21/12/2022 - Le progressioni verticali nel CCNL Funzioni locali 16.11.2022 tra riserva di legge, procedura comparativa, confronto sindacale e norme derogatorie
Il CCNL Funzioni locali, recentemente stipulato in via definitiva, introduce le progressioni verticali in deroga alla disciplina ordinaria, quest’ultima riproposta pedissequamente dall’art. 15 del medesimo contratto. La disciplina derogatoria è, invece, riportata tra le disposizioni di prima applicazione, all’art. 13, commi 6, 7 e 8. Entrambe le norme contrattuali sono collocate nel titolo III del CCNL le cui disposizioni entrano in vigore a partire dal primo aprile 2023, ma mentre la disciplina “ordinaria” delle progressioni tra le aree è già direttamente applicabile, in quanto dettagliatamente prevista dall’art. 52 del D.Lgs. 165/2001 che non richiede alcun intervento della contrattazione collettiva, l’entrata in vigore della disciplina “derogatoria” è differita di 4 mesi.
Fonte legale della disciplina derogatoria
L’art. 13, comma 6, del CCNL 16.11.2022, richiama, a fondamento della legittimità della disciplina derogatoria l’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del D.Lgs.n.165/2001. Tale ultima disposizione stabilisce: “In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell’area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso all’area dall’esterno”.
Se analizziamo la norma richiamata dalla disciplina derogatoria introdotta dal CCNL è possibile evidenziare che:
- la sede prevista, dalla norma primaria, sarebbe quella della revisione degli ordinamenti professionale;
- al CCNL viene affidato il compito di definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti (dalle categorie alle aree) tali da consentire un reinquadramento anche in deroga al titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno;
- le tabelle di corrispondenza devono tenere conto dell’esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni.
Da quanto sopra non vi sono elementi tali da far ipotizzare che il legislatore abbia inteso fare un riferimento ad una disciplina derogatoria da attuare attraverso un sistema di progressioni verticali in deroga alla disciplina ordinaria.
L’unico elemento che potrebbe fare ipotizzare questa volontà del legislatore è il rapporto con il precedente periodo della disposizione legale che disciplina le progressioni verticali, anche se questa connessione logica nella norma non è presente e, peraltro, il comma 1-bis dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 è una norma che si occupa di tante cose che tra di loro non sempre hanno, appunto, una connessione logica (il numero minimo di aree funzionali, la previsione di una ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione, le progressioni orizzontali, le progressioni verticali e, infine, le tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti nell’ambito dei nuovi ordinamenti professionali definiti in sede di rinnovo contrattuale).
Il legislatore quando ha voluto introdurre una connessione logica tra due periodi lo ha fatto in modo esplicito specialmente in un contesto in cui i periodi dello stesso comma si occupano di aspetti diversi dell’inquadramento.
D’altra parte, le progressioni verticali rientrano nella materia degli accessi che, senza richiamare l’ampia giurisprudenza anche costituzionale sul punto, è materia riservata alla legge e che solo la legge può prevedere spazi per interventi della contrattazione, peraltro in modo abbastanza limitato, considerata la previsione di cui all’art. 40 del D.Lgs. n. 165/2001 che ne esclude qualsiasi intervento in materia (si veda, a tal proposito, il riferimento all’art. 2, comma 1, lettera c), della Legge n. 421/1992)
La procedura comparativa
Fatte queste premesse di carattere generale, anche per la disciplina derogatoria introdotta dall’art. 13, commi 6 e ss., viene prevista una procedura valutativa (da intendersi di natura comparativa, in linea con quanto prevede l’art. 52 del TUPI per le progressioni “ordinarie”).
In disparte la differente locuzione utilizzata dalle parti del contratto (“valutativa” al posto di “comparativa”) non dovrebbero esservi dubbi che anche le procedure comparative “derogatorie” debbano comunque garantire un adeguato accesso dall’esterno con una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili, così come previsto dalla giurisprudenza costituzionale recepita dal citato art. 52.
Se, quindi, si tratta di valutazioni comparative queste sottendono la selettività e, dunque, la concorsualità (cfr. Tar Calabria, sentenza 1319 del 14.7.2020), anche se non con il significato tecnico proprio dei concorsi in quanto non vi sono prove che gli aspiranti alle progressioni siano chiamati a sostenere, poiché l’esito dipende da una valutazione degli elementi previsti dal comma 7 dell’art. 13 CCNL 16.11.2022, le cui metriche di dettaglio sono definiti previo confronto sindacale, e cioè:
- esperienza maturata nell’area di provenienza, anche a tempo determinato;
- titolo di studio;
- competenze professionali quali, a titolo esemplificativo, le competenze acquisite attraverso percorsi formativi, le competenze certificate (es. competenze informatiche o linguistiche), le competenze acquisite nei contesti lavorativi, le abilitazioni professionali.
Sebbene sul tema delle procedure comparative vi siano orientamenti oscillanti della giurisprudenza amministrativa, non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che una procedura di questo tipo si connoti per dover fornire elementi di valutazione in termini comparativi tra i candidati.
Una volta fissati i criteri e le metriche di dettaglio da utilizzare per la valutazione comparativa e le regole procedurali/istruttorie, occorre convogliarli in un apposito avviso che costituisce lex specialis della procedura. Tali decisioni, espressione di discrezionalità amministrativa, devono essere finalizzate al concreto perseguimento dell’interesse pubblico e sono sindacabili in caso di palese arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza e irrazionalità in rapporto al fine che si intende concretamente perseguire (tra cui il buon andamento che è una finalità di rango costituzionale cui l’interpretazione delle norme e l’azione amministrativa devono essere orientate).
La valutazione comparativa non può avere altro fine che quello di effettuare paragoni valutativi per la potenziale individuazione dei “migliori” rispetto ai criteri di dettaglio individuati in relazioni agli elementi valutativi previsti dalla disposizione contrattuale.
La valutazione, in tal caso, deve essere condotta su parametri razionali in funzione della finalità della procedura ed intellegibili, cioè parametri concretamente utili per lo scopo della procedura e ricostruibili in termini di iter logico, i soli profili di censura che potrebbero essere mossi ai criteri adottati dall’amministrazione.
La procedura comparativa, per sua natura, pur quando implichi esercizio di facoltà discrezionali, nella sua espressione e nella sua evoluzione, non dovrebbe avere molti spazi di manovra rispetto al suo esito; in altri termini una volta che l’applicazione valutativa, nella specie l’attività svolta dalle commissioni all’uopo nominate, se previste dall’avviso, abbia fornito i suoi esiti non dovrebbe essere concesso alterarne i risultati, altrimenti la procedura sarebbe vanificata quanto a finalità e natura. Non sono ipotizzabili, nel caso delle valutazioni comparative per le progressioni tra le aree, facoltà discrezionali, esercitabili nell’ambito di una procedura valutativa di tipo comparativo, in grado di alterare il risultato valutativo raggiunto.
La comparazione deve prevedere un giudizio/votazione ordinato per ciascun candidato, e quando la scelta utilizza il giudizio/votazione, come nel caso delle progressioni verticali, non è necessaria una motivazione ulteriore in quanto essa risiede nel giudizio/punteggio a cui consegue il nuovo inquadramento.
Il confronto sindacale
Nella definizione dei criteri valutativi di dettaglio, nell’ambito degli elementi di valutazione previsti dal comma 7 dell’art. 13 del CCNL 16.11.2022, a ciascuno dei quali non può essere attribuito un peso percentuale inferiore al 20%, l’autonomia dell’amministrazione è ampia. La previsione del confronto sindacale per la definizione dei criteri non inficia l’autonomia dell’amministrazione ma ne condiziona l’esercizio prima all’informativa sindacale e, poi, se richiesta, al confronto.
Il confronto sindacale è una modalità relazionale in base alla quale i soggetti sindacali, nelle materie individuate dall’art. 5, comma 3, del CCNL 16.11.2022, partecipano alle decisioni che l’amministrazione intende assumere esprimendo le proprie valutazioni e fornendo il proprio contributo, senza che all’esito del confronto sia previsto un accordo. Al termine del confronto l’amministrazione riprende in toto la propria autonomia decisionale senza alcun vincolo rispetto alle posizioni emerse in sede di confronto, delle quali può certamente tenere conto, anche perché la finalità è quella di fornire un contributo che spetta all’amministrazione valutare ed eventualmente recepire anche solo parzialmente.
Le deroghe al titolo di studio
Sono state espresse perplessità, fondate, sulla scelta di operare inquadramenti in deroga ai titoli di studio che in qualche modo ripropone opzioni che già in passato hanno trovato spazio nelle autonomie locali.
Le obiezioni rispetto a tali perplessità fanno leva sul tema della valorizzazione delle competenze e dell’esperienza professionale e sull’esigenza di spazi di mobilità verticale come avverrebbe nelle aziende private.
Si tratta del solito tentativo di operare una sorta di assimilazione tra il settore pubblico e il settore privato che nei fatti può essere considerato un mero vaneggiare delle idee più che una possibilità concreta di esercizio. Si pensi alle regole costituzionali che governano l’accesso al pubblico impiego che minimamente possiamo immaginare di imporre ad un imprenditore privato. Oppure al fatto che un imprenditore privato effettua le sue scelte senza dover dare conto dei parametri utilizzati, della loro logicità, della riserva di legge che presiede all’ordinamento degli enti, e senza dover rispondere alla comunità della trasparenza e della predeterminazione dei criteri utilizzati.
Tra le deroghe previste dalla tabella C del CCNL vi è quella che consente l’accesso all’area dei funzionari e dell’elevata qualificazione a coloro che, in possesso della laurea (triennale o magistrale) o del diploma di scuola secondaria di secondo grado, abbiano maturato rispettivamente 5 o 10 anni di esperienza nell’area degli istruttori e/o nella categoria del precedente sistema di classificazione. La seconda deroga, riservata a coloro che sono in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, introduce una deroga specifica al titolo di studio che l’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001, non sembra consentire per l’accesso all’area dei funzionari (“ad esclusione dell’area di cui al secondo periodo”).Inoltre la previsione di almeno 5 anni di esperienza nel caso di dipendenti in possesso della laurea non trova fondamento della disciplina delle progressioni verticali “ordinarie” per le quali l’unico riferimento ad un numero minimo di anni riguarda l’esito delle valutazioni individuali degli ultimi tre anni di servizio, cui l’art. 15 del CCNL 16.11.2022 ha aggiunto “o comunque le ultime tre valutazioni disponibili in ordine cronologico, qualora non sia stato possibile effettuare la valutazione a causa di assenza dal servizio in relazione ad una delle annualità”.