10/03/2021 - Il TAR Napoli si esprime sui provvedimenti di attribuzione a terzi di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico
La possibilità di attribuire a terzi la disponibilità di beni di proprietà pubblica, assoggettati allo svolgimento di un servizio pubblico, e, quindi, facenti parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, è tradizionalmente rimessa allo strumento concessorio, tipico provvedimento ampliativo di diritto pubblico.
Ha chiarito il Tar che la possibilità di attribuire a terzi la disponibilità di beni di proprietà pubblica, assoggettati allo svolgimento di un servizio pubblico, e, quindi, facenti parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, è tradizionalmente rimessa allo strumento concessorio, tipico provvedimento ampliativo di diritto pubblico (v. in tal senso, Cass. civ., SS.UU., n. 5487 del 2014).
Giova rammentare che la concessione di beni pubblici – qual è quella di cui si discute - è istituto in cui è immanente l’interesse dell’amministrazione a un corretto utilizzo del bene affidato in uso speciale al privato concessionario di talché il contratto che regola il rapporto si rivela essere dipendente logicamente e giuridicamente dal provvedimento con cui si estrinseca il potere di affidamento dell’uso del bene. A tale schema, peraltro, corrisponde la persistenza, anche nella fase esecutiva del rapporto, di poteri di supremazia dell’amministrazione.
In punto di riparto di giurisdizione, quanto si è appena argomentato vale a distinguere la fattispecie in esame dalle figure di concessione ascrivibili alle previsioni del codice degli appalti (art. 3 lett. ‘uu’ e ‘vv’, d.lgs. n. 50 del 2016) rispetto alle quali sta emergendo, nella Corte regolatrice, un indirizzo che restringe la giurisdizione del Giudice amministrativo applicando, per lo più, il criterio di riparto previsto nell'ambito delle procedura di evidenza pubblica (Cass. civ., SS.UU., n. 31027 del 27 novembre 2019 e n. 18267 dell’8 luglio 2019).
Nel caso in esame, trova, invece, applicazione il criterio di cui all’art. 133, comma 1, lett. b, c.p.a. per la concessione di beni pubblici che rimette alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie “aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”.
Il Tar ha ancora ricordato che nell’ambito delle concessioni di beni pubblici, non è ipotizzabile il rinnovo tacito in quanto non è possibile desumere la volontà della P.A. per implicito e, quindi, al di fuori del procedimento prescritto dalla legge per la sua formazione e senza le forme prescritte a tal fine.
Il principio del divieto di rinnovo dei contratti pubblici scaduti, pur previsto espressamente con riferimento al settore degli appalti, si estende anche al settore delle concessioni dei beni pubblici in quanto esso deriva dall’applicazione della regola, di matrice comunitaria, per cui i beni pubblici contendibili non devono poter essere sottratti per un tempo eccessivo e senza gara al mercato e, quindi, alla possibilità degli operatori economici di ottenerne l’affidamento.