26/10/2022 - Il grande caos dello smart working improvvisato come strumento di contenimento dei costi dell’energia
E fu così che il tanto vituperato smart working, per alcuni occasione di ferie e sine cura, per altri lesione all’economia dei servizi di ristorazione i centri storici e Ztl, divenne nuovamente strumento utile, anzi indispensabile.
A partire proprio dalla città di Milano, il cui sindaco nei mesi scorsi si portò in prima fila nel chiedere l’azzeramento del lavoro agile, nel nome dell’occupazione massima possibile degli scatoloni dei centri direzionali e dei trespoli delle tavole calde, tra tramezzini carbonizzati ed insalatone carissime.
La guerra santa contro lo smart working è stata condotta con talmente tanta ideologia preconcetta, che la pubblica amministrazione, e in particolare i comuni, si ritrovano oggi nudi alla meta.
Tra i molti errori connessi alla pregiudiziale ostilità nei confronti di uno strumento di evoluzione dell’organizzazione, risalta in particolare quello di aver imposto nella PA, ancora mentre era forte la stretta della pandemia, il ritorno all’accordo individuale, azzerando quindi l’emergenza, che invece, non a caso, le imprese private hanno insistito fosse conservata almeno fino al 31.12.2022.
Una scelta strategica sbagliata, quella della PA. All’emergenza pandemia, forse sotto controllo, si è aggiunta in un progredire sempre più incontrollato, l’emergenza dei costi dell’energia, che ora fa tremare i polsi e i bilanci: i comuni si vedono prosciugate le casse da i costi astronomici delle bollette.
Fosse ancora possibile il lavoro agile “emergenziale”, le PA potrebbero decidere in via unilaterale di collocare in lavoro agile i propri dipendenti.
Invece, la miopia ha reintrodotto la necessità, sulla cui effettiva utilità sotto molti versi si potrebbe discutere (per quanto sia la legge 81/2017 a disporre in tal senso) dell’accordo individuale.
Ergo, proprio mentre sarebbe quanto mai opportuno per le PA poter disporre in via unilaterale misure di contenimento della spesa prevedendo una riduzione della presenza negli uffici del personale adibito ad attività ovviamente compatibili col lavoro agile, adesso si fanno i conti con l’insieme delle misure adottate in questi mesi, finalizzate più a disincentivare il ricorso allo smart working, invece di regolarlo in modo da farlo risultare di semplice utilizzo e finalizzato al miglioramento dell’organizzazione e della produttività.
I comuni stanno cercando di inventare qualsiasi sistema per provare a contenere i costi dell’energia.
Ovviamente, l’acqua alla gola, restando allo stretto caso dello smart working, conduce a risultati paradossali e persino illegittimi. Il caso del comune di Milano, stando alle notizie di stampa inserite nel collegamento ipertestuale sopra riportato, è emblematico.
Si dà notizia, infatti, dei seguenti elementi:
- la sottoscrizione di un accordo collettivo tra amministrazione e sindacati, ove si dispone la “settimana corta”, cioè la collocazione in lavoro agile, ogni venerdì;
- la non obbligatorietà, però, dello smart working, che resta “consigliato”;
- il trasferimento obbligato di chi, adibito a sedi destinate alla chiusura settimanale, decida di non svolgere lavoro agile, sicché sia destinato ad altre sedi che restino aperte;
- la destinazione (si immagina di parte) dei risparmi ottenuti nel fondo del salario accessorio, per compensare i dipendenti.
Si tratta di 4 scelte, tutte all’apparenza suggestive e corrette, ma tutte caratterizzate da clamorose illegittimità.
In quanto all’accordo collettivo: bene che datore pubblico e sindacati dialoghino. Peccato, però, che accordi decentrati siano possibili solo ed esclusivamente nelle materie che alla relazione sindacale della contrattazione sono espressamente destinate dalla contrattazione nazionale collettiva o dalla legge. Ebbene, l’articolo 7 del Ccnl 21.5.2018, attualmente vigente, non prevede da nessuna parte che materia di accordi possa essere la regolamentazione del lavoro agile.
Non si tratta di sofismi: l’articolo 40, comma 5-ter, del d.lgs 165/2001 dispone che “Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”. Dunque, laddove un contratto decentrato si interessi di materie che eccedono dalle competenze definite dalla contrattazione collettiva nazionale, quelle clausole sono nulle ex lege. Ergo, l’accordo siglato a Milano è nullo.
In quanto alla “non obbligatorietà” dello smart working, ma soprattutto alla circostanza che esso però sia “consigliato” si tratta di una velleità, figlia anch’essa di una valutazione ed attuazione piuttosto approssimativa delle norme vigenti.
E’ evidente che per il dipendente, anche ammettendo che l’accordo collettivo non fosse nullo (ma lo è) comunque esso non sarebbe sufficiente: infatti, l’articolo 18 della legge 81/0217, non derogato nella PA da norme di emergenza, impone che la fonte della collocazione di ogni singolo dipendente in lavoro agile sia soltanto e solo l’accordo individuale.
Dunque:
- nessun accordo collettivo può sostituirsi a quello individuale;
- non è certo l’accordo collettivo la fonte della volontarietà del lavoro agile per il lavoratore;
- l’accordo collettivo non dispone di nessun potere per “consigliare” scelte rimesse in via esclusiva all’autonoma sfera negoziale di ciascun dipendente.
In quanto alla destinazione “coatta” del dipendente che non sottoscriva l’accordo individuale in smart working presso differenti sedi che restino aperte, si evidenzia anche in questo caso un chiaro e grave equivoco sui modi di esercizio dei poteri datoriali oltre che un travisamento del co-working.
E’ evidente che il datore di lavoro dispone del potere di comandare il proprio dipendente a prestare attività lavorativa in sede diversa da quella di assegnazione. Ma, allora, si tratta appunto di “missione” se la distanza è superiore ai 10 chilometri, oppure di “uscita di servizio”: il che ha poi conseguenze nella gestione della rilevazione delle presenze.
Se si intendesse, invece, il dirottamento verso altra sede come una variazione obbligata della sede di lavoro, sarebbe da ricordare che ai sensi del Ccnl 21.5.2018 (articolo 19, comma 2, lettera f), la sede di lavoro è specifico oggetto del contratto individuale di lavoro. Pertanto, la parte datoriale contrae una specifica obbligazione a far sì che la prestazione lavorativa sia resa in quella sede e non altre (cosa che rileva anche ai fini assicurativi).
Come, quindi, occorre l’accordo individuale per regolare lo smart working, allo stesso modo l’ente, se non configura come “missione” la collocazione dei dipendenti non in lavoro agile il venerdì in altre sedi, deve sottoscrivere con ciascuno di essi una modifica al contratto individuale di lavoro, specificando che l’attività si svolge su più sedi, comprendendo quella del venerdì. Ma, la liceità di simile accordo presupporrebbe la liceità della disciplina generale, rimessa ad un accordo collettivo decentrato, come visto, purtroppo, nullo.
Se si pensasse di configurare l’adibizione del dipendente non in lavoro agile a sede diversa da quella dedotta nel contratto individuale alla stregua di co-working, si incorrerebbe in un ennesimo errore: anche il co-working, infatti, richiede l’accordo individuale. Non solo: è il dipendente che deve essere messo nelle condizioni di scegliere quale sede gli risulta più confacente, non potendola imporre il datore (infatti, occorre appunto un accordo). Appare evidente la confusione estrema tra esercizio di poteri autoritativi amministrativi e svolgimento delle prerogative del datore di lavoro.
Infine, il quarto punto è doppiamente erroneo e doppiamente grave. Infatti, fonda un’erogazione di incentivi a dipendenti su un accordo decentrato che, come visto, è nullo, il che di per sé segnala indizi molto ampi di danno erariale.
In ogni caso, comunque, anche ammettendo la non nullità dell’accordo decentrato, si è in presenza dell’ennesimo travisamento clamoroso delle norme.
Per un verso, sarebbe il caso di osservare che nessuna fonte normativa né contrattuale consente di porre il risparmio sulle bollette in sé e per sé come titolo per incrementare le risorse cotnrattuali.
Forse nel capoluogo della Lombardia si è inteso far riferimento al cosiddetto “dividendo di efficienza”, regolato dall’articolo 61, comma 17 del d.l. 112/2008, convertito in legge 133/2008 e dall’articolo 16, commi 4 e 5, del d.l. 98/2011, convertito in legge 111/2011. Peccato che:
- il dividendo scatti solo se si assicura una riduzione complessiva della spesa rispetto ad un certo volume precedente, e non se si ha un risparmio il cui esito è una flessione di un incremento della spesa che comunque si determinerebbe;
- il dividendo richiede azioni operative, coinvolgenti, quindi, lo svolgimento di attività concrete per ottenere i risparmi. Non si vede quale sia l’apporto individuale al risparmio dato da chi si limiti a svolgere l’attività lavorativa in lavoro agile invece che in presenza: è un mero fatto logistico, una conseguenza indiretta (opportuna) e non riconducibile ad un’azione senziente del dipendente.
Non che l’obiettivo perseguito dal comune di Milano e da altri enti non sia meritevole e commendevole. Qui ci si pongono problemi sul quomodo non sul risultato.
Gli stessi esiti si possono ottenere senza velleitari e nulli accordi collettivi, ricordandosi della fatica di dover, invece, sottoscrivere accordi individuali anche corroborati da variazioni ai contratti individuali, di negoziare sedi di lavoro utili e non peggiorative della logistica, di considerare anche il lavoro da remoto (cioè, l’ex telelavoro).
Ma, soprattutto, di tenere presenti strumenti realmente organizzativi che non movimentano improvvisate ed inesistenti relazioni sindacali e non presentano le problematiche gestionali connesse con la sottoscrizione di plurimi accordi: l’attivazione dell’orario multiperiodale è l’accorgimento più idoneo, al posto o in combinazione con un lavoro agile gestito, però, correttamente e non mediante atti e disposizioni in violento contrasto con le norme.