22/06/2023 - Sulla natura proteiforme e cangiante delle responsabilità dei pubblici dipendenti
Abstract
Il pubblico dipendente, nell'esercizio delle proprie funzioni, è esposto a talune peculiari species di responsabilità, tra cui quella civile, penale, amministrativo-contabile, disciplinare e, se dirigente, anche a quella dirigenziale. Si analizzerà, in particolare, la natura ibridata della responsabilità amministrativo-contabile, avente confini e caratteristiche tali da farla considerare un tertium genus. Occorre rilevare come sia immanente una ratio di protezione – quale “safe harbor” - della condotta attiva del dipendente pubblico, per non mortificare l’attività del medesimo. A ciò fa da contraltare un restringimento del perimetro delle fattispecie di responsabilità del dipendente pubblico. Tale moderna intelaiatura del sistema di responsabilità, tuttavia, necessariamente, dovrà essere coordinata con i principi penalistici di matrice euro-unitaria, tra cui ex multis quello di tipicità, prevedibilità e contraddittorio.
Sommario: Introduzione - 1. Brevi cenni sul rapporto organico quale criterio di imputazione della responsabilità diretta della p.a. e sul nesso di occasionalità necessaria quale criterio di imputazione della responsabilità indiretta della P.A. - 1.1. Le species di responsabilità del pubblico dipendente: elementi peculiari. – 2. Il paradigma della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione e dei suoi dipendenti. La responsabilità da “contatto sociale”. – 2.1. La responsabilità extracontrattuale della p.a. La solidarietà passiva tra p.a. e suoi dipendenti e i limiti al principio: l’occasionalità necessaria e il “rischio elettivo”- 3. La responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente: fonti normative, profili generali e distinzione tra illecito amministrativo e illecito contabile. – 4. Conclusioni: tra politica del diritto e analisi economica del costo della responsabilità.
Introduzione
La responsabilità della pubblica amministrazione costituisce uno dei grandi temi al cento di un annoso dibattito dottrinale, da sempre oggetto di interesse degli studiosi. il principio della responsabilità[1] della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti si è affermato solo gradualmente nel nostro come in altri ordinamenti giuridici. Sin dai primi arresti giurisprudenziali favorevoli al riconoscimento della responsabilità della Pubblica Amministrazione si pose il problema dell’imputazione di una tale responsabilità, vale a dire se dei danni causati ai terzi doveva rispondere la pubblica amministrazione o il dipendente[2] che aveva agito.
I due sistemi sono attualmente coesistenti in tema di imputazione della responsabilità dell’ente pubblico per l’illecito commesso dal proprio dipendente, l’uno fondato sul criterio del rapporto organico, l’altro fondato sul criterio del c.d. nesso di occasionalità necessaria, e la collocazione degli illeciti dei funzionari commessi in occasione dell’esercizio del potere in una tale dicotomia[3].
Recentemente, un orientamento giurisprudenziale[4] ha risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla sussistenza o meno della responsabilità civile della pubblica amministrazione per i danni cagionati dal fatto penalmente illecito del dipendente. A tal riguardo, occorre che il medesimo abbia agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche, estranee all’amministrazione di appartenenza. In particolare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: « Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa — e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi — non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo ».[5]
Recentemente, le Sezioni Unite hanno sancito la coesistenza di due sistemi ricostruttivi, quello della responsabilità diretta, fondata sul solo rapporto organico, e quello della responsabilità indiretta o per fatto altrui, fondata, al contrario, sul mero c.d. nesso di occasionalità necessaria. Ciascuno di essi viene in considerazione a seconda del tipo di attività della p.a. posta in essere: quella di tipo autoritativo, estrinsecazione del potere pubblicistico, o quella meramente materiale, equiparata all’attività di qualsiasi altro privato. Nel primo caso sussiste il rapporto organico ed è perciò integrato il presupposto della responsabilità diretta ex art. 28 Cost. Nel secondo caso può sussistere il nesso di occasionalità necessaria e l’ente risponde, se del caso, ex art. 2049 cod. civ.[6] Le Sezioni Unite hanno così superato la rigida alternatività, con rapporto di mutua esclusione, fra il criterio di imputazione pubblicistico o diretto e quello di imputazione privatistico o indiretto. Tale assunto prende le mosse dal disposto di cui all’art. 28 Cost. Esso non preclude l’applicazione della normativa del codice civile, piuttosto essendo finalizzato ad escludere l’immunità dei funzionari per gli atti di esercizio del potere pubblico e ad affermare la concorrente responsabilità della p.a. e del suo dipendente. La responsabilità della p.a., secondo una prima ricostruzione, è stata ammessa in forza del criterio di imputazione privatistico basato sull’ « esercizio delle incombenze a cui i c.d. preposti sono adibiti ». A ciò corrisponde il modello teorico fondato sulla piena parificazione tra soggetto pubblico e privato. Una tesi ermeneutica dottrinale ha tentato di verificare la tenuta di una tale soluzione rispetto alle situazioni in cui il funzionario commette il fatto in occasione dell’esercizio del potere. Si è indagato sulla sussistenza di ragioni che giustifichino l’inapplicabilità del modello generale della responsabilità civile in casi siffatti.
L’impiego del criterio di imputazione privatistico ha ampliato i confini della responsabilità della pubblica amministrazione ed ha superato l’orientamento giurisprudenziale 8 secondo cui l’agire del dipendente per finalità esclusivamente personali ed egoistiche recide il rapporto organico ed esclude la responsabilità dell’ente, facendo residuare la sola responsabilità del dipendente per fatto proprio. Un tale superamento incide negativamente sulle esigenze di tutela delle finanze pubbliche, ricorrentemente invocate come valore costituzionalmente protetto da bilanciare con il diritto al risarcimento del danno[7].
La responsabilità amministrativa, sviluppatasi dal giudizio di conto, è una forma di responsabilità per clausole generali assimilabile per molti aspetti alla responsabilità civile extracontrattuale; essa invece presuppone un rapporto di impiego o di servizio con la p.a.. Il fondamento si riscontra negli artt. 82 e 83 della legge di contabilità di Stato, r.d. 18 novembre 1923 n. 2440, e negli artt. 52 e 53 del t.u. sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1214/1934. Elementi differenziali dalla responsabilità civile risarcitoria vanno rinvenuti nel ruolo pubblico dell’autore del danno con conseguente ricaduta nella giurisdizione della Corte dei conti. Elementi costitutivi sono: a) una condotta riconducibile ad un soggetto legato alla p.a. da un rapporto d’impiego o di servizio. L’evento dannoso deve essere riconducibile all’autore secondo i criteri comuni del rapporto causale. Esso deve porsi come conseguenza inevitabile della condotta cui è riconducibile. La nozione di causa è quella delineata dall’art. 40 c.p. secondo cui l’evento dannoso non può essere attribuito all’agente se non è conseguenza immediata e diretta all’azione od omissione. Il concetto di causalità adeguata di natura penalistica trasfusa nel diritto amministrativo consente di accertare se ed in che misura l’entità della lesione è riconducibile all’autore
- b) l’evento dannoso di natura patrimoniale sotto il duplice profilo del danno emergente o del lucro causante. c) la condizione che il danno sia stato arrecato nell’esercizio di una pubblica funzione. d) l’elemento psicologico. L’evento dannoso prodotto dal comportamento attivo od omissivo dell’operatore pubblico deve essere attribuibile al soggetto agente sotto il profilo del dolo o volontà cosciente se non addirittura intenzionale oppure della colpa intesa come negligenza, disattenzione o inadeguata sensibilità nell’assolvimento dei doveri d’ufficio.[8] All’agente deve potersi rimproverare un comportamento diverso da quello dovuto secondo i criteri di serietà, lealtà e coerenza ai fini pubblici istituzionali. L’art. 83 della richiamata legge di contabilità di Stato dispone: “I funzionari... sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, la quale, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto. Questa particolare potestas judicandi ha assunto la connotazione di un potere determinativo del quantum di danno risarcibile e viene esercitata dal giudice in considerazione del contesto in cui il funzionario ha operato, nonché del grado di colpa attribuibile. È questo l’elemento caratterizzante della responsabilità amministrativa che la distingue da quella civile e da quella disciplinare nella quale il comportamento del funzionario viene valutato per inosservanza di norme di servizio. La giurisprudenza ha utilizzato il potere riduttivo per determinare l’entità del danno risarcibile sia in relazione al grado della colpa identificata che per proporzionare l’addebito all’apporto causale di ciascun autore del danno. È una forma di responsabilità pur sempre subordinata all’esistenza di un danno da recuperare anche parzialmente e diretta essenzialmente a monitorare l’azione degli operatori pubblici.
Per fornire una generica panoramica a scopo di generale inquadramento, occorre definire la species della responsabilità contabile. Essa si configura come particolare responsabilità patrimoniale che colpisce coloro a cui è demandata la gestione di beni o di valori, agenti contabili di diritto. Sono agenti contabili gli amministratori delle risorse, i tesorieri demandati della custodia del denaro e della esecuzione dei pagamenti, gli agenti consegnatari e tutti coloro che senza legale autorizzazione si ingeriscono nel ruolo di agenti contabili. La qualifica di agente contabile compete non solo a coloro che in virtù del rapporto di servizio sono preposti alla funzione contabile, ma anche a tutti coloro che realizzano gestione contabile per ingerenza (contabili di fatto).
La posizione di agente contabile[9] comporta che gli agenti contabili di diritto e di fatto sono assoggettati al giudizio di conto. Infatti gli agenti contabili debbono alla fine di ogni anno rendere il conto giudiziale della loro gestione.
L’agente contabile sarà tenuto a rispondere degli ammanchi e dei danni ove vengano riscontrate differenze ingiustificate tra valori ricevuti in consegna e valori restituiti.
Il richiamato quadro normativo della responsabilità amministrativa che si era enucleata dalla responsabilità contabile fino a caratterizzarsi in modo del tutto autonomo ed estesa a tutti gli operatori pubblici indipendentemente da un rapporto di impiego in ragione della legittimazione a gestire le pubbliche risorse, ha subito incisive riforme introdotte dal legislatore da una serie di interventi succedutisi negli anni ‘90. Invero già a partire dagli anni ‘60 con l’attacco alla responsabilità formale prevista dall’art. 252 legge comunale e provinciale del 1934 venivano delineati nuovi confini e prospettive per la giurisdizione di responsabilità amministrativa.
Ma nel 1990 la maturazione culturale aveva portato a nuovi valori che sono stati recepiti dal legislatore con diverse iniziative. Interventi incisivi nella materia risultano introdotti dalla l. n. 142/1990 che ha varato il nuovo ordinamento degli enti locali e la l. n. 639/1996 di cui si richiamano le norme di maggior rilievo per la responsabilità in argomento.
- Brevi cenni sul rapporto organico quale criterio di imputazione della responsabilità diretta della p.a. e sul nesso di occasionalità necessaria quale criterio di imputazione della responsabilità indiretta della p.a
Di « rete di protezione che non carichi la pubblica amministrazione di oneri economici eccessivi » parla spesso la dottrina al fine di giustificare una lettura restrittiva dell’istituto della responsabilità civile della p.a. Un distinto filone dottrinale, tuttavia, ritiene che i vincoli di bilancio e della finanza pubblica non giustifichino una siffatta lettura restrittiva della responsabilità. Il criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’art. 28 Cost[10] in combinato disposto con l’art. 2043 cod. civ., delinea una responsabilità diretta dell’ente pubblico per fatto proprio, che trova il suo presupposto nel rapporto organico. La tesi che rinviene nell’art. 28 Cost. una responsabilità principale del dipendente ed una responsabilità sussidiaria dell’ente pubblico, aggredibile solo a seguito di infruttuosa escussione del dipendente, è stata da lungo tempo superata dalla dottrina maggioritaria, ormai concorde nel leggere nella norma una pari responsabilità solidale della persona giuridica e di quella fisica[11], la c.d. teoria della doppia responsabilità concorrente. La tesi superata valorizzava la lettera della legge (c.d. interpretazione restrittiva), che parla di « estensione» della responsabilità allo Stato e agli enti pubblici, mentre l’argomento da cui muove la tesi attualmente più accreditata è fondato sul rapporto organico tra la persona fisica e quella giuridica: la struttura organizzativa dell’ente pubblico presuppone, necessariamente, l’agire per il tramite di una persona fisica, pertanto l’azione di quest’ultima deve essere ad esso direttamente imputata e l’atto del funzionario è considerato in tutto e per tutto atto della p.a.[12] La teoria dell’organo fu elaborata dalla dottrina tedesca nella seconda metà del XIX secolo quale modello alternativo a quello della rappresentanza, ritenuta inadatta a realizzare l’imputazione allo Stato e, in generale, alle persone giuridiche pubbliche dell’attività dei loro funzionari: mentre in virtù del rapporto organico tanto l’atto quanto gli effetti sono imputati direttamente all’ente pubblico, in base alla rappresentanza, l’atto è imputato al rappresentante, i suoi effetti al rappresentato. I modelli della rappresentanza necessaria e del rapporto organico hanno consentito all’ente pubblico di divenire operatore giuridico capace di compiere atti giuridici, apprestandogli qualità fisiche e psichiche che altrimenti non possiederebbe. Il modello di imputazione giuridica dell’organo è stato nel tempo esteso a tutte le persone giuridiche, pubbliche e private, e persino agli enti di fatto, sì da interessare in definitiva tutte le figure soggettive diverse dalle persone fisiche. Al riguardo Santi Romano affermava che il rapporto organico «riguarda l’esplicazione della funzione, vale a dire, la realizzazione dell’interesse pubblico per il quale l’organizzazione è prevista ed è riconosciuto il relativo potere, la potestà cioè di agire per la realizzazione di questo interesse». Tale modello viene difatti in rilievo con riguardo alla responsabilità legata all’esercizio del potere. Più in particolare, secondo autorevole dottrina[13] gli organi sono centri di imputazione di norme giuridiche; la tecnica organizzativa del rapporto organico implica che il comportamento viene « staccato » dal l’entità fisica che lo produce per essere attribuito in modo diretto, immediato ed esclusivo al centro, così che risulta pienamente operante il principio generale secondo cui l’effetto giuridico segue il comporta- mento. La rappresentanza legale, per contro, utilizza la dinamicità di un centro giuridico che già la possiede, il rappresentante, che imputa i soli effetti, non anche il comportamento, al centro privo di originaria dinamicità. Si deroga così al principio generale secondo cui gli effetti seguono il comportamento. Si è dibattuto per lungo tempo se il fatto illecito del dipendente compiuto nell’ambito dell’attività autoritativa fosse o meno imputabile all’ente. Ciò sarebbe dovuto avvenite sulla scorta del rapporto organico[14] di cui all’art. 28 Cost. Tale tesi, attualmente, pare essere prevalente. Tuttavia, con riguardo alla corretta identificazione del fattore interruttivo del rapporto organico, appaiono ancora attuali le parole di Santi Romano, secondo cui « la storia del concetto di organo, delle sue deviazioni e, diciamolo pure, delle sue aberrazioni, può servire a dimostrare con quanta fatica e con quanta lentezza una categoria giuridica perviene talvolta alla sua limpida ed esatta definizione ».
Dal momento che « dell’organo non si può dire che agisce per conto o in nome della persona giuridica; egli è la persona giuridica che agisce », l’ente pubblico risponde direttamente per fatto proprio del- l’illecito compiuto dal proprio dipendente. Solo qualora il dipendente agisca per perseguire un «fine privato ed egoistico, che si riveli assolutamente estraneo all’amministrazione», il nesso organico si interrompe e ciò impedisce di imputare la condotta dell’agente all’amministrazione di appartenenza. In tal modo, secondo la dottrina, l’art. 28 Cost. assicura il rispetto del principio di legalità che permea l’azione amministrativa, in quanto tale principio postula la conformità dell’agire amministrativo rispetto alla legge, implicando un controllo anche giurisdizionale ed una reazione avverso condotte antigiuridiche[15].
La dottrina sottolinea come la nozione di «organo » sia tutt’oggi controversa e discussa. Taluno ha recentemente criticato la tradizionale associazione della teoria dell’organo alla fictio dell’immedesimazione organica. Si denuncia in particolare l’incostituzionalità di un modello di imputazione giuridica che dissolve e rende invisibile la persona fisica titolare dell’organo, in spregio al primato che la persona umana riveste nella nostra Costituzione. Si prospetta perciò una nuova lettura della teoria dell’organo, modello di imputazione giuridica da non abbandonare, ipotizzando una «teoria dell’organo senza immedesimazione organica» che sia coerente con la doppia imputazione, contestualmente in capo al funzionario e in capo all’ente, sottesa all’art. 28 Cost.: gli atti compiuti dall’organo dovrebbero considerarsi « oggetto di una doppia imputazione contestuale sia alla persona umana titolare dell’organo, sia all’ente pubblico per cui l’organo agisce, mentre gli effetti di tali atti verrebbero imputati all’ente pubblico »[16].
Secondo una distinta ricostruzione ermeneutica, tuttavia, non vi è traccia del concetto di immedesimazione organica. Il rapporto organico è solamente una «tecnica» o un «modulo» di organizzazione che realizza la più ampia imputazione dei comportamenti. La qualità di organo si collega ai rapporti tra più ordinamenti: l’organo è un ordinamento minore creato dall’ordinamento maggiore al quale quest’ultimo attribuisce la qualità di centro di imputazione non personificato. Tale qualità è sempre una creazione del diritto, ma ciò che contraddistingue gli organi dagli altri centri di imputazione è il riferimento diretto dei suoi comportamenti all’ordinamento maggiore. In ragione del c.d. «principio del riferimento» «ogni effetto giuridico deve, direttamente o indirettamente, far capo ad un soggetto giuridico; gli effetti giuridici riferiti ai centri non personificati, di conseguenza, devono riferirsi sempre e necessariamente anche ad una persona c.d. giuridica». A fornire la dinamicità alle persone giuridiche è tuttavia sempre l’uomo, inteso come persona fisica: «anche se è immaginabile (...) che organo di una persona giuridica sia un’altra persona giuridica, alla fine, talvolta dopo molti passaggi, deve sempre esservi, quale elemento dinamizzante, un uomo». Infatti, senza le persone fisiche l’organizzazione non può funzionare.
La fictio dell’ «immedesimazione organica», a lungo mitizzata, merita pertanto di essere abbandonata. Al contrario, risulta ancora attuale la teoria dell’organo, da leggere quale mera tecnica di imputazione giuridica che non dissolve la persona fisica, ma che piuttosto esige che siano disciplinati i rapporti tra la persona giuridica e i titolari dell’organo. La dottrina civilistica si è da tempo occupata del tema concernente la responsabilità ex art. 2049 cod. civ. del padrone e del committente per i danni arrecati dal fatto illecito dei suoi domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Gli approdi cui essa è giunta con riferimento al preponente privato, in quanto espressioni del principio generale della responsabilità civile, possono dirsi pienamente valevoli per il preponente pubblico allorquando il dipendente sia autore di attività materiale, assimilabile in tutto e per tutto a quella posta in essere dal dipendente privato[17].
La responsabilità fondata sull’art. 2049 cod. civ. è una responsabilità oggettiva e indiretta per fatto altrui, che rinviene il suo presupposto nel c.d. nesso di occasionalità necessaria. Il criterio di imputazione di tale responsabilità non si ravvisa nella culpa in vigilando o nella culpa in eligendo del committente per avere scelto negligentemente il soggetto di cui avvalersi o non aver correttamente vigilato sul suo operato. La mancata previsione di alcuna prova liberatoria esclude infatti che la norma possa configurare una responsabilità soggettiva per fatto proprio. Al contrario, l’illecito viene imputato in capo al preponente per la mera ricorrenza del c.d. nesso di occasionalità necessaria, in quanto il fondamento di tale responsabilità si ravvisa nel criterio di allocazione del rischio del danno in capo al preponente. Esso risponde alle esigenze generali dell’ordinamento giuridico, che impongono di prevedere regole atte ad assicurare la convivenza pacifica tra i consociati, e al principio cuius commoda eius et incommoda, in base al quale chiunque si avvale dell’operato altrui per il perseguimento dei propri fini risponde delle conseguenze dannose che da esso derivino in capo a terzi, indipendentemente se ciò sia la conseguenza di una scelta personale, come avviene per le persone fisiche, o di una necessità, come avviene per gli enti sovraindividuali. Non solo il danneggiato non ha l’onere, come sarebbe di regola, di provare l’elemento soggettivo del preponente, ma neppure quest’ultimo può sottrarsi a responsabilità provando che alcuna negligenza, imprudenza o imperizia può essergli imputata. In tal modo si assicura al terzo danneggiato una garanzia patrimoniale ulteriore, quella del preponente, che si presume essere più capiente di quella del preposto. Sarebbe altrimenti incoerente consentire al preponente di beneficiare degli effetti favorevoli derivanti dall’attività di preposizione e di rifiutare quelli sfavorevoli, in violazione del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost.
Il « nesso di occasionalità necessaria » consiste in una peculiare relazione di causalità in virtù della quale, alla stregua del giudizio meramente controfattuale oggettivizzato ex ante proprio della causalità adeguata, la verificazione del danno — conseguenza non sarebbe stata possibile senza l’esercizio dei poteri conferiti da altri, conferimento che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente del danno. Al fine di rinvenire o escludere la ricorrenza del suindicato nesso causale l’impossibilità della verificazione del danno[18] deve essere valutata in base alla regolarità causale atta a determinare l’evento, vale a dire in base alla sua normalità statistica, secondo l’id quod plerumque accidit, in quanto sviluppo non anomalo di attività rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri. In tale ottica, notevole rilevanza assume la prevedibilità del danno conseguenza, quale costo della responsabilità, in termini di analisi economica del diritto. Ne consegue che il preponente pubblico risponde indirettamente del fatto illecito commesso dal proprio funzionario o dipendente, ogni qual volta esso non si sarebbe verificato senza l’esercizio delle funzioni, delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici, quand’anche la condotta sia destinata a fini diversi da quelli istituzionali o persino contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti. Al fine di ravvisare la responsabilità della p.a. ex art. 2049 cod. civ., in definitiva, le incombenze devono essere causa efficiente dell’illecito e della conseguente causazione del danno.
Il preponente può andare esente da responsabilità solo fornendo la prova dell’interruzione del nesso di occasionalità necessaria che lega le mansioni all’illecito (c.d. rischio elettivo). La condotta abnorme del dipendente pubblico fa sì che il medesimo si accolli il rischio della causazione dell’evento. Diversamente, il dipendente pubblico si comporterebbe da free rider, abusando della propria posizione, con pregiudizio alla finanza pubblica. Una siffatta allocazione dei rischi e delle responsabilità non sarebbe ottimale (c.d. ottimo paretiano), con conseguente disomogenea allocazione delle risorse pubbliche. Quando le mansioni assegnate al preposto non abbiano in alcun modo agevolato la commissione dell’illecito, né era possibile per il preponente prevedere la condotta del preposto quale possibile sviluppo dei compiti affidati e prevenire la medesima mediante un’adeguata organizzazione dei propri rischi, il primo non ha beneficiato in alcun modo del comportamento del dipendente e non vi è più ragione di allocare in capo al medesimo soggetto ogni tipo di rischio abnorme ed eccezionale connesso alla altrui condotta. Pur non essendo sempre necessario ravvisare la colpa a fondamento della responsabilità civile, in ragione della funzione prettamente compensativa, piuttosto che sanzionatoria, che essa generalmente riveste, il criterio di allocazione del rischio deve rispondere a criteri di coerenza, prevedibilità e ragionevolezza, al fine di scongiurare il rischio che chiunque possa essere chiamato a rispondere dei fatti altrui per mere casualità o scelte arbitrarie del legislatore. Il nesso di occasionalità necessaria si interrompe, pertanto, per l’assoluta imprevedibilità e abnormità della condotta[19] del preposto, quando il rapporto di preposizione cessa di essere « occasione necessaria » e diviene mera « occasione » dell’illecito. A tal fine non basta tuttavia il mero perseguimento di finalità egoistiche o la commissione di un reato oggettivamente prevedibili per il preponente. La dicotomia tra la responsabilità diretta dell’amministrazione per fatto proprio e la responsabilità indiretta per fatto del funzionario era già stata prefigurata da un’autorevole dottrina agli inizi del secolo scorso, secondo cui tale responsabilità «quando si dice contratta dall’amministrazione pel fatto proprio s’intende per fatto dei suoi funzionari diretti compiuto negli stretti limiti prescritti alle loro funzioni, nella rappresentanza e a nome della amministrazione stessa, a differenza della indiretta, che è quella che contrae l’amministrazione per un fatto del funzionario che esce dallo scopo preciso e dagli effetti rigorosi della rappresentanza pubblica e riveste un carattere anormale e colposo». L’autore aveva già rilevato che le regole proprie del diritto pubblico non possono trovare applicazione quando si discute di rapporti attinenti ai diritti dei soggetti, trovando la responsabilità per danni prodotti a terzi disciplina nelle regole di diritto comune. Tuttavia, le Sezioni Unite con riguardo al problema inerente all’interruzione del nesso di occasionalità necessaria hanno sposato un orientamento che si allontana dalla precedente impostazione dottrinale: una prima tesi distingueva, in particolare, il perseguimento di interessi personali mediante l’usurpazione di facoltà di cui il dipendente fosse del tutto privo dal perseguimento dell’interesse dell’amministrazione mediante il mero abuso delle funzioni di cui il medesimo dipendente fosse titolare. Nel primo caso, si descrivevano i casi in cui l’atto era «incompetente»; conseguentemente, l’autore escludeva la responsabilità indiretta della pubblica amministrazione e riteneva responsabile il solo funzionario, nel secondo caso, quando l’atto era detto «eccessivo», l’autore ravvisava una siffatta responsabilità in concorso con la responsabilità diretta del funzionario. Quella che oggi la giurisprudenza definisce «occasionalità necessaria», in quanto, al fine di riconoscere la responsabilità dell’amministrazione, l’atto del dipendente doveva riferirsi alle funzioni pubbliche attribuitegli e al loro scopo, non bastando una semplice occasionalità di tempo o di luogo. Da ciò emerge la differenza di fondo tra i due concetti considerati, il primo inerente al rapporto di causalità che lega l’attribuzione delle mansioni all’agevolazione dell’illecito, rilevante sul piano dell’elemento oggettivo e concernente l’attività materiale, il secondo inerente allo scopo pubblico perseguito dal dipendente, rilevante sul piano dell’elemento soggettivo e concernente l’attività istituzionale. Secondo le Sezioni Unite, invece, ciò che conta al fine di ammettere o escludere la responsabilità[20] indiretta dell’amministrazione, che si colloca nel solo ambito dell’attività materiale, non è l’interesse soggettivo perseguito dal dipendente (c.d. teoria soggettiva), ma il nesso oggettivo (c.d. teoria oggettiva o obiettiva) che lega le funzioni attribuite alla condotta illecita che è causa dell’evento dannoso: la distinzione tra responsabilità diretta e indiretta della p.a. corrisponde sostanzialmente alla distinzione, rispettivamente, tra illecito aquiliano[21] compiuto dal dipendente nell’esercizio dell’attività istituzionale e illecito aquiliano compiuto dal medesimo dipendente nell’esercizio dell’attività materiale. La responsabilità diretta dell’amministrazione deriva, pertanto, solamente dai contratti stipulati in suo nome dai funzionari pubblici, unico caso in cui essa si obbliga per fatto proprio per il tramite dei suoi dipendenti che agiscano nei limiti del loro mandato e per lo scopo proprio della loro funzione. I loro fatti colposi determinano la responsabilità dell’amministrazione da inadempimento contrattuale, che non solo è diretta, ma finanche esclusiva dell’amministrazione. La responsabilità dell’amministrazione è invece indiretta quando questa si obbliga per il fatto dei suoi agenti, autori di illeciti civili che eccedono lo scopo della funzione, ma che sono realizzati nell’esercizio dell’incarico institorio affidato dall’amministrazione. In codesto caso la responsabilità è secondo l’autore propria anche dell’ente, in quanto essa è mossa dal suo scopo e dal suo interesse, e concorre con la responsabilità diretta del funzionario colpevole verso il terzo. Infine, una ricostruzione dottrinale esclude del tutto la responsabilità dell’amministrazione nel caso in cui il dipendente si renda autore di un delitto doloso, in quanto questo « non può avere menomamente rapporto allo scopo per cui l’ente ebbe dalla legge la sua giuridica esistenza ». È evidente che tale tesi non poteva avere ancora contezza della teoria del rapporto organico, che consente di qualificare come diretta anche la responsabilità dell’amministrazione derivante dall’illecito del dipendente che agisca come suo organo nell’esercizio delle funzioni pubbliche e non solo quella derivante da contratto, la quale vincola certamente il solo ente medesimo.
1.1. Le species di responsabilità del pubblico dipendente: elementi peculiari.
Il pubblico dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, può astrattamente incorrere in cinque fondamentali responsabilità: quella civile (se arreca danni a terzi, intranei o estranei all’amministrazione, o alla stessa p.a.), penale (se delinque), amministrativo-contabile (se arreca un danno erariale alla p.a.), disciplinare (se viola obblighi previsti dal c.c.n.l., da legge o dal codice di comportamento novellato dalla l. n.190 del 2012) e dirigenziale (per il solo personale dirigenziale che non raggiunga i risultati posti dal vertice politico o si discosti dalle direttive dell’organo politico).
La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego ha ex novo regolamentato sia la responsabilità disciplinare (art.55, co.3 seg., d.lgs.30 marzo 2001 n. 165), devolvendo alla contrattazione collettiva la materia, sia la responsabilità dirigenziale (art. 21, d.lgs. n.165 cit.), mentre non ha innovato la previgente disciplina sulle tre restanti responsabilità, ovvero quella civile, penale ed amministrativo-contabile, per le quali viene testualmente richiamata la relativa disciplina legislativa di settore ad opera dell’art. 55, co.1, d.lgs. n.165[22]. Occorre analizzare, seppur brevemente, la responsabilità disciplinare e quella dirigenziale. quella civile, quella amministrativo-contabile e quella penale.
Giova premettere che tali species di responsabilità non sono tra loro incompatibili o alternative, in quanto spesso la medesima condotta illecita viola diversi precetti legislativi o contrattuali, originando concorrenti reazioni punitivo-reintegrative e/o compensative ad opera dell’ordinamento
Al contrario, talune condotte, che assumono valenza di illecito penale potrebbero non avere rilevanza civile o disciplinare e viceversa, in quanto i presupposti di ciascun illecito non sono sempre coincidenti: si pensi alla commissione di un illecito civile che non assuma valenza penale in assenza di dolo, oppure alla commissione di un reato che non abbia però arrecato alcun danno patrimoniale a terzi o alla p.a.
L’ordinamento appresta alcune norme volte a regolamentare, sul piano meramente procedurale-temporale, il concorso di tali concorrenti reazioni ordinamentali che tuttavia, in generale, sono tra loro autonome e seguono distinti binari: si pensi all’effetto sospensivo sul procedimento disciplinare derivante dall’azione penale, agli effetti del giudicato penale in sede disciplinare, civile o amministrativa (art. 651-654 c.p.p.), al possibile ingiusto cumulo di condanne risarcitorie in sede civile e amministrativo-contabile (censurabile in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.).
- Il paradigma della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione e dei suoi dipendenti. La responsabilità da “contatto sociale”
L’amministrazione pubblica ed il proprio personale possono pacificamente incorrere, al pari di altri soggetti giuridici, nelle ordinarie forme di responsabilità civile.
La responsabilità civile viene comunemente intesa come quella forma di responsabilità che si traduce nel dovere di risarcire il danno arrecato per la lesione della sfera giuridica di un altro soggetto.
Sul piano normativo, giurisprudenziale e dottrinale, sono state operate delle fondamentali distinzioni all’interno del genus “responsabilità civile”, ripartendo in primo luogo quest’ultima nella nota triade “responsabilità extracontrattuale”, “responsabilità contrattuale” e “responsabilità precontrattuale”: la prima, spesso definita responsabilità aquiliana, individua la produzione, dolosa o colposa, di un danno ingiusto ad altri, senza violazione di una preesistente obbligazione, ma frutto della mera inosservanza del generale dovere del neminem laedere (obbligo generico nei confronti dei consociati), e che obbliga a risarcire il danno ex art. 2043 seg. c.c.; la responsabilità contrattuale si configura invece come inadempimento[23] di una preesistente obbligazione tra le parti (obbligo specifico nei confronti del creditore), che comporta l’applicazione delle regole dettate dagli art.1218 ss. c.c. , con un distinto e meno gravoso onere probatorio.
Per tale responsabilità si ritiene che debba rispondere, la sola p.a. e non anche il dipendente pubblico (che potrebbe rispondere però a titolo extracontrattuale del danno arrecato al terzo creditore)3; la responsabilità precontrattuale, applicabile anch’essa alla sola p.a. contraente (e non al singolo dipendente)4, individua infine le ipotesi di violazione del dovere di non ledere l’altrui libertà negoziale, ovvero delle norme che regolano la fase delle c.d. trattative negoziali la cui inosservanza si traduca in un danno per la controparte vanamente impegnatasi nella negoziazione, da risarcire ai sensi degli art. 1337 e 1338 c.c. anche davanti al giudice amministrativo nelle materie ad esse devolute. Tale orientamento valorizza, altresì, la clausola generale della solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della buona fede lato sensu.
Tali forme di responsabilità[24] possono tra loro concorrere quando coesistono i presupposti dell’inadempimento e dell’illecito civile, ovvero la lesione dell’interesse creditorio e di interessi protetti dalla vita di relazione. Come detto, al pari di qualsiasi altro soggetto giuridico, anche la pubblica amministrazione, e, nei limiti di seguito precisati, i propri dipendenti, possono incorrere in forme di responsabilità civile. Difatti, il vigente quadro normativo, sia a livello costituzionale (art.28 e 113 cost.), sia a livello di fonti primarie (art.2 e 4, l. 20 marzo 1865 n.2248 all. E; art.1218 e art.2043 seg. c.c.; art.22 seg., d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3), non prevede alcuna esenzione o privilegio per la pubblica amministrazione qualora arrechi un danno a terzi, intranei o estranei alla p.a., ed anzi si assiste nella nostra realtà giudiziaria, come si preciserà nel prosieguo, ad una progressiva crescita dei giudizi risarcitori[25] nei confronti di enti pubblici, sia innanzi al giudice ordinario, sia innanzi al giudice amministrativo a seguito delle modifiche introdotte al previgente sistema dall'art. 7, l. 21 luglio 2000 n.205 e, successivamente, dagli art.30 e 117 del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104. In parallelo ai basilari interventi giurisprudenziali, la tematica della responsabilità civile è stata oggetto di una vastissima produzione dottrinale, che, oltre a vagliare profili teorico sistematici, quali la natura diretta o indiretta della stessa, ha opportunamente individuato ed analizzato le componenti strutturali dell’illecito civile della p.a.[26] (ossia la condotta, evento, nesso causale, elemento psicologico), ha classificato e sistematizzato le macro-tipologie di danno[27] ed ha vagliato le diverse reazioni risarcitorie[28] - per equivalente o in forma specifica - apprestate dall’ordinamento.
Sulla più ricorrente forma di responsabilità, quella extracontrattuale della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti occorre dunque soffermarsi nel prosieguo.
Va poi segnalato che alcuni orientamenti giurisprudenziali[29] tendono ad estendere alla pubblica amministrazione la responsabilità[30] da contatto sociale, quando il comportamento dell’amministrazione (tenendo conto dell’immediata percepibilità del canone di corretta condotta) sia da qualificare come negligente o imprudente secondo i parametri dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i quali implicano il corretto sviluppo procedimentale e la legittima emanazione del provvedimento finale, salvo errore scusabile. Tanto comporta che la responsabilità[31] dell’amministrazione pubblica per lesione di interessi legittimi non del tutto coincide con quella extracontrattuale[32], sussistendo anche profili rilevanti, in particolare, in riferimento alla componente dell’ onus probandi, assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale[33]. Ciò si verifica in considerazione dell’interesse giuridicamente protetto al giusto procedimento amministrativo.
2.1. La responsabilità extracontrattuale della p.a. La solidarietà passiva tra p.a. e suoi dipendenti e i limiti al principio: l’occasionalità necessaria e il “rischio elettivo”
La principale peculiarità dell’illecito civile, e, in particolare, di quello extracontrattuale, qualora l’autore del danno sia una pubblica amministrazione è data, rispetto alla generale evenienza di una condotta illecita posta in essere da comuni soggetti privati, dal meccanismo della c.d. solidarietà passiva delineata dall’art.28 cost., e dagli art.22 seg., d.P.R. n.3 del 1957: se a produrre un danno a terzi è un pubblico dipendente nell’esercizio di compiti istituzionali, del danno risponde anche l’ente di appartenenza. La previsione, statuente una corresponsabilità tra datore di lavoro e lavoratore, trova nell’impiego privato un corrispondente nell’art. 2049 c.c., rispondente tuttavia ad una diversa finalità.
La ratio del coinvolgimento “pecuniario” della pubblica amministrazione in caso di danni arrecati a terzi da propri dipendenti va ricercata nella evidente circostanza che lo Stato e gli altri enti pubblici non possono agire che a mezzo dei propri organi, il cui operato non è di soggetti distinti, ma degli enti stessi in cui essi s'immedesimano: ed è in virtù di tale rapporto organico che la responsabilità derivante dalla loro attività risale appunto alle persone giuridiche pubbliche delle quali sono espressione15. La normativa de qua sancisce una corresponsabilità anche del lavoratore: ma la scelta del costituente fu dettata, come è noto, dall’esigenza di pungolare il pubblico dipendente ad una più puntuale e diligente osservanza dei propri doveri, coinvolgendolo economicamente in prima persona in casi di danni arrecati a terzi nell’espletamento di compiti istituzionali. Sta di fatto, come la ricca casistica giurisprudenziale ha da sempre evidenziato, che ben raramente venga evocato in giudizio risarcitorio personalmente il dipendente pubblico (civile o militare), preferendo il terzo danneggiato convenire il più solvibile datore di lavoro pubblico[34], che poi, all’esito di un pluriennale contenzioso, ha il dovere di rivalersi nei confronti del proprio dipendente segnalando la notitia damni (intervenuta condanna risarcitoria definitiva della p.a. in sede civile o amministrativa) alla Procura della Corte dei conti o attivando un’azione civile di danni innanzi all’a.g.o.[35] La giurisprudenza ha poi chiarito che la responsabilità della p.a. sussiste anche quando non sia possibile identificare il pubblico dipendente responsabile del danno. Tale disciplina è volta a tutelare la pretesa creditoria del privato; essa è indice del principio di favor creditoris, immanente nel nostro ordinamento, salve ipotesi eccezionali.
La responsabilità solidale della p.a. datrice di lavoro per condotte dannose verso terzi di propri dipendenti incontra un connaturato limite: la pubblica amministrazione può essere chiamata a rispondere di tali danni arrecati a terzi solo qualora il proprio dipendente li abbia arrecati nell’esercizio di compiti istituzionali o di compiti legati da “occasionalità necessaria” con compiti di istituto.
La miglior dottrina [36]ha chiarito che tale “occasionalità necessaria” con compiti istituzionali viene meno qualora la condotta dannosa del dipendente sia frutto di comportamenti dolosi o egoistici e, in particolare, qualora questi si traducano in un illecito penale doloso, comportante, come tale, una cesura del rapporto organico con la p.a. che non può essere ritenuta corresponsabile di reati dolosi o di scelte (illecite, stravaganti, egoistiche) esclusivamente personali del lavoratore, in quanto il delinquere, almeno per la pubblica amministrazione, non è un compito istituzionale-pubblicistico, ispirandosi le scelte pubbliche a principi costituzionali di liceità, ancor prima che di legalità e buon andamento della p.a. Si rileva, in ottica comparatistica, che, anche in altri ordinamenti, quale quello francese, la pubblica amministrazione non può essere chiamata a rispondere di faute personelle dei propri dipendenti, ma di soli faute de service[37].
Alcuni recenti studi[38] hanno tuttavia evidenziato come un orientamento giurisprudenziale, pur condividendo in via di principio tale approdo dottrinale, che ha contribuito essa stessa a creare e consolidare[39], così da farlo assurgere a “principio generale del diritto”, spesso, nelle concrete applicazioni, si discosta vistosamente dalla regola posta in via astratta, effettuando strappi applicativi nell’individuare la sussistenza della cennata occasionalità necessaria[40].
3. La responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente: fonti normative, profili generali e distinzione tra illecito amministrativo e illecito contabile.
Nell’ambito delle cinque responsabilità in cui può incorrere il pubblico dipendente, quella amministrativo-contabile trova oggi la sua unitaria e fondamentale disciplina, sostanziale e processuale, nelle leggi 14 gennaio 1994 n.19 e 20, come novellate dalla legge 20 dicembre 1996 n.639[41] che ha apportato significative modifiche alla materia, nonché al funzionamento del giudice di tale responsabilità, ovvero la Corte dei conti. Detta normativa ha unificato il differenziato regime sostanziale della materia, che in precedenza trovava la sua fonte in testi non uniformi e distinti a seconda dell'appartenenza dei dipendente ad amministrazioni statali (artt. 82 e 83, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; art. 52, r.d. 12 luglio 1934, n. 1914, artt. 18-20, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), enti locali (r.d. 3 marzo 1934, n. 383 e poi art. 58, l. 8 giugno 1990, n. 142), USL (d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), enti pubblici non statali (l. 20 marzo 1975, n. 70). Successive novelle legislative sono poi intervenute - direttamente o indirettamente - su tali norme di base.
Come è noto, la generale applicabilità dell'attuale regime della responsabilità amministrativo-contabile a tutti i dipendenti pubblici, non solo statali, anche dopo l'intervenuta « privatizzazione » del rapporto di pubblico impiego, è confermata da settoriali previsioni: v. l'art. 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (« Per i dipendenti di cui all'art. 2, co. 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche »), l'art. 93 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (« Per gli amministratori e per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato »), l'art. 33, d.lgs. 28 marzo 2000, n. 76 («Gli amministratori e i dipendenti della regione, per danni arrecati nell'esercizio delle loro funzioni, rispondono nei soli casi e negli stessi limiti di cui alle l. 14 gennaio 1994, n. 20 e 20 dicembre 1996, n. 639 »).
Su tale unitario quadro normativo di riferimento, favorevolmente salutato da tutti gli operatori del diritto per aver uniformato un regime in passato frazionato e disomogeneo, avrebbe potuto tuttavia avere una rilevante incidenza sgretolante, in realtà non avutasi, la riforma del titolo V della Costituzione operata della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha ribaltato il previgente criterio di riparto delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni[42]. La responsabilità amministrativo-contabile si configura qualora il dipendente pubblico (o soggetti legati alla p.a. da rapporto di servizio) provochi un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico (compresa l’Unione Europea). Essa, dunque, non differisce sostanzialmente dalla ordinaria responsabilità civile (art. 2043 c.c.), se non per la particolare qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico dipendente o soggetto legato alla p.a. da rapporto di servizio), per la natura del soggetto danneggiato (ente pubblico) e per la causazione del danno nell'esercizio di pubbliche funzioni o in circostanze legate da occasionalità necessaria con lo svolgimento di pubbliche funzioni.
In casi di danni arrecati alla p.a. da un proprio dipendente, l’ente danneggiato potrebbe recuperare il risarcimento attraverso una normale azione civile innanzi al giudice ordinario: in tale evenienza non si pone alcuna interferenza tra l'illecito amministrativo-contabile e quello civile, con l'unico limite del divieto di doppia condanna del dipendente, in sede civile e contabile, per lo stesso fatto e con eventuale effetto decurtante sulla pretesa della Procura erariale derivante dal parziale recupero intervenuto in sede civile o in sede transattiva. L'indipendenza tra i due giudici (ordinario e contabile), anche quando vengano investiti di un medesimo fatto materiale, comporta una mera interferenza tra giudizi (innegabilmente caratterizzati da regimi sostanziali e processuali assai diversi)[43] e non tra giurisdizioni.
Tale approdo interpretativo è stato sottoposto a serrata critica da parte della dottrina, volta a superare il regime della pluralità di azioni (civile e contabile) fondato sul concorso di norme, rivendicando « l'esclusività » della responsabilità amministrativa, quale sistema chiuso, rispetto a quella civile, anche in considerazione dell’ingiustificato distinguo di regimi sostanziali applicati dai due concorrenti giudici, e la più recente giurisprudenza della Cassazione a sezioni riunite sembra ormai orientarsi in questo senso[44]. Nell’ambito della responsabilità in esame, definita amministrativo-contabile, in realtà, sul piano terminologico e concettuale, va operata la fondamentale distinzione, sancita dagli artt. 81 e 82, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (c.d. legge di contabilità generale dello Stato), tra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile dell'agente pubblico, le quali, nonostante presentino alcune essenziali diversità, vengono sovente unitariamente unificate nella più ampia (e generica) nozione di responsabilità amministrativo-contabile. La responsabilità contabile è quella particolare responsabilità patrimoniale in cui possono incorrere solo alcuni pubblici dipendenti, ovvero gli agenti contabili, qualifica ex lege spettante (art. 74, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, c.d. l. cont. gen. St.; art. 178, r.d. 23 maggio 1924, n. 827, reg. cont. gen. St.) ai soggetti che hanno il maneggio di denaro o di altri valori dello Stato o la materiale disponibilità di beni, e, segnatamente: agli agenti della riscossione o esattori, incaricati di riscuotere le entrate; agli agenti pagatori o tesorieri, incaricati della custodia del denaro e dell'esecuzione dei pagamenti; agli agenti consegnatari, incaricati della conservazione di generi, oggetti e materie appartenenti alla p.a.
La rilevanza giuridica dell'assunzione della qualifica di agente contabile si evidenzia dalla lettura degli artt. 33 e 194, r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (reg. cont. St.), secondo cui gli agenti contabili rispondono patrimonialmente per la mera discrasia esistente (per difetto) tra la quantità di beni o denaro a proprio carico «di diritto» e la quantità realmente esistente «di fatto»: la mera deficienza numerica o qualitativa dei beni o valori custoditi o gestiti comporta la responsabilità dell'agente, la cui colpevolezza si presume, e sul quale grava l'onere di dimostrare che la sottrazione non è a lui imputabile a titolo di dolo o colpa grave, o che si sia verificata per fortuito o forza maggiore. In altre parole, a differenza della responsabilità amministrativa, in cui è la pubblica accusa a dover dimostrare la colpevolezza del presunto autore del danno all'erario, per la responsabilità contabile tale (grave) colpevolezza si presume.[45] Le restanti componenti strutturali dell'illecito non presentano invece differenze tra l'illecito contabile e quello amministrativo.
- Conclusioni: tra politica del diritto e analisi economica del costo della responsabilità
Il criterio di imputazione privati stico basato sul nesso di occasionalità necessaria deve dirsi valevole per tutti i comportamenti materiali tenuti dai funzionari pubblici, compresi quelli commessi in occasione dell’esercizio del potere. L’impossibilità di ricondurre siffatti comportamenti alla categoria dei comportamenti amministrativi collegati almeno mediatamente all’esercizio del potere esclude infatti di poter ravvisare in tale esercizio del potere una ragione sufficiente a giustificare la disapplicazione delle regole comuni della responsabilità civile della pubblica amministrazione, aventi portata generale. In nome di un generale principio di equiparazione tra datore di lavoro pubblico e datore di lavoro privato la piena applicazione della responsabilità civile di diritto comune in capo al primo comporta per- tanto la possibilità per il medesimo ente di rispondere dell’illecito ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. Una tale parificazione non ha infatti ragione di essere esclusa in casi siffatti, dal momento che gli interessi pubblici o privati perseguiti nello svolgimento dell’attività istituzionale, rispettiva- mente dell’ente pubblico e di quello privato, non giustificano un diverso trattamento dell’attività non rientrante nel perseguimento di alcuno di quegli interessi, in quanto estranea alle funzioni proprie dell’ente. Di certo, un diverso trattamento non potrebbe essere giustificato da ragioni ascritte alla tutela delle finanze pubbliche, dal momento che un argomento di tal genere è suscettibile di condurre sempre all’immunità della p.a. dalla responsabilità civile, con indebito sacrificio dei valori sanciti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione EDU. L’art. 81 Cost. impone, infatti, agli amministratori di assumere responsabilmente gli impegni finanziari assicurando l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, ma non legittima il sacrificio della tutela giurisdizionale dei diritti dei consociati. Sono occorsi oltre cent’anni, ma finalmente le parole di Lorenzo Meucci hanno trovato un formale riconoscimento nella nostra giurisprudenza di legittimità: nessuno jus singulare nella responsabilità civile della pubblica amministrazione, per la quale, quanto meno in relazione all’attività materiale della p.a., opera intera- mente la disciplina di diritto comune. La soluzione adottata dalla sentenza delle Sezioni Unite qui considerata ha avuto come scopo quello di estendere i confini della responsabilità dell’ente pubblico per l’illecito commesso dal proprio dipendente, aderendo formalmente all’orientamento che esclude il rapporto organico ove il dipendente persegua esclusivamente fini personali, ma rinvenendo in tale circostanza il nesso di occasionalità necessaria. Ciò si giustifica sul piano teorico in ragione della circostanza secondo cui i comportamenti commessi in occasione dell’esercizio del potere non richiedono al giudice di esaminare in concreto la legittimità o l’illegittimità del potere esercitato, che rimane fuori dal thema decidendum del giudizio risarcitorio, ma impongono di verificare se la commissione dell’illecito sia stata causalmente agevolata dalle attribuzioni conferite dal preponente pubblico.
Alle responsabilità amministrativa e contabile in cui incorrono gli operatori della pubblica amministrazione si aggiunge una nuova forma di responsabilità sanzionatoria, individuata dal legislatore con fattispecie tipiche riconducibili alle funzioni di amministrazione attiva negli enti locali. Di particolare interesse risulta la norma contenuta nella legge finanziaria 2003 del 27 novembre 2002 n. 289 al c. 15 dell’art. 30 laddove prevede espressamente che “qualora enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento in relazione all’art. 119 della Costituzione i relativi atti e contratti sono nulli”. Il richiamato art. 119 della Costituzione, come novellato della l. cost. n. 3 del 18 ottobre 2001, riconosce ai comuni, alle province e alle regioni autonomia finanziaria di entrata e di spesa ma pone il limite invalicabile al ricorso al mercato finanziario statuendo che gli stessi enti possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento escludendo ogni garanzia dello Stato sugli stessi prestiti. Per assicurare l’osservanza del rispetto del divieto costituzionale lo stesso art. 30 prevede che “Le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa deliberazione, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque fino a venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione. La previsione della sanzione è preceduta dall’affermazione della nullità di atti e contratti. La norma in esame che è seguita da altre analoghe prevede una responsabilità per fattispecie tipica di natura esclusivamente sanzionatoria che trova fondamento nel contesto costituzionale degli artt. 130, c. 2 e 119 della Costituzione e che si distacca completamente dalla tradizionale forma di responsabilità amministrativa e contabile che presuppone un danno erariale riconducibile alla condotta di operatori pubblici che abbiano agito ponendo in essere comportamenti illeciti caratterizzati dalla sussistenza del dolo o di colpa grave. Il fine della nuova norma non è la reintegrazione del patrimonio pubblico leso dal comportamento in giudizio, bensì l’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’organismo deliberante dell’ente locale per far ricorso a spese che non risultano supportate di copertura finanziaria. La ratio è da individuare nell’equilibrio di bilancio per il rispetto del patto di stabilità. Obiettivo del legislatore è che la gestione finanziaria dell’ente locale si fondi sul pareggio complessivo e non apparente nell’osservanza della regola basilare secondo cui alla copertura delle spese correnti debba provvedersi facendo ricorso alle entrate correnti. Fattispecie analoga è quella prevista dall’ultima legge finanziaria che pone il divieto di contrarre mutui per spese che non risultino di investimento con l’effetto di trasferire alle generazioni successive o comunque in un contesto politico-finanziario non attuale spese che vengono a soddisfare esigenze immediate cui bisognerebbe far ricorso con copertura di entrate correnti. La tecnica sanzionatoria è la stessa già richiamata: infatti il contratto di mutuo è nullo e gli amministratori che hanno provveduto ad adottare la deliberazione sono condannati ad una sanzione nei limiti di un minimo di cinque fino a venti volte l’indennità di carica percepita
Occorre rilevare come sia immanente una ratio di protezione – quale “safe harbor” - della condotta attiva del dipendente pubblico, per non mortificare l’attività del medesimo. A ciò fa da contraltare un restringimento del perimetro delle fattispecie di responsabilità del dipendente pubblico. Tale moderna intelaiatura del sistema di responsabilità, tuttavia, necessariamente, dovrà essere coordinata con i principi penalistici di matrice euro-unitaria, tra cui ex multis quello di tipicità, prevedibilità e contraddittorio.
Alla luce di una analisi economica del diritto, sembra, tuttavia, che tale orientamento della politica legislativa consenta una ottimale allocazione del costo della responsabilità (c.d. ottimo paretiano)[46] del dipendente pubblico “attivo”, anche in ragione della generale categoria della colpa grave e del peculiare sistema di rivalsa da parte dell’Amministrazione.
Esso costituisce un inducement[47], ossia un meccanismo di coercizione indiretta, nei confronti del dipendente pubblico che ponga in essere una condotta attiva[48] non gravemente colposa, quale corollario dei principi di buon andamento, efficacia, economicità ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), nonchè degli equilibri di finanza pubblica (art. 81 Cost.).
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[1] E. SCOTTI, Liceità, legittimità e responsabilità dell’amministrazione, Napoli, 2012; M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 1117, secondo il quale “non sono riferibili all’Amministrazione le azioni che non provengono da soggetti i quali possano essere considerati agenti di essa, …. gli atti personali degli agenti (lettere e negozi privati), gli atti viziati da incompetenza assoluta (straripamento di potere) e i comportamenti posti in essere volutamente (dolosamente) in violazione di norme proibitive (diversamente dall’opinione corrente nella dottrina francesi, si ritiene che il fatto che costituisca reato doloso istituzionalmente non può essere ascritto all’Amministrazione)”. Sul punto v. anche E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, 575; E. GRECO, La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2003, 1741; M. CLARICH, La responsabilità civile della pubblica amministrazione nel diritto italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 1989, 1085.
[2] Nell’attuale quadro ermeneutico obiettivamente variegato in giurisprudenza, appare decisamente preferibile la conclusione per cui la compresenza di azione civile ed azione contabile debba –a tutto concedere - ritenersi ammissibile solo con riferimento all’azione promossa con la costituzione di parte civile nel processo penale, limitatamente alla pronuncia da parte del giudice ordinario di una mera condanna generica. In questo senso, si richiama la recente Cass. SS.UU. del 31 luglio 2017 n. 1899 che aderisce espressamente all’ermeneusi della Corte Costituzionale, di cui alla sentenza n. 272/2007: in tale condivisibile arresto, anche il Giudice del riparto correttamente rinviene la “legittima coesistenza tra la giurisdizione penale in punto di condanna generica e quella esclusiva contabile in punto di quantum ai sensi proprio dell’art. 538 cod. proc. pen., nel senso di mantenere al giudice penale, a tutto concedere, riservata solo la giurisdizione sulla prima”. Il G.O. risulta, invece, carente di giurisdizione in ordine ad azioni di responsabilità promosse dalla pubblica amministrazione nei confronti dei propri amministratori e dipendenti, e comunque della possibilità di liquidare nel quantum in via definitiva il danno patito dalla P.A., con conseguente dequotazione della tematica del ne bis in idem tra azione risarcitoria della P.A. dinanzi al G.O. ed azione per danno erariale dinanzi alla Corte dei conti per i medesimi fatti. La natura fisiologicamente esclusiva della giurisdizione contabile e la conseguente “eccezionalità” dell’azione risarcitoria instaurata dalla P.A. dinanzi al G.O. è fatta propria dalla relazione illustrativa del codice di giustizia contabile, ove viene precisato che è stata lasciata alla “concretezza della realtà sottesa alla variegata casistica l’opzione eccezionale di portare la stessa fattispecie con il medesimo fine del risarcimento del danno, alla cognizione del giudice contabile da parte del procuratore regionale e a quella del giudice civile da parte dell’amministrazione danneggiata, magari successivamente all’iniziativa del pubblico ministero contabile. La scelta del legislatore delegato è stata nel senso di prendere atto della impossibilità di risolvere in norma la questione de qua, non potendo, da un lato, vietare in assoluto alle pubbliche amministrazioni di intraprendere giudizi che potrebbero, anche in relazione agli esiti, rischiare di porsi come temerari e fonte di danno aggiuntivo, oltre che di sicuro onere in ragione dei costi di difesa: dall’altro, di ribadire l’ovvio, ovvero la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa”.
[3] Per un esame funditus dell’argomento v., ex multis, S. ROMANO, Organi, in ID., Fram- menti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; A. ROMANO, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti soggettivi, in Dir amm. 1998; ID., Interesse legittimo e ordinamento amministrativo, in Atti del convegno celebrativo del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Torino, 1981, 1983, pp. 95 ss.; ID., Sono risarcibili: ma perché devono essere interessi legittimi?, nota a Cass. civ., sez.. un., n. 500/1999, in Foro it., 1999, III, c. 3222 ss.; ID., Risarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi ed opere pubbliche, in Risarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi, Atti del XLIII Convegno di Scienza dell’Amministrazione, Varenna-Villa Monastero, 18-20 settembre 1997, Milano, 1998; ID., La risarcibilità degli interessi legittimi: il parere di un rappresentante dell’accademia, in Temi romana, 2000 fasc. 3, pt. 1, pp. 1074-1083; E. CASETTA, Responsabilità della Pubblica Amministrazione, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino, 1997, pp. 219 ss.; ID., L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953; E. SCOTTI, Liceità, legittimità e responsabilità dell’amministrazione, Napoli, 2012; ID., Appunti per una lettura della responsabilità dell’amministrazione tra realtà e uguaglianza, in Dir. amm., 3, 2009, pp. 521 ss.; F. SATTA, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1998, p. 1085; G.M. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, 2000; ID., Giurisdizione esclu- siva e affermazione della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Urbanistica e appalti, n. 2, 2002, pp. 199 e ss.; ID., Principio di correttezza e responsabilità della pubblica amministrazione, in Servizi Pubblici e Appalti, 1, 2003, pp. 122 ss.; ID., Contratti e Responsabilità delle Pubbliche amministrazioni nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Torino, 2008. R. GAROFOLI, G.M. RACCA, M. DE PALMA, La responsabilità della pubblica amministrazione e il risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003; F. MERUSI, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la Costituzione: l’art. 28 rivisitato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1986, pp. 41 ss.; E. FOLLIERI (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004; A. ROMANO TASSONE, La responsabilità della p.a. tra provvedimento e comportamento, in Dir. amm., 2, 2004, pp. 209 ss.; M. SANTILLI, Il diritto civile dello Stato. Momenti di un itinerario tra pubblico e privato, Milano, 1985, pp. 145 ss.; M. C. CAVALLARO, Potere amministrativo e responsabilità civile, Torino, 2004.
[4] Cfr. Corte di cassazione; SS. UU,, n. 13246 del 2019
[5] Un primo orientamento, fondato sui criteri pubblicistici di imputazione dell’illecito, riteneva che la responsabilità dello Stato o degli enti pubblici per il fatto illecito dei loro dipendenti o funzionari fosse diretta e sussistesse esclusivamente in caso di attività corrispondente ai fini istituzionali. In virtù del rapporto organico, quella attività doveva essere imputata direttamente all’ente ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 cod. civ. e 28 Cost. L’agire del dipendente per finalità esclusivamente personali ed egoistiche recideva il rapporto organico ed escludeva pertanto la responsabilità dell’ente, facendo residuare la sola responsabilità del dipendente per fatto proprio. Contraddittoriamente si invocava al contempo il c.d. nesso di occasionalità necessaria, anch’esso ricondotto al combinato disposto degli artt. 28 Cost. e 2043 cod. civ.; ai fini della sua sussistenza si riteneva sufficiente che le funzioni svolte per l’ammi nistrazione avessero determinato, o anche soltanto agevolato, la realizzazione del fatto lesivo. Codesto nesso veniva considerato sussistente tutte le volte in cui il pubblico dipendente non avesse agito come semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all’amministrazione, ma avesse tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni assegnate all’agente dalla p.a. di appartenenza, finanche quando il dipendente, svolgendo un’attività diretta al perseguimento di finalità proprie della stessa p.a., perseguisse contestualmente e in maniera non esclusiva interessi personali o commettesse abusi. Tuttavia, si diceva che « solo quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, che si riveli assolutamente estraneo all’Amministrazione, o contrario ai fini che questa persegue, ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, (...) cessa il rapporto organico fra l’attività del dipendente e la P.A. », cfr. Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2014, n. 21408; Id., 29 dicembre 2011, n. 29727. Si considerava dunque il rapporto organico e il nesso di occasionalità necessaria alla stregua di due presup posti della responsabilità della p.a. per l’illecito commesso dal proprio dipendente sostanzialmente coincidenti e interrotti alle medesime condizioni. Ciò presupponeva la necessità di ravvisare in capo alla p.a. di appartenenza una culpa in vigilando o in eligendo rispetto al dipendente autore dell’illecito ex art. 2043 cod. civ. Un secondo orientamento riteneva sussistente la responsabilità indiretta dello Stato o dell’ente pubblico in presenza di un nesso di occasionalità necessaria tra la condotta illecita del dipendente e le funzioni attribuitegli. A suo sostegno si richiamavano i criteri di imputazione privatistici sanciti dall’art. 2049 cod. civ.: la responsabilità del preponente pubblico, al pari di quello privato, era considerata una responsabilità oggettiva per fatto altrui concorrente con quella del preposto, che rispondeva per fatto proprio nei limiti del dolo o della colpa grave. L’agire per finalità esclusivamente personali ed egoistiche del dipendente non era considerato motivo di recisione del nesso di occasionalità necessaria. Pertanto, l’ente rispondeva dell’illecito ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. Così Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6632; Id., sez. I, 20 marzo 1999, n. 2574. Si finiva per attrarre nell’ambito della responsabilità del datore di lavoro qualsiasi fatto illecito ascrivibile ai lavoratori comunque connesso al contesto lavorativo, mentre il preponente non veniva gravato delle conseguenze di un fatto posto in essere dal preposto al di fuori dell’espletamento delle incombenze demandategli e per un fine del tutto estraneo all’adempimento di queste ultime. Così Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2001, n. 14096.
[6] R. ALESSI, L’illecito e la responsabilità civile degli enti pubblici, Milano, 1972; E. CANNADA BARTOLI, Introduzione alla responsabilità della Amministrazione pubblica, in (a cura di) E. CANNADA BARTOLI, La responsabilità della Amministrazione pubblica, Torino, 1976; A. TORRENTE, La responsabilità indiretta della Amministrazione pubblica, in Riv. dir. civ., 1958, I, pp. 278 ss., che ravvisavano una responsabilità indiretta dell’ente pubblico solo nel caso di attività materiale dei dipendenti pubblici
[7] D. SORACE, Il risarcimento dei danni da provvedimenti amministrativi lesivi di interessi legittimi, comparando, in (a cura di) G. FALCON, Il diritto amministrativo dei paesi europei tra omogeneizzazione e diversità culturali, Padova, 2005, pp. 240, 247. Già F. SATTA, Responsabilità della PA, voce dell’Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 1381, asseriva che il riconoscimento della responsabilità civile della PA avrebbe comportato un flusso di danni e quindi di costi non addebitabili alle casse dello Stato, oltre che un controllo di natura sociale, tradotto in termini giudiziari, dell’azione amministrativa che avrebbe travolto la ripartizione tradizionale dei poteri pubblici.
[8] G. Nicoletti, La responsabilità amministrativa nel contesto della pubblica amministrazione, in Rivista della Corte dei conti, Fasc. 1/2011, p. 461 e ss.
[9] La responsabilità, conosciuta dal giudice ordinario, è diretta alla tutela dei terzi e realizzata attraverso la responsabilità solidale dell’operatore pubblico e dell’ente di appartenenza.
A tali forme di responsabilità si aggiungono quelle devolute alla cognizione della Corte dei conti che trovano supporto nell’art. 103, c. 2, Cost., che attribuisce alla magistratura speciale la giurisdizione in materia di contabilità pubblica.
La responsabilità contabile: essa si configura come particolare responsabilità patrimoniale che colpisce coloro a cui è demandata la gestione di beni o di valori, agenti contabili di diritto.
Sono agenti contabili gli amministratori delle risorse, i tesorieri demandati della custodia del denaro e della esecuzione dei pagamenti, gli agenti consegnatari e tutti coloro che senza legale autorizzazione si ingeriscono nel ruolo di agenti contabili.
La qualifica di agente contabile compete non solo a coloro che in virtù del rapporto di servizio sono preposti alla funzione contabile, ma anche a tutti coloro che realizzano gestione contabile per ingerenza (contabili di fatto).
La posizione di agente contabile comporta che gli agenti contabili di diritto e di fatto sono assoggettati al giudizio di conto.
Infatti gli agenti contabili debbono alla fine di ogni anno rendere il conto giudiziale della loro gestione.
L’agente contabile sarà tenuto a rispondere degli ammanchi e dei danni ove vengano riscontrate differenze ingiustificate tra valori ricevuti in consegna e valori restituiti
[10] Sull’art. 28 Cost. in dottrina v., ex multis, S. ROMANO, Organi, cit.; R. ALESSI, La responsabilità della pubblica amministrazione nell’evoluzione legislativa più recente, in Rass. dir. pubb., I, 1949; ID., Responsabilità del pubblico funzionario e responsabilità dello Stato in base all’art. 28 della Costituzione, in Riv. trim. dir. pubb., 1951; C. ESPOSITO, La responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici secondo la Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951; M.S. GIANNINI, Impiego pubblico (teoria e storia), in Enc. Dir., XX, Milano, 1970; F. MERUSI, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la Costituzione, cit.; E. CASETTA, L’illecito degli enti pubblici, cit.; M. RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978; M.C. CAVALLARO, Potere amministrativo e responsabilità civile, cit., pp. 17 ss.; M. BENVENUTI, Art. 28, in Com- mentario alla Costituzione, 2006. Per una dottrina più antica si veda L. MEUCCI, Della responsabilità indiretta delle amministrazioni pubbliche, in Arch. giur., 1878, XXI, pp. 352 ss.; C.F. GABBA, Della responsabilità dello Stato per danno dato ingiustamente ai privati da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro attribuzioni, in Foro it., 1881, I, pp. 951 ss.; A. BONASI, La responsabilità dello Stato per gli atti dei suoi funzionari, in Riv. it. scienze giur., 1886, p. 8; G. VACCHELLI, La responsabilità civile della pubblica amministrazione ed il diritto comune, Milano, 1892, pp. 107 ss.; V.E. ORLANDO, Saggio di una nuova teoria sul fondamento giuridico della responsabilità civile a proposito della responsabilità diretta dello Stato, in Arch. dir. pubbl., 1893, pp. 247 ss.; O. RANNELLETTI, Sulla responsabilità degli enti pubblici per atti illeciti dei loro commessi, in Foro it., 1898, I, p. 83; F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, 1901, pp. 232 ss.; L. PRESUTTI, La responsabilità della pubblica ammi- nistrazione in relazione alle giurisdizioni amministrative, in La legge, 1901, II, pp. 141 ss.; S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo italiano, 2ª ed., Milano, 1906, pp. 59 ss.
[11] M.S. GIANNINI, Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964; F. MERUSI, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la Costituzione, cit., pp. 41 ss.; P. RESCIGNO, Le obbligazioni della pubblica amministrazione (note minime di diritto privato), in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, p. 131
[12] V. per tutte Cass. civ., 5 gennaio 1979, n. 31. Sul rapporto di immedesimazione organica v. M.S. GIANNINI, Impiego pubblico (teoria e storia), cit., nonché M. RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, spec. pp. 119 ss. Da ultimo, S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova, 2000; P. VIRGA, Diritto amministrativo, Milano, 1999, I, p. 27. L’art. 28 Cost., accompagnato dalla previsione generale secondo cui i dipendenti pubblici rispondono dei danni solo se commessi con dolo o colpa grave (artt. 22 e 23 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3), rappresenta il punto di equilibrio tra la tesi accolta in Gran Bretagna e quella accolta in Germania: mentre nella prima si riconosce la responsabilità personale del dipendente pubblico, solo a certe condizioni estendibile dalla legge agli apparati al servizio dei quali egli opera, nella seconda vige di regola la responsabilità oggettiva indiretta dell’apparato. Il nostro ordinamento, che prevede una responsabilità solidale e diretta tanto dell’ente pubblico, quanto del dipendente limitatamente al dolo e alla colpa grave, consente di bilanciare contrapposte esigenze: quella di assicurare un risarcimento integrale dei danni subiti dalla vittima e di scoraggiare il compimento di illeciti da parte dei dipendenti in vista della possibile rivalsa che l’ente pubblico può esperire nei loro confronti e quella di evitare il rischio di un eccesso di deterrenza, che faccia sorgere in capo ai dipendenti la c.d. « paura della firma », compromettendo l’efficacia dell’azione amministrativa. Al riguardo v. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, II ed., 2013, p. 286. Sulla c.d. « amministrazione difensiva » v. F. FOLLIERI, Politica, burocrazia e buon andamento, in PA Persona e Amministra- zione, 1, 2021, pp. 89 ss.
[13] G. GUARINO, L’organizzazione pubblica, Varese, 1977, pp. 91, 94, 108 ss., 187 ss. e 322; v. al riguardo anche E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo¸ XXI ed., Milano, 2019, pp. 142 ss.
[14] Dibattuta era l’imputabilità in capo alla persona giuridica dei fatti posti in essere dall’organo, primi tra tutti degli illeciti. Taluno ammetteva l’imputazione giuridica di tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti che siano fatti umani, altri consideravano l’imputa- zione riguardante i soli atti. Nel primo senso A. FALZEA, voce Capacità (teoria generale), cit., pp. 293-294; G. GRECO, La responsabilità civile dell’Amministrazione e dei suoi agenti, in (a cura di)
- MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, cit., pp. 1680 ss., secondo cui sia l’attività provvedimentale, sia l’attività materiale dei dipendenti pubblici risulta normalmente imputabile direttamente all’ente di appartenenza. Tuttavia, non è certo se l’imputazione dell’attività materiale debba essere spiegata sulla base del rapporto organico o di altri istituti, quali il rapporto d’ufficio, e nel caso dell’illecito l’A. prospetta l’eventualità di dover utilizzare i criteri autonomi scaturenti dalle norme che disciplinano l’illecito. In presenza di una responsabilità del dipendente per dolo e colpa grave, secondo l’A. il rapporto organico risulterebbe infatti spezzato e l’ente pubblico risponderebbe dell’illecito del dipendente non già ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., ma dell’art. 28 Cost., letto secondo tale prospettiva in termini di responsabilità indiretta e oggettiva che si aggiunge e concorre solidalmente con quella propria del dipendente. A sostegno della tesi in esame v. anche G. GRECO, Argomenti di diritto amministrativo. Parte generale: i lineamenti essenziali del sistema, Milano, 2010, pp. 34 ss.; G. CLEMENTE DI SAN LUCA, Lezioni di diritto amministrativo per il corso di base, 3° ed., Napoli, 2012, pp. 158 ss.; V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, cit., pp. 94-95; M. CARRÀ - W. GASPARRI, Elementi di diritto amministrativo, Torino, 2017, pp. 76 ss.; M. C. CAVALLARO, Immedesimazione organica e criteri di imputazione della responsabilità, cit., spec. pp. 41 ss. Alla seconda tesi aderivano, in particolare, M. S. GIANNINI, Organi (teoria generale), cit., pp. 47-48; F.G. SCOCA, Le amministrazioni come operatori giuridici, cit., pp. 483-484, il quale richiama ai fini dell’imputabilità dell’illecito la disciplina codicistica di cui agli artt. 2046 e 2049 cod. civ., oltre che le regole speciali stabilite per gli enti pubblici dagli artt. 28 Cost. e 25 T.U. degli impiegati civili dello Stato.
[15] Così L. PRINCIPATO, L’art. 28 Cost. e la responsabilità civile dell’amministrazione sanitaria, cit., pp. 1606 ss
[16] In questi termini M. MONTEDURO, Il funzionario persona e l’organo: nodi di un problema, in PA Persona e Amministrazione, 1, 2021, pp. 49 ss., spec. pp. 85 ss., che trae spunto dalla dottrina minoritaria di G. MIELE, Principî di diritto amministrativo, Vol. I (2° ristampa della 2° edizione), Padova, 1966, pp. 75-80 e dalle parole di G. MARONGIU, Funzionari e ufficio nell’organizzazione amministrativa dello Stato, in Studi in memoria di V. Bachelet, Milano, 1987, secondo cui « le persone fisiche » sono « i veri e soli attori del diritto », pp. 418 e a p. 416. Dubbi sulla « tenuta del principio di immedesimazione organica, come criterio di imputazione della responsabilità » e sulla « persona fisica come protagonista dell’organizzazione » sono espressi rispettivamente da M. C. CAVALLARO, Immedesimazione organica e criteri di imputa- zione della responsabilità, in PA Persona e Amministrazione, 1, 2019, pp. 44 e 50 e da M. BELLAVISTA, La posizione organizzativa del responsabile del provvedimento e di quella del responsabile del procedimento, in PA Persona e Amministrazione, 1, 2019, p. 385, dal primo Autore citato richiamati. Secondo B. GILIBERTI, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2020, pp. 26 ss. l’unità fondamentale dell’organizzazione pubblica dovrebbe essere la persona fisica. Contra v. G. TROPEA, Amministrazione per fini pubblici e giurisdizione, in PA Persona e Amministrazione, 1, 2021, pp. 319 ss., secondo cui si rischia di consolidare « una persistente antica anima oggettiva della procedura e del giudizio amministrativo », spec. pp. 323 e 354.
[17] L’assenza, nel testo dell’art. 2049 cod. civ., di ogni riferimento alla colpa ha consentito alla dottrina di configurare una responsabilità oggettiva per le attività di impresa, fondate sul rapporto di lavoro subordinato che lega il dipendente all’imprenditore. V. in materia C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 329. In senso contrario v. R. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità per colpa e responsabilità oggettiva, in Scritti giuridici, 1. Scritti di diritto civile, Padova, 1996, p. 407 e ID., Responsabilità per fatto altrui, in Scritti giuridici, cit., p. 457.
[18] A tal riguardo Meucci affermava: « Qui non è più soltanto la colpa presunta per la coabitazione, per la sorveglianza e la direzione immediata, per la solidarietà domestica o famigliare, e quasi per la materiale continenza di luogo: ma è qualche cosa di più largo, cioè la estensione della nostra garanzia e responsabilità a ciò che si fa anche fuori di casa nostra, bensì a nostro nome, nel nostro interesse e con nostro prestigio [...] e ciò per un principio di equità e di diritto generale, razionale e positivo, esser giusto e naturale che ognuno risenta gl’incomodi di là onde ritrae i vantaggi, e che non sia impunemente per nostra causa e negligenza danneggiato chi trattò con noi o colle persone scelte da noi, collocate sotto la nostra autorità e agenti a nome e nell’interesse nostro », cfr. L. MEUCCI, Instituzioni di diritto amministrativo, Roma, ed. I, 1879, pp. 306-307 e 310
[19] Il criterio elaborato a tal fine dalla giurisprudenza invoca perciò un giudizio oggetti- vizzato di normalità statistica, riferita alle ipotesi in astratto definibili come « più probabili che non ». Ciò in ossequio al criterio di accertamento della causalità materiale da utilizzare in sede civile secondo l’insegnamento della sentenza n. 576 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
[20] V. in tal senso M. D’ALBERTI, Attività amministrativa e diritto comune, in (a cura di) U. AL- LEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, 1987; ID., La partizione pubblico privato esiste ancora?, in (a cura di) F. SPANTIGATI, Sulle trasformazioni dei concetti giuridici per effetto del pluralismo, Napoli, 1998; ID., Intervento al Seminario: “Il grande abisso fra diritto pubblico e diritto privato. La comparazione giuridica e la contrazione dello Stato”, in Nomos, 2000, n. 1, pp. 72 ss.; ID., Il diritto amministrativo fra ordinamento comunitario e diritto comune metaeuropeo, in (a cura di) N. GRECO, P. BIONDINI, Diritto e amministrazione pubblica nell’età contemporanea, Roma, Scuola superiore della pubblica amministrazione, 2001, pp. 2-37; ID., Diritto amministrativo e diritto privato: nuove emersioni di una questione antica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2012, pp. 1019 ss.; da ultimo v. G.P. CIRILLO, Sistema istituzionale di diritto comune, Milano, 2018.
[21] Vero è che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 235 del 2014, ha statuito che il principio di integrale riparazione del danno non gode di una garanzia costituzionale, tanto che il legislatore ordinario può talvolta ridurre l’entità del risarcimento riconosciuto al danneggiato senza con ciò trasformarlo in un ristoro solamente simbolico. Ciò è tuttavia condizionato dalla presenza di interessi pubblici da preservare, che nel caso sottoposto all’esame della Consulta sono stati ravvisati nell’interesse a mantenere basso il livello dei premi assicurativi. La Corte mostra in tale occasione di tenere in debita considerazione gli effetti sistemici che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 139 del Codice delle assicurazioni private,
- lgs. n. 209 del 2005, produrrebbe: tale norma prevede un tetto massimo per il risarcimento del danno non patrimoniale da responsabilità civile automobilistica riferita alle lesioni di lieve entità, sospettata di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza rispetto al danno risarcibile in conseguenza di una differente fonte illecita. La Corte ha affermato che la natura obbligatoria del sistema assicurativo da r.c. auto rende indispensabile
una limitazione del risarcimento, dal momento che, secondo la logica della socializzazione del rischio, il risarcimento assicurato alle vittime della strada viene riversato sui consociati chiamati al pagamento dei premi assicurativi. Un risarcimento pieno comporterebbe un innalzamento del livello dei premi assicurativi che rischierebbe di rendere l’assicurazione obbligatoria in questione inaccessibile per i consociati in condizione di indigenza economica. Un interesse pubblico di tal genere, che consente di limitare il risarcimento del singolo in ragione dell’interesse generale alla luce degli effetti sistemici che l’eliminazione della norma incriminata produrrebbe sulla generalità dei consociati, non sembra ravvisabile nell’eventuale disapplicazione dell’art. 2049 cod. civ. nei confronti dei preponenti pubblici. Una tale disapplicazione non può infatti essere invocata in ragione della mera natura pubblica del soggetto chiamato a rispondere dell’illecito commesso dal dipendente, tanto alla luce della totale mancanza di interessi pubblici da preservare nello svolgimento dell’attività materiale della p.a., quanto alla luce della inidoneità delle ragioni di finanza pubblica a sorreggere una soluzione di segno opposto. Altrimenti sarebbe pregiudicata la generalità dei consociati, sempre chiamata a sopportare il rischio dei danni derivanti da qualsiasi attività della p.a., senza che ciò risponda a canoni di prevedibilità o di razionale allocazione del rischio rispondente al tipo di attività intrapresa da ciascun consociato. Più che una considerazione in chiave sistemica dell’interesse generale, si avrebbe in tale eventualità un’esaltazione dell’interesse puntuale dell’amministrazione, con un ritorno alla logica dei privilegi della p.a.
[22] Recita l’art. 55, co.1, d.lgs. n.165 del 2001: “Per i dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.
[23] cagionati dallo Stato, dalla pubblica amministrazione e dal fisco, Halley, 2008, 329; F. FRACCHIA, Osservazioni in tema di responsabilità del dipendente pubblico e attività contrattuale (nota a Cass., sez. II, 6 febbraio 1999 n. 1045), in Foro it., 1999, I, 1194 e G. MORBIDELLI, Della responsabilità contrattuale (e di quella “provvedimentale”) dei dirigenti, in Dir.amm., 1999, f.2, 199 ss. Quest’ultimo attento studioso richiama diversi autorevoli indirizzi dottrinali tendenti ad escludere, in caso di inadempimento contrattuale della p.a., una responsabilità contrattuale del singolo dipendente, in quanto quest’ultimo non è parte del contratto e, come è noto, nella responsabilità contrattuale può incorrere solo chi è parte del rapporto, ovvero la sola p.a. Tuttavia il dipendente materiale autore dell’inadempimento (es. ritardo in un lavoro, tardiva restituzione di un’area) potrà essere chiamato a rispondere, in base all’ampia portata dell’art.28 cost., a titolo extracontrattuale del danno arrecato alla controparte, anche alla luce della ormai acquisita tutela extracontrattuale (c.d. esterna) del diritto di credito e della possibile concorrenza tra tutela contrattuale ed extracontrattuale del terzo leso. In deroga a tale generale principio della non responsabilità sul piano contrattuale dei singoli dipendenti, ma della sola p.a., il legislatore ha previsto alcune tassative eccezioni: il riferimento è all’art. 191, d.lgs. 18 agosto 2000 n.267, in cui è refluito l’art.35, d.lgs. 25 febbraio 1995 n.77 (riproduttivo, a sua volta, dell’analogo previgente art. 23, co.4, d.l. 2 marzo 1989 n.66 (conv.to in l. 24 aprile 1989 n.144), secondo il quale in tema di assunzione di impegni e di effettuazione di spese da parte degli enti locali, qualora la richiesta di prestazioni e servizi proveniente da amministratore o funzionario dell'ente locale non rientri nello schema procedimentale di spesa tipizzato dal comma 3 della norma, non sorgono obbligazioni a carico dell'ente, bensì dell'amministratore o del funzionario, i quali rispondono con il proprio patrimonio, senza che sia esperibile azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente. In sintesi, al precedente regime (in cui, nelle ipotesi di nullità del negozio concluso dalla p.a. per effetto della violazione delle norme regolatrici della sua formazione, era esperibile nei confronti della suddetta p.a. l'azione di arricchimento senza causa, oltre, eventualmente, quella di responsabilità precontrattuale), si è sostituita, relativamente agli enti locali, la disciplina del d.l. n. 66 del 1989 (convertito in legge n. 144 del 1989, riprodotta nell'art. 35 del d.lg. n. 77 del 1995), ed oggi dell’art.191, d.lgs. n.267 del 2000, che ha sancito l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica tra detti enti ed i loro funzionari o amministratori e regolato il rapporto tra questi ultimi ed i privati contraenti, facendo salva la validità del contratto, ma configurando il rapporto negoziale come intercorrente tra il privato e l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la fornitura, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, con la conseguenza che è esclusa l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento nei confronti della p.a., data la sua natura sussidiaria. Sulla norma, ex pluribus, Cass., sez.II, 9 dicembre 2014 n. 21340; id., sez.VI, 23 gennaio 2014 n.1391, entrambe in Ced Cassazione; id., sez. III, 14 novembre 2003 n. 17257, in Giust. civ. Mass., 2003, f. 11.
La norma (nella sua originaria formulazione del d.l. 66 del 1989) ha retto anche il vaglio della Corte Costituzionale: v. C.cost., 24 ottobre 1995 n.446, in Foro it., 1996, I, 21, con nota di F. CARINGELLA. Sulla ratio della norma v. G. MORBIDELLI, op.ult.cit., 206 ss. La giurisprudenza ha però chiarito (Cass., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11597, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 5) che l'ente territoriale può riconoscere a posteriori i debiti fuori bilancio, con apposita deliberazione consiliare di riconoscimento del debito nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente stesso, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza, fermo restando che, in caso di mancato riconoscimento, il rapporto contrattuale intercorre unicamente tra il terzo contraente e il funzionario o l'amministratore che ha autorizzato la prestazione e che costoro restano comunque soggetti all'azione diretta e rispondono delle obbligazioni irregolarmente assunte nei limiti della parte non riconosciuta mediante la procedura relativa alla contabilizzazione dei debiti fuori bilancio. Ogni valutazione circa l'opportunità di attivare il procedimento di riconoscimento dei debiti fuori bilancio e la ricorrenza dei presupposti di legge spetta all'amministrazione, senza alcuna possibilità di sostituzione da parte del giudice.
[24] Sulla responsabilità precontrattuale in generale v. V . TENORE, Le cinque responsabilità cit., 5 seg.; A. M. CHIESI-F. MEROLA, La responsabilità precontrattuale, Milano, 2012, 1429 ss.; v. R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI,
Manuale di diritto amministrativo, 2011, 720; V. D’ARPE, La responsabilità contrattuale della p.a., in VIOLA, I danni cagionati dallo Stato, dalla pubblica amministrazione e dal fisco, Halley, 2008, 329; M. CORRADINO, Il diritto amministrativo alla luce della recente giurisprudenza, Padova, 2007, 795; BIANCA, Diritto civile, 3 Il contratto, Milano, 2000, 155 ss.; sulla responsabilità precontrattuale della p.a., ipotizzabile anche a fronte dell’art.4, L.A.C., dovendo il giudice sindacare il comportamento dell’amministrazione che agisca iure privatorum come corretto contraente e non già come corretto amministratore (v. Cass., 17 novembre 1978 n.5323, in Giust.civ., 1979, I, 32; id., sez.un., 4 agosto 1995 n.8541, in Giust.civ. Mass., 1995, 1479), v. C. GIURDANELLA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in www.giustamm.it, n.12, 2005.
In particolare, sussiste la responsabilità della p.a. a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. nel caso in cui l'amministrazione, dopo avere indetto una gara di appalto e pronunciato l'aggiudicazione, dispone la revoca dell'aggiudicazione stessa e degli atti della relativa procedura per carenza delle risorse finanziarie occorrenti sacrificando gli affidamenti suscitati nell'impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi. Il risarcimento del danno va riconosciuto nei limiti dell'interesse negativo, rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative e dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipula con altri di un contratto almeno parimenti vantaggioso. Si pensi ancora a casi di omissione, dolosa o colposa, di atti necessari per la validità o efficacia di un contratto, o al recesso irragionevole da trattative in assenza di sopravvenienze di fatto o di diritto (v. M. BIANCA, op.ult.cit., 178 ss.).
In giurisprudenza, vedasi Cass., 20 marzo 2012 n.4382, in Ced Cassazione e id., sez. III, 10 giugno 2005, n. 12313, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 6, secondo cui la responsabilità precontrattuale della p.a. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buonafede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c.; in particolare, se non è configurabile una responsabilità precontrattuale, per violazione del dovere di correttezza di cui all'art. 1337 c.c. rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa è configurabile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle trattative dell'ente è sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del "neminem laedere", ove sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto. Spetta al giudice di merito accertare se il comportamento della p.a. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera colpa, un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto.
In punto di giurisdizione, la recente sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 5 settembre 2005, n. 6 (in D&G - Dir. e Giust,. 2005, f. 39, 99) ha chiarito che in base all'art. 6, l. n.205 del 2000 sussiste la giurisdizione esclusiva del g.a. per tutte le controversie tra privato e p.a. riguardanti la fase anteriore alla stipula dei contratti di lavoro, forniture e servizi (la fase di evidenza pubblica rivolta alla scelta del contraente privato): e ciò sia che tali controversie concernino interessi legittimi, sia che riguardino diritti soggettivi. Sussiste quindi la giurisdizione esclusiva del g.a. per le controversie che riguardano la responsabilità precontrattuale della p.a. per il mancato rispetto da parte di quest'ultima delle norme di correttezza di cui all'art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune.
[25] Sulla responsabilità civile in generale e sulle sue tipologie, oltre alla tradizionale manualistica, è sufficiente il richiamo a FAVA (a cura), La responsabilità civile, Milano, 2010; C. SALVI, La responsabilità civile, in Trattato di Diritto Privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, Milano, 2005; P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, 639 ss.; BIANCA, Diritto civile, V La responsabilità, Milano, 1994; F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1993
[26] Secondo l’art.22, d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3 “L'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 (cioè con doloo colpa grave, n.d.a.) è personalmente obbligato a risarcirlo. L'azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato.
L'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19. Contro l'impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l'azione dell'Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave“.
Si rammenta che il disposto degli art.22 seg., d.P.R. n.3 del 1957 è ancora vivo e vitale anche dopo la c.d. privatizzazione del rapporto di pubblico impiego in virtù dell’espresso richiamo alla disciplina sulle responsabilità previgente alla “depubblicizzazione” del rapporto di lavoro con la p.a. operato dall’art.55, d.lgs. 30 marzo 2001 n.165, secondo cui “Per i dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.
[27] Tra i contributi sul codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n.104), v. P. D’ANGELO, Accertamento dell’illegittimità (a fini risarcitori) senza esito di annullamento, in Corr.Merito, 2012, 2, 201; C. MIGNONE, Giustizia amministrativa, Padova, 2012, 109; F. CARINGELLA, Codice del nuovo processo amministrativo, Dike Roma, 2010; G. PALLIGGIANO, U. ZINGALES, Il codice del nuovo processo amministrativo, Ipsoa, 2010; A. PAJNO, G. PELLEGRINO, Codice del processo amministrativo, Maggioli, 2010; SANTI Di PAOLA, Guida al nuovo codice del processo amministrativo, Maggioli, 2010; AA.VV., Il nuovo codice del processo amministrativo, Guida al diritto, settembre 2010.
[28] Sul punto M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 551 ss.
[29] V. Cons. Stato, sez.VI, 30 dicembre 2014 n.6421; id., sez.VI, 4 luglio 2012, n. 3897, entrambe in www.giustizia- amministrativa.it.
[30] Sulla responsabilità civile del dipendente pubblico e della p.a. in generale cfr., senza pretesa di esaustività, tra gli studi più recenti M. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011; D. COSSU, La responsabilità della P.A., in FAVA (a cura di), La responsabilità civile, Milano, 2010; F. CARINGELLA (a cura di), La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, Bologna, 2005; FOLLIERI (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004; G. GARRI, R. GIOVAGNOLI, Responsabilità civile delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici, Itaedizioni Torino, 2003; NAPOLITANO, La responsabilità civile, in G. NAPOLITANO-, Le responsabilità del pubblico dipendente, Padova, 2003; AA.VV. (a cura di VISINTINI), Le nuove aree di applicazione della responsabilità civile, Milano, 2003; R. CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano, Milano, 2001.
[31] L’azione risarcitoria innanzi al g.a. è stata ritenuta costituzionalmente legittima da C.cost., 6 luglio 2004 n.204 (in www.cortecostituzionale.it e in Foro it., 2004, I, 2594 con note di A. TRAVI e F. FRACCHIA), che ha stralciato dalla previsione dell’art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (nella versione di cui alla legge n. 205 del 2000) il termine
«comportamenti», devolvendo al giudice ordinario la cognizione delle liti relative a diritti soggettivi provocate da condotte materiali dell’amministrazione e lasciando al giudice amministrativo le liti per danni da provvedimenti dannosi o da mancata (o tardiva) adozione di provvedimenti. Sulla generale giurisdizione ordinaria in materia risarcitoria e sulla eccezionale giurisdizione amministrativa in caso di danni derivanti da provvedimenti amministrativi (o dall’omissione di atti dovuti) v. Cass., sez.un., 9 agosto 2001 n.10979, in Giust.civ.Mass., 2001, 1583.
Sulla giurisdizione risarcitoria del g.a., sia nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva che in quelle affidate alla sua giurisdizione di legittimità, si segnalano, tra gli studi anteriori alla novella della l. n.104 del 2010 F. DE FELICE, Le tecniche di tutela del giudice amministrativo nei confronti dei comportamenti illeciti della p.a., in Dir.proc.amm., 2005, f.4, 869 ss.; A. PAJNO, Il giudice amministrativo e la tutela dei diritti, in Dir.proc.amm., 2005, f.4, 965 ss.; F. FOLLIERI, Il modello di responsabilità per lesione degli interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del g.a.: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in www.giustamm.it, f.12, 2005; AA.VV. (a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Bologna, 2005.
[32] Come è noto, sulla natura della responsabilità (extracontrattuale) della p.a. si sono delineati due fondamentali indirizzi dottrinali: secondo una più risalente tesi, propugnata dal Casetta (L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953 ed ancora pervicacemente sostenuta in Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, 576 ss.), la stessa avrebbe natura indiretta, mentre secondo il prevalente, ed oggi univoco a livello giurisprudenziale, orientamento, va inquadrata quale responsabilità diretta. Oltre agli scritti citati nella precedente nota, per una felice sintesi sul dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla natura diretta ex art.2043 cc. (tesi prevalente in dottrina ed univoca in giurisprudenza) o indiretta ex art.2049 cc. (tesi isolata in dottrina) della responsabilità civile della p.a., si rinvia alla limpida nota di SERRAINO a Cass., sez.III pen., 11 giugno 2003, in Foro it., 2004, II, 522.
[33] La responsabilità da contatto sociale qualificato è una particolare forma di responsabilità civile che prescinde dall'esistenza di un contratto inteso nel senso stretto del termine, laddove tra il danneggiato e il danneggiante sussista una particolare relazione sociale considerata dall'ordinamento giuridico idonea a determinare specifici doveri comportamentali non riconducibili al dovere generico di non ledere l'altrui sfera giuridica. Secondo parte della dottrina e la giurisprudenza, il contatto sociale qualificato deve essere annoverato tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico ex art. 1173 cod.civ. Ne deriva che, secondo tale orientamento, in virtù del principio dell’atipicità delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c., anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte (non già in un contratto ma) nel "contatto sociale qualificato" determina una responsabilità di tipo contrattuale. La speculazione dottrinale e giurisprudenziale intorno al concetto di responsabilità da contatto sociale qualificato ha finalità eminentemente garantista, atteso che riconducendo la responsabilità da contatto sociale nell’alveo della responsabilità contrattuale il soggetto danneggiato beneficia di indubbi vantaggi sotto il profilo della prescrizione (10 anni nella responsabilità contrattuale a fronte del termine di 5 anni previsto per la responsabilità extracontrattuale) e dell’onere della prova (si noti che, in virtù del principio della vicinanza della prova, nella responsabilità contrattuale può dirsi operante l’inversione dell’onere della prova, potendo il danneggiato limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte alla quale spetterà, invece, provare di avere adempiuto all’obbligazione.
La casistica ha, tra i vari casi, riguardato: la responsabilità dell'insegnante per l'autolesione dell'allievo (la responsabilità dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona); la responsabilità della banca per il pagamento dell'assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario; la responsabilità del medico-chirurgo nei confronti del paziente (l'ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico proprio dipendente ed anche l'obbligazione di quest'ultimo nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul «contatto sociale», ha natura contrattuale, atteso che ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso).
[34] La giurisprudenza ha però chiarito che il danneggiato che intenda proporre azione risarcitoria contro lo Stato per atti compiuti da funzionari o dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni (art. 28 cost.) deve, pur essendosi determinato a promuovere la domanda nei confronti del solo Stato, esporre, nell'atto introduttivo del giudizio, tutti i fatti dannosi addebitabili al funzionario o dipendente in assenza di che (ed in conseguente assenza di qualsivoglia "causa petendi") la domanda non può dirsi legittimamente proposta: Cass., sez. I, 7 marzo 2002, n. 3283, in Giust. civ., 2002, I,1544.
[35] La rivalsa dell’amministrazione innanzi alla Corte dei conti in caso di condanna tuttavia non sortisce quasi mai un reale recupero, con conseguente accollo in capo alla collettività dei danni risarciti dall’amministrazione e solo in minima parte refusi dal lavoratore: difatti in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari della Corte dei Conti, i vari Procuratori generali hanno chiarito che delle condanne pronunciate dalla Corte si recupera concretamente meno del 10%, a causa della scarsa solvibilità del pubblico dipendente, notoriamente incapiente e tutelato da una legislazione di favor che impedisce aggressioni della retribuzione, della pensione e della buonuscita oltre il quinto. Ne consegue che il costo dei danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti a terzi, dopo la condanna della p.a., non viene recuperato e resta a carico della collettività..
[36] M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 1117, secondo il quale “non sono riferibili all’Amministrazione …le azioni che non provengono da soggetti i quali possano essere considerati agenti di essa, …. gli atti personali degli agenti (lettere e negozi privati), ….gli atti viziati da incompetenza assoluta (straripamento di potere) e i comportamenti posti in essere volutamente (dolosamente) in violazione di norme proibitive (diversamente dall’opinione corrente nella dottrina francesi, si ritiene che il fatto che costituisca reato doloso istituzionalmente non può essere ascritto all’Amministrazione)”. Sul punto v. anche E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, 575; M. CLARICH, La responsabilità civile della pubblica amministrazione nel diritto italiano, in Riv.trim.dir.pubbl., 1989, 1085.
[37] Sulla distinzione tra faute personelle e faute de service v. CUOCCI, Tutela dei singoli e responsabilità civile della p.a. nell’esperienza francese, in F. FOLLIERI (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004, 528 ss.
[38] V. TENORE, Responsabilità solidale della p.a. per danni arrecati a terzi da propri dipendenti: auspicabile il recupero di una nozione rigorosa di occasionalità necessaria con i fini istituzionali, in Rass.Avv.Stato, 2005, 1368 ss., a cui si rinvia per una puntuale ricognizione della dottrina e soprattutto della giurisprudenza che ha fatto (spesso distorta) applicazione del principio di occasionalità necessaria.
[39] V. TENORE, Responsabilità solidale della p.a., cit, e, in particolare, Cass., sez. VI, 15 dicembre 2000, n. 1269, in Rass. Avv. Stato, 2000, I, 344 con nota di A. PLUCHINO cit. e id. Cass., sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in Foro it., 2001, I, 3289 con nota di M. P. GIRACCA, secondo cui “….a tale riguardo, l'attività può essere riferita all'Ente se sia e si manifesti come esplicazione dell'attività di quest'ultimo, cioè tenda (pur con abuso di potere) al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui esso dipendente è addetto; e questo riferimento all'ente può venire meno solo quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, che si rilevi assolutamente estraneo all'amministrazione - o addirittura contrario ai fini che essa persegue - ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente (così, sostanzialmente, Cass., 17 settembre 1997, n. 9260; Cass., 6 dicembre 1996 n. 10896; Cass., 13 dicembre 1995 n. 12786, Cass., 7 ottobre 1993 n. 9935, Cass., 3 dicembre 1991 n. 12960)”.
[40] Va comunque ribadito che il criterio della "occasionalità necessaria" va escluso in quattro ipotesi-tipo: qualora l’autore materiale non sia qualificabile come pubblico dipendente; qualora il pubblico dipendente produca un danno con comportamenti o provvedimenti che siano espressivi di straripamento di potere (incompetenza assoluta); qualora il dipendente produca un danno con comportamenti o provvedimenti che attengano alla sua vita privata e/o che non abbiano alcun riferimento alla sua qualifica di pubblico dipendente (es. fuori dall’orario di servizio); qualora il dipendente, pur nell’esercizio di proprie funzioni (es. durante l’orario di servizio), agisca per finalità e motivazioni assolutamente incompatibili con le finalità istituzionali dell’ente di appartenenza.
[41] Tra i principali studi in materia di responsabilità amministrativa dopo la l. 14 gennaio 1994, n. 20, senza pretesa di esaustività, si segnalano: F. GARRI (a cura di), La Corte dei conti, controllo e giurisdizione, contabilità pubblica, Milano, 2012; S. CIMINI, La responsabilità amministrativa e contabile. Introduzione al tema ad un decennio dalla riforma, Milano, 2003; G. MIRABELLA, Le responsabilità nella pubblica amministrazione e la giurisdizione contabile, Milano, 2003; G. AUTIERI, Il risarcimento del danno nel processo amministrativo-contabile, in AA.VV. (a cura di DE PAOLIS), Il risarcimento del danno nel processo civile, amministrativo, contabile, penale, tributario, Rimini, 2003, 415 ss.; SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2003, 29 ss.; A. CORPACI, La responsabilità amministrativa alla luce della revisione del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, 542 ss.; G. SCHLITZER (A CURA DI), L'evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, 2002; L. MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002.
[42] Tale novella costituzionale, non compiutamente analizzabile in questa sede, poneva un basilare interrogativo: la responsabilità amministrativo-contabile rientra tra le tassative materie riservate dall'art. 117 cost. alla competenza legislativa esclusiva o concorrente statale, o può essere oggetto di regolamentazione ad opera del legislatore regionale? A nostro avviso, i profili processuali di tale responsabilità sono da considerare devoluti alla competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, co. 2, lett. l) cost., in quanto agevolmente riconducibili alla materia « giurisdizione e norme processuali » e « giustizia amministrativa ».
Per quanto concerne i profili sostanziali, la soluzione appare invece alquanto complessa. Potrebbe infatti da un lato sostenersi che la stessa, in quanto riconducibile alla materia « ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali » di cui all'art. 117, co. 2, lett. g) cost., rientri nella competenza legislativa esclusiva statale, ma limitatamente ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Per i restanti dipendenti pubblici, le Regioni potrebbero dunque legiferare anche in deroga ai principi generali della legge statale n. 20 del 1994, nel solo rispetto dei principi comunitari, internazionali e costituzionali. La Corte Costituzionale, con una prima sentenza del 24 ottobre 2001, n. 340 (in Foro it., 2002, I, 327, con osservazioni di F. D'AURIA; in Giur. it., 2001, 165; in Resp. civ. e prev., 2002, 96;). L’A. ha ritenuto non fondata, con riferimento agli artt. 3, 97 e 103 cost. e all'art. 8 st. spec. T.A.A., la questione di legittimità dell'intera normativa — impugnata nel suo complesso, sotto il profilo della estraneità della materia alla competenza provinciale e per aver disciplinato congiuntamente la responsabilità amministrativa di amministratori e personale della Provincia, — in quanto rientra nelle competenze della Provincia autonoma di Bolzano disciplinare la materia della responsabilità amministrativa, dovendosi ritenere che essa sia ricompresa nella previsione statutaria (art. 8) concernente l'«ordinamento degli uffici e del personale». Tale sentenza n. 340 del 2001 è stata poi smentita da C. cost., 12 giugno 2007 n. 184, in Giur. cost., 2007, 3 (in linea con la pregressa C. cost., 15 novembre 2004 n. 345, relativa a Regioni a Statuto ordinario), la quale ha affermato che “la disciplina dei principi che governano la responsabilità amministrativa rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e non tra le attribuzioni della provincia autonoma di Bolzano”. 25 Sulla giurisdizione contabile per danni direttamente prodotti all’UE v. C.conti, sez.giur.Lombardia, 8 aprile 2004 n.528 la cui intuizione è stata oggi recepita dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con ordinanze 10 luglio 2013 n.20701 e 2 dicembre 2013 n.26935, in Ced Cassazione.
26 Sulla non configurabilità di una questione di giurisdizione e di una litispendenza a seguito della previa proposizione di un'azione civile di danni per i medesimi fatti e per la piena legittimità del sistema del c.d. doppio binario (azione civile e contabile) per il recupero del danno patito dalla p.a., che consente il promovimento dell'azione giuscontabile anche se ci sia stata costituzione di parte civile in sede penale da parte della p.a. nei confronti dell'autore del danno erariale, o, addirittura, una condanna in sede civile (o penale) sull'an del risarcimento (condanna generica), vedasi, tra le tante, C. conti, sez. riun., 29 ottobre 1986, n. 516, in Foro amm., 1987, 2432; id., sez. I, 15 maggio 1991, n. 743, in Riv. C. conti, 1991, f. 4, 102; id., sez. riun., 17 febbraio 1992, n. 752/A, in Sett. giur., 1992, IV, 169; C. conti, sez. I, 23 settembre 1992, n. 200, in Riv. C. conti, 1992, f. 5, I, 50; id., sez. riun., 9 dicembre 1992, n. 816/A, in Riv. C. conti, 1993, f. 1, 50; id., sez. II, 2 novembre 1993, n. 256, ivi, 1993, 6, II, 91; id., sez. Veneto, 2 aprile 1994, n. 29, in Riv. C. conti, 1994, 2, II, 182; id., sez. I Lazio, 18 febbraio 2002, n. 48/A, in Riv. C. conti, 2002, f. 1, 130; id., sez. I Lazio, 9 aprile 2002, n. 109/A, in Riv. C. conti, 2002, f. 2, 130; id., sez. I Lazio, 4 giugno 2002, n. 178/A, in Riv. C. conti, 2002, f. 3, 89; id., sez. Abruzzo, 3 ottobre 2002, n. 699, in Riv. C. conti, 2002, n. 5, 128; id., sez. Lazio, 23 ottobre 2002, n. 2876, in Riv. C. conti, 2002, f. 5, 117; id., sez. Abruzzo, 7 gennaio 2004, n. 1, in www.amcorteconti.it. La tesi è confermata da Cass., sez. un., 4 gennaio 2012 n.11; id., 22 dicembre 2009 n.27092; id., 12 maggio 2009 n.10856, tutte in Ced Cassazione; id., 23 novembre 1999, n. 822/SU, in Foro it., Rep. 2000, voce Responsabilità contabile, n. 1012; id., sez. un., 21 maggio 1991, n. 369/ord., in Riv. C. conti, 1991, f. 5, 235 e Cons. St., parere 20 gennaio 1997, n. 1420, in Cons. Stato, 1997, III, 1321. Oltre a molte delle sentenze sopracitate, v. anche C. cost., 7 luglio 1988, n. 773, in Cons. Stato, 1988, II, 1354 e in Foro it., 1989, I, 368.
[43] Le principali differenze tra l'azione civile e quella contabile attengono: a) al meccanismo di attivazione delle due magistrature (a domanda e, quindi, a discrezione della p.a. l'azione civile; d'ufficio e obbligatoriamente l'azione contabile); b) al regime della intrasmissibilità agli eredi della responsabilità risarcitoria (operante solo in sede contabile); c) alla sussistenza o meno di concorrenti azioni a tutela del credito (le azioni revocatorie, surrogatorie e di simulazione non sono esperibili in sede contabile dall'attore P.M., ma solo in sede civile dal creditore- p.a.); d) al regime probatorio (in sede civile vi è, di fatto, un vasto utilizzo della prova testimoniale); e) al regime prescrizionale (decennale per l'illecito contrattuale innanzi all'a.g.o., quinquennale innanzi alla Corte dei conti); f) all'utilizzo della riduzione dell'addebito da parte del giudice (meccanismo inesistente innanzi all'a.g.o.); g) all'applicabilità dell'art. 1225 c.c. (« Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione »), non operante in sede contabile; h) al diverso regime della responsabilità degli organi collegiali (innanzi al g.o. opera l'irresponsabilità dei soli componenti « che abbiano fatto constatare nel verbale il proprio dissenso », art. 24, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; innanzi alla Corte dei conti rispondono solo coloro che « hanno espresso voto favorevole », art. 1, co. 1-ter, l. n. 20 del 1994); i) al triplice grado di giudizio che caratterizza il giudizio civile, a fronte del duplice grado in sede contabile. Inoltre, il regime di favor debitoris delineato dalla l. n. 20 del 1994, non sembra estensibile in sede civile: il riferimento è alla irresponsabilità degli organi politici in buona fede, alla insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali
Non riteniamo invece, contrariamente a quanto sostenuto da molti autori, che vi sia una divergenza di regime, in sede civile e contabile, in ordine all'elemento psicologico dell'illecito, che deve essere sempre caratterizzato, anche innanzi all'a.g.o., da « dolo o colpa grave » (v. art. 23, co. 1, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 10; art. 1, co. 1, l. 14 gennaio 1994, n. 20).
[44] Per l'esclusività della responsabilità amministrativa e l'esclusione di una concorrente azione civile v. P. PASQUALUCCI, Introduzione, in P. PASQUALUCCI-, G. SCHLITZER, L'evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, 2002, 26 ss.; SCHLITZER, Profili sostanziali della responsabilità amministrativo-contabile, P. PASQUALUCCI- G. SCHLITZER, L'evoluzione, cit., 143 ss. In giurisprudenza, per la esclusività della giurisdizione contabile Cass. sez.un., 2 aprile 2007 n. 8093 in www.lexitalia.it, secondo cui quando si assuma verificato un danno erariale che si ricolleghi a comportamenti di medici specialisti in regime di convenzionamento esterno con Aziende USL riconducibili ad attività amministrativa (come nel caso di prescrizioni di specialità medicinali effettuate in contrasto con istruzioni impartite) , in ordine alla relativa responsabilità - che dipende non dall'esercizio della professione del sanitario, bensì dal comportamento illegittimo, doloso o colposo posto in essere nell'ambito del rapporto di pubblico servizio - sussiste la giurisdizione contabile della Corte dei Conti e non dell’a.g.o. in sede civile ( in terminis Cass., sez. un., 13 novembre 1996 n. 9957, 21 dicembre 1999 n. 922, 13 marzo 2001 n. 114). Sul punto v. anche Cass., sez. un., n. 201 del 2001 e n. 98 del 2000. V anche C cost., 13 luglio 2007 n.272, in Giust.civ., 2007, 10, 2062.
[45] Il peculiare regime della responsabilità contabile è stato da taluni ricondotto al meccanismo della « presunzione di colpa », da altri alla c.d. « culpa in re ipsa », mentre altri autori parlano di mera inversione dell'onere della prova. Non sono infine mancati tentativi di avvicinamento di tale responsabilità alle previsioni civilistiche della responsabilità da inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c., che presuppone la colpevolezza) o del depositario (art. 1766 ss. c.c.). Sul tema DONNO, Danno erariale, cit., 102 ss.
[46] In un ottimo di Pareto non è possibile migliorare il benessere (c.d. utilità) di un soggetto, senza peggiorare il benessere degli altri soggetti (c.d. economia del benessere). L'ottimo paretiano è un concetto economico di valutazione dell’efficienza. Proprio tale valutazione in termini soggettivi pone il problema annoso del free riding e dei “giudizi di valore”. In una scatola di Edgeworth l’efficienza massima allocativa si verifica in un punto di contratto, ossia nel punto di tangenza tra le due famiglie di curve di indifferenza dei consumatori. In tale ottica, è peculiare la rilevanza della clausola generale di buona fede – quale regola di interpretazione del contratto e regola di condotta, con funzione eminentemente integrativa-precettiva, in combinato disposto con il principio di solidarietà sociale (art 1375 c.c. e 2 Cost).
[47] P. TRIMARCHI, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Giuffrè, 2021; P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Giuffrè, 1961; G. CALABRESI, Il futuro dell’analisi economica del diritto, 32-39, 1999; A. NICITA e V. SCOPPA, Economia dei Contratti, Cacucci Editore, 2005; A. NICITA e M. VATIERO, Towards a broader notion of transaction?, in Studi e note di economia 7-22, 2007.
[48] Sul possibile concorso tra azione contabile ed azione civile, stante la loro distinzione funzionale, v. Cass., sez. I, 11 giugno 2007, n. 13662, in Giust. civ. mass., 2007, 6, secondo cui “L'azione di responsabilità promossa dal P.G. della Corte dei conti per i danni conseguenti alla tardiva effettuazione da parte dei messi comunali della notifica di un accertamento tributario, in quanto volta a far valere una responsabilità amministrativa, a tutela dell'interesse generale al corretto esercizio delle funzioni amministrative e contabili, si differenzia da quella risarcitoria proposta dall'Amministrazione finanziaria nei confronti del Comune e degli altri responsabili, la quale trova fondamento nella responsabilità solidale dei convenuti, in relazione al mancato adempimento da parte del Comune dell'obbligazione derivante da un rapporto di mandato ‘ex lege'. Pertanto, l'interruzione della prescrizione derivante dalla proposizione dell'azione erariale, pur avendo carattere permanente anche nel caso in cui il relativo giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa di difetto di giurisdizione, non spiega efficacia ai fini della proposizione dell'azione di responsabilità contrattuale nei confronti del Comune, trattandosi di domande che, pur ricollegabili ai medesimi fatti, risultano diverse tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto quello soggettivo.