la Prefettura ha prontamente contestato la fondatezza con argomentazioni in diritto relative alla affermata riconducibilità del reato di abuso di ufficio tentato nell’ambito di quelli elencati dall’art. 10 comma 1, lettera c) del Decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235. Nondimeno, con apposita ordinanza del Giudice istruttore adottata nel mese di novembre 2023, in accoglimento del ricorso cautelare, veniva sospesa l’efficacia del provvedimento impugnato.
La decisione concernente il ricorso relativo alla fase a cognizione piena ha poi condotto il Tribunale a ritenere che il ricorso fosse fondato e dovesse trovare accoglimento.
In primis, la Sezione Civile del Tribunale di Agrigento ha invero ritenuto di ribadire che <le disposizioni limitative del diritto di elettorato, avente copertura nell’art. 51 della Costituzione, incidendo su di un diritto politico fondamentale, devono essere considerate di “stretta interpretazione”, cosicché non ne è consentita una interpretazione estensiva né una applicazione analogica (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11580 del 06/06/2016 (Rv. 639883 – 01))>.
Parimenti si è rilevato che di stretta interpretazione sono anche le disposizioni che stabiliscono effetti giuridici sfavorevoli di una norma incriminatrice.
A fondamento della relativa decisione, l’organo giudicante ha poi richiamato – quale argomento assorbente ai fini decisori – la distinzione tra delitto consumato e delitto tentato, rievocando il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale <l’autonomia del delitto tentato comporta che gli effetti giuridici sfavorevoli previsti attraverso lo specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di delitto consumato, in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e, in difetto di espressa previsione, non possono trovare applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato> (Di seguito i richiami giurisprudenziali riportati nell’ordinanza in esame: Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 25242 del 18/04/2019 Cc. (dep. 07/06/2019 ) Rv. 275825 – 01; Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 5504 del 22/10/2013 Ud. (dep. 04/02/2014 ) Rv. 258198 – 01).
Richiamando poi il disposto degli artt. 10 comma 1, lettera c) e 11 comma 1, lettera a) del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235, si pone in evidenza che gli stessi, ai fini della sospensione dalle cariche indicate al comma 1 dell’articolo 10, fanno riferimento, tra gli altri, al delitto previsto dall’art. 323 c.p. senza estendere in modo espresso la portata applicativa della disposizione all’ipotesi del delitto tentato, con la conseguenza – si afferma – che <l’estensione, non prevista dalla legge, non può avvenire in via interpretativa poiché in tal caso si contravverrebbe al divieto di interpretazione estensiva sopra richiamato>.
L’iter motivazionale conducente alla decisione del giudice si fonda poi sull’argomento basato sull’interpretazione letterale della disposizione in esame, rilevandosi come, in relazione ad altro gruppo di fattispecie incriminatrici, indicate alla lettera b), la stessa preveda espressamente l’inclusione nel perimetro applicativo della norma dei delitti “consumati o tentati”, così confermando che, laddove il legislatore abbia inteso estendere l’effetto dell’incandidabilità, della decadenza o della sospensione dalla carica elettiva all’ipotesi tentata, lo ha fatto espressamente, in ossequio al sempre valido antico brocardo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi nolui tacuit.
Così argomentando il Collegio ha ritenuto che dovessero essere disattese le argomentazioni della Prefettura secondo le quali la diversa formulazione della lettera b) si spiegherebbe con la differente “tecnica di descrizione del precetto”. Sul punto si è, al contrario, ritenuto che l’argomentazione della parte resistente non fosse fondata, in quanto la norma in questione fa rimando ai delitti previsti dall’art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p., che si riferiscono espressamente a fattispecie incriminatrici sia nella forma consumata che nella forma tentata. A dir del Collegio, ad aver determinato la espressa inclusione, nel disposto dell’art. 10, comma 1, lettera b), della fattispecie tentata, non è la tecnica di descrizione del precetto dell’art. 51, bensì <la necessità, nei termini già chiariti, di una espressa previsione ai fini dell’estensione di effetti giuridici sfavorevoli all’ipotesi del tentativo>, espressa previsione che, come messo in evidenza, risulta difettare in relazione alla lettera c) che comprende per l’appunto il delitto di abuso d’ufficio.
Il Tribunale non ha poi ritenuto meritevole di condivisione neppure l’ulteriore argomentazione sostenuta dalla resistente Prefettura asserente l’irragionevolezza della differenziazione tra la fattispecie tentata e quella consumata (dell’abuso d’ufficio), considerando le due ipotesi quali espressive del “medesimo disvalore penale”.
A dir del Collegio giudicante, l’assunto non tiene invero conto del fatto che il delitto tentato è di per sé caratterizzato da una minore offensività rispetto al bene protetto, come dimostrato dal fatto che la sanzione prevista per il delitto tentato è determinata con riferimento ad una autonoma cornice edittale basata sulla riduzione della pena prevista per il delitto consumato.
A conclusione dell’iter argomentativo che ha condotto all’accoglimento del ricorso e al conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento prefettizio di sospensione, il Collegio ha infine ritenuto opportuno dover richiamare inoltre il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la rilevanza della condanna per delitti contro la P.A. tentati e non consumati ai fini della sospensione cautelare dalla carica elettiva è compatibile con il quadro costituzionale di riferimento, ritenendosi rientrare nell’ambito della discrezionalità riconosciuta al legislatore in materia la scelta di equiparare o distinguere, agli effetti della sospensione, le due forme di manifestazione del reato (Cassazione civile sez. I – 11/02/2003, n. 1990).

 

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