10/02/2021 - La Corte di Cassazione ancora sul divieto di inquadramento per lo svolgimento di mansioni superiori
Cassazione civ., sez. lav., ord. 03/02/2021 n. 2478 (link).
La suprema Corte ribadisce che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del CCNL, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del CCNL, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva (v. Cass. SS.UU. sent. n. 21744/2009; v. pure ex plurimis, Cass. lav. sentt. n. 10973/2015 e n. 31387/2019).
Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori deve essere operato avuto riguardo all’atto di macro-organizzazione, di portata generale (e soggetto alla giurisdizione del G.A., v. sent. Cons. Stato, sez. III, n. 1066/2021), con il quale la P.A. ha adattato alla propria struttura i profili professionali previsti dalla contrattazione collettiva, individuando i posti della pianta organica, dovendo escludersi che a tale compito possa provvedere il giudice, cui è devoluto il sindacato dei soli atti di organizzazione esecutiva, assunti con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (Cass. lav. sent. n. 33401/2019; v. pure Cass. lav. sentt. n. 28451/2018 e n. 18191/2016). Dunque, è errata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la previsione in pianta organica di una determinata posizione organizzativa, come pure l’effettiva adibizione ad essa del ricorrente, peraltro dopo il superamento di una prova selettiva per l’idoneità allo svolgimento delle relative mansioni.
Il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (Cass. lav. sentt. n. 19812/2016 e n. 18808/2013), sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. lav. sentt. n. 24266/2016 e n. 30811/2018).