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22/07/2022 - Il Consiglio di Stato si esprime sull'obbligo di doppia conformità per la sanatoria.

Tratto da ildirittoamministrativo.it

La legge n. 47/85 prima e successivamente il DPR n. 380 del 2001 hanno previsto l’istituto dell’accertamento di conformità, consentendo in via ordinaria la sanatoria dei soli abusi formali e richiedendo per la regolarizzazione degli stessi il requisito della “doppia conformità”, dovendo l’opera essere conforme agli strumenti urbanistici ed alla normativa urbanistica vigenti sia all’atto della realizzazione dell’illecito sia al momento di presentazione della domanda di sanatoria.

Di poi, il legislatore ha previsto la possibilità di condono edilizio dei manufatti abusivi in tre distinte occasioni (legge n. 47/1985; legge n. 724/1994; legge n. 326/2003), stabilendo la possibilità di regolarizzazione degli abusi edilizi, realizzati entro specifici ambiti temporali ed in presenza di peculiari condizioni limitative ad una indiscriminata regolarizzazione (limiti di cubatura non derogabili, limiti ulteriori in relazione alla insistenza delle opere in area sottoposta a vincolo, in particolare paesaggistico, come nella vicenda oggetto del presente contenzioso).

Orbene, la successiva normativa statale, sia di carattere generale che straordinaria, disciplinatrice della sanatoria dei manufatti abusivi ha determinato l’abrogazione delle previgenti disposizioni della legge regionale Lazio n. 28/1980, laddove questa, al Capo III (“Rilascio delle concessioni edilizie”), e, in particolare, all’articolo 16 (“Condizioni per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria”), consente la regolarizzazione delle costruzioni abusive “se conformi alle previsioni” degli strumenti urbanistici attuativi approvati a seguito dell’adozione della variante speciale di recupero “ e delle altre norme vigenti al momento del rilascio”, richiedendo in tal modo non il requisito della “doppia conformità” ovvero della esistenza delle medesime condizioni limitative previste dalla sopravvenuta normativa statale in materia di condono edilizio, ma unicamente la conformità dell’opera al momento del rilascio del titolo in sanatoria.

Tanto in virtù del disposto di cui agli articoli 9 e 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (cd. “legge Scelba”).

L’articolo 9, rubricato “Condizioni per l’esercizio della potestà legislativa da parte della Regione”, prevede, al comma 1, che “L’emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall’articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano dalle leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.

Il successivo articolo 10, rubricato “Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica”, dispone, al comma 1, che “Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”, aggiungendo, al comma 2, che “I Consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni”.

Alla luce delle richiamate disposizioni, pertanto, la sopravvenienza di una norma statale di principio in materia di legislazione concorrente (qual è quella del governo del territorio) determina l’automatica abrogazione della preesistente norma regionale in contrasto con essa (cfr. Corte Cost., 25-6-2015, n. 117; 21-6-2007, n. 223; 31-12-1993, n. 498), derivando l’obbligo della Regione di adeguare la propria legislazione in modo che la norma statale di principio venga rispettata.

L’effetto abrogativo deve, a giudizio del Collegio, essere nella specie affermato, in ragione dei principi costantemente affermati in materia dalla Corte Costituzionale.

La funzione del “governo del territorio”, tipica della disciplina urbanistica ed edilizia, è rimessa alla potestà legislativa delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato (art. 117, comma 3, Cost.), ed, in particolare di quelli “desumibili” dal testo unico dell’edilizia (cfr. Corte Cost., sentenze n. 2 del 2019 e n. 77 del 2021).

In generale, in tema di condono edilizio, la giurisprudenza della Corte ha reiteratamente chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici, le scelte di principio e, in particolare, sia quelle relative all’an, al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria e l’individuazione delle volumetrie condonabili (cfr. Corte Cost., sentenze n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 208 del 2019, n. 68 del 2018 e n. 73 del 2017); evidenziando, altresì, che solo nel rispetto di tali disposizioni di principio, competono alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (cfr. Corte Cost., sentenze n. 70 del 2017 e n. 233 del 2015).

Orbene, la verifica della cd. “doppia conformità” costituisce un principio fondamentale della materia governo del territorio, trattandosi di un adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (così Corte Cost., sentenza n. 232 del 2017, nonché sentenze n. 107 del 2017 e n. 101 del 2013).

E’ evidente, quindi, che la sopravvenuta disciplina statale sull’accertamento di conformità (introdotta con la legge n. 47/85 e successivamente mantenuta con il DPR n. 380 del 2001) contiene una normativa di principio rispetto alla quale le previsioni di sanatoria degli immobili abusivi recate dalla richiamata legge regionale del 1980 si pongono in evidente contrasto, determinandosene, dunque, l’abrogazione.

Consiglio di Stato, sez. I, parere del 13 luglio 2022 n. 1219

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