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14/11/2022 - Modello di dichiarazione sul conflitto di interessi

Dal sito leautonomie.asmel.eu un articolo di Luigi Oliveri

Santo Fabiano ci spiega magistralmente qui quanto sia ancora pervaso di burocratico fervore ispettivo basato sul sospetto l’operato dell’Anac, che chiede ai comuni, mostrando di essere intenzionata ad aprire un contenzioso tanto vasto quanto inopportuno, di dimostrar che i Rup abbiano dichiarato di non trovarsi in conflitto di interessi.

 

Siamo convinti che non è coi formalismi che si contrasta la corruzione. D’altra parte, le “carte a posto” si riscontrano in maniera prevalente proprio a carico di chi, poi, si scopre non essere del tutto in linea con la legalità sostanziale.

Del resto, ancora non risulta agli onori della cronaca che nessun ptpc o dichiarazione o indagine o imputazione di dati abbia fin qui minimamente consentito di sventare atti di corruzione o azioni in conflitto di interesse. Allo scopo resta ancora indispensabile l’operato della magistratura.

E, tuttavia. Da un lato, è ben vero che la normativa anticorruzione enunci l’obbligo di dichiarare la condizione di conflitto di interessi se si verte in tale condizione. Il che porterebbe a concludere della non necessità di dichiarare alcunchè a carico di chi non ricada in tale conflitto.

Tuttavia, il conflitto di interessi che la normativa tratta è il rischio che si verifichi, non il conflitto conclamato.

I piani di prevenzione della corruzione hanno il compito di conoscere e ridurre i rischi, dunque di scongiurare il caso conclamato.

La norma intende indurre chi agisce nella PA a chiedersi in ogni fase della propria attività se non si ritrovi, per una ragione o un’altra, in una condizione anche solo potenziale, degna di essere segnalata al proprio responsabile, per mettere in condizione quest’ultimo di valutare la situazione e, rilevando come fondata la potenzialità, decidere di affidare ad altri lo svolgimento delle attività procedurali da svolgere.

Allo scopo, la forma può tradursi in azioni realmente semplicissime, certo dal sapore burocratico, ma non tali da creare oneri ed appesantimenti.

Per esempio, laddove i procedimenti siano gestiti mediante applicativi digitali, sarebbe molto semplice prevedere che chiunque si autentichi nel sistema, prima di avviare la propria funzione gestionale, con un semplice click risponda ad una finestra di pop up o ad una form, che chieda se si trovi in conflitto di interesse e se si per quali motivi.

In assenza di ciò, far precedere ad ogni attività una dichiarazione, connessa anche alla formale presa in carico dell’attività stessa, è possibile con semplici schede standard, da inserire in ogni fascicolo trattato, utilizzando strumenti banalissimi, come file strutturati (qui un esempio) o form on line (qui l’esempio di un google form in formato .pdf).

Occorre che ogni dipendente si “autentichi” al sistema, digitale o analogico che sia. Ciò vale non solo per lo specifico scopo di ridurre il rischio di conflitto di interessi, ma soprattutto di rendere trasparente ed evidente a tutti chi abbia svolto un ruolo nell’ambito dell’iter. Perchè la possibilità di tracciare le attività svolte e chi le abbia svolte è un’arma potentissima per individuare inceppamenti ed eventuali responsabilità. Se una certa pratica rallenti o si fermi prevalentemente in un certo stadio, e chi cura questo stadio sono dipendenti individuabili, è possibile, appreso ciò, agire per comprendere se si tratta di una disfunzione organizzativa (procedimento mal concepito, risorse necessarie non sufficienti, personale non formato) o se si tratti di inciampi indotti a bella posta, per poter all’esterno chiedere illecitamente utilità allo scopo di sbloccarli.

Non si deve dimenticare una norma importantissima, che richiede sempre e comunque a chiunque intervenga in un procedimento di qualificarsi, cioè l’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013, ai sensi del quale “La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità“.

La tracciabilità è un obbligo, non un genere voluttuario. Ogni procedura informatica dovrebbe orientarsi a rendere evidente e trasparente tale obbligo, appunto imponendo a chi entra di tracciarsi e contestualmente dichiarare la propria posizione rispetto ai conflitti di interesse, così da indurre sempre ogni dipendente a riflettere coscientemente sulle disposizioni normative.

Non si tratta di creare un grande fratello orwelliano o di predisporre amministrazione difensiva contro le iniziative pervasive e non sempre improntate alla leale collaborazione dell’Anac; si tratta di realizzare un sistema trasparente di individuazione di chi fa cosa, a quale livello di responsabilità, quante volte, in quali passaggi, così da avere un metodo organizzativo e fornire a ciascuno l’occasione di dover sempre interrogarsi se, dato il ruolo coperto e visti i destinatari dell’iter, esistano indici di possibili conflitti di interesse da segnalare

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