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19/11/2021 - Sentenza incarichi a titolo gratuito: le reazioni

tratto da lavoripubblici.it

Il Consiglio di Stato giudica legittimi gli incarichi a titolo gratuito su cui non è previsto l’equo compenso. Ma non tutti ci stanno.

Come avevamo previsto, fa discutere la sentenza n. 7442/2021 del Consiglio di Stato, relativa a un avviso pubblico per l’assegnazione di incarichi di consulenza a titolo gratuito, conferiti da una Pubblica Amministrazione a professionisti specializzati.

Pur annullando il bando perché generico e non conforme ai principi di efficienza e buon andamento delle Amministrazioni, Palazzo Spada ha confermato che la Pubblica Amministrazione può affidare un incarico a titolo gratuito senza che venga lesa la dignità personale e lavorativa del professionista.

Nell’ordinamento infatti non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce o altrimenti ostacola l’individuo nella facoltà di compiere scelte libere in ordine all’impiego delle proprie energie lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa. Diversamente, si dovrebbe ritenere illegittima o addirittura illecita anche la prestazione di attività liberali, che nemmeno contemplano la possibilità di ricavare dei vantaggi indiretti, essendo effettuate in maniera del tutto spontanea e con spirito di arricchire l’altro senza alcun vantaggio per sé stessi.

Oltretutto, se nell’avviso non è previsto un compenso, non è nemmeno applicabile la disciplina dell’equo compenso. Un po’ come in matematica, dove qualunque numero moltiplicato per zero dà come risultato zero. O meglio, per il Consiglio non sarebbe comunque del tutto pari a zero, perché “l’adesione del professionista, reca indubbiamente una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio personale, fattivo e utile contributo alla “cosa pubblica”.

In sostanza, basta il piacere di avere lavorato per un’istituzione e il lustro di potere aggiungere l’esperienza al curriculum.

Le reazioni non si fanno attendere: nel commentare la sentenza, Confprofessioni ha sottolineato come si delinea un quadro paradossale, quasi kafkiano, in cui il professionista ha diritto a un compenso equo, ma soltanto a condizione che venga pagato e che quindi si riconosca il diritto a essere pagato secondo il principio di equità, ma allo stesso tempo che tale principio divenga esigibile soltanto nel caso in cui il compenso sia effettivamente previsto.

Secondo Confprofessioni, la sentenza sancisce di fatto l’illegittimità delle prestazioni sottopagate e la contestuale liceità di compensi pari a zero. La questione che si lega strettamente alla proposta di legge sull'equo compenso recentemente approvata dalla Camera e su cui il Senato a breve discuterà, cercando di correggere alcune criticità, come la norma relativa agli incarichi sotto soglia, che prevede una sanzione per il professionista sottopagato piuttosto che per il committente inadempiente.

L’approvazione della legge e la corretta applicazione dell’equo compenso potrebbero essere una soluzione alla richiesta di prestazioni professionali a titolo gratuito, spesso praticata dalle PP.AA. per ridurre i costi.

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