19/10/2018 - Ennesima bacchettata dei giudici amministrativi per l'abusiva reiterazione dei contratti a termine
Ennesima bacchettata dei giudici amministrativi per l'abusiva reiterazione dei contratti a termine
di Amedeo Di Filippo - Dirigente comunale
Vasto e ramificato il fenomeno del precariato nel pubblico impiego, che ha peraltro dato origine a numerosi contenziosi sia a livello nazionale che europeo a causa dell'abusiva reiterazione dei contratti a termine. Fenomeno a cui si è accompagnata una lunga scia di stabilizzazioni, l'ultima delle quali prevista dal D.Lgs. n. 75 del 2017.
Le regole per il pubblico impiego, sotto l'egida dell'art. 97 Cost., sono dettate dall'art. 36, D.Lgs. n. 165 del 2001, che disciplina i rapporti di lavoro a tempo determinato in maniera da ricondurre le tipologie flessibili nell'alveo fisiologico delle "comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale" (comma 2).
Regole che evidentemente non riescono a contenere il fenomeno in frangenti in cui il turn over viene drasticamente limitato e le funzioni aumentate a parità di spesa, percorrendo un tragitto che per il lavoro privato - nonostante il comune obiettivo di riduzione - è esattamente contrario, causa le novità introdotte dal c.d. "decreto dignità".
Era quindi inevitabile che su queste vicende mettessero pesantemente le mani il giudice nazionale e quello eurounitario, chiamato quest'ultimo più volte ad esprimersi circa la compatibilità della normativa interna con la disciplina comunitaria in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.
Un punto fermo è stato posto dalla Corte di giustizia europea con la sentenza C-418/13 del 26 novembre 2014, che ha sancito la contrarietà al diritto dell'Unione europea la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola statale.
Si sono accodate le sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, chiamate ad individuare la portata applicativa e la parametrazione del danno risarcibile ai sensi dell'art. 36, D.Lgs. n. 165 del 2001. La Suprema Corte ha in questa occasione elaborato la nozione di "danno comunitario", in presenza del quale il dipendente può limitarsi a provare l'illegittima stipulazione di più contratti a termine sulla base di esigenze falsamente indicate come straordinarie e temporanee, facendo ampio uso della prova presuntiva ed essendo esonerato dalla costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito.
Sono inoltre intervenute con la sentenza n. 14432 del 9 giugno 2017, con cui si sono espresse sulla misura risarcitoria in linea con la precedente n. 5072 del 2016, secondo cui nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia, sicché va escluso il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo e può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, L. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito.
Con l'ordinanza n. 6902 del 2018 la Cassazione ha inoltre evidenziato che un'eventuale stabilizzazione non può mantenere indenne l'amministrazione dall'abuso della successione di contratti a termine.
Sulla materia è tornata da ultimo la Corte di Giustizia con la sentenza C-494/16 del 7 marzo 2018, con la quale ha ribadito che non esiste a livello comunitario un obbligo generale degli Stati membri a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, talché non osta a che uno di essi riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, a seconda che tali contratti o rapporti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.
Tuttavia, lo Stato membro dovrà prevedere un'altra misura effettiva destinata ad evitare e sanzionare l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, quali in Italia la misura risarcitoria e le sanzioni previste dall'art. 36, commi 5 e 5-quater, D.Lgs. n. 165 del 2001.
La nuova sentenza. I presupposti
In questo alveo si situa la sentenza n. 5720 del 5 ottobre 2018con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato valuta la successione di contratti a tempo determinato presso la Croce Rossa Italiana, mercé un ricorso presentato da alcuni operatori ripetutamente congedati e poi richiamati in servizio, i quali hanno chiesto l'accertamento della natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.
Ricorso rigettato dal Tar Campania e ora respinto anche dalla sesta sezione, che conferma la sentenza di primo grado ma con motivazione in parte diversa.
I giudici partono dall'art. 97 della Costituzione - "Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge" - il quale però non precisa i casi in cui si può derogare al principio del pubblico concorso. Ha supplito la Corte costituzionale con approdi giurisprudenziali che possono considerarsi oramai consolidati:
- il concorso pubblico è la forma generale e ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, in quanto meccanismo imparziale che, offrendo le migliori garanzie di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del merito, garantisce l'efficienza dell'azione amministrativa;
- al concorso pubblico può derogarsi solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico;
- forme diverse di reclutamento devono essere legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri che, pur involgendo necessariamente la discrezionalità del legislatore, devono rispondere a criteri di ragionevolezza che non contraddicano i principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione.
Il principio del pubblico concorso vale anche per le assunzioni con strumenti di contrattazione flessibile, ma nel pubblico impiego la violazione dei limiti temporali e quantitativi preclude al giudice di disporre la conversione del rapporto a tempo indeterminato, sussistendo soltanto il diritto del lavoratore al risarcimento dei danni subiti. Il divieto legislativo espresso costituisce applicazione del vincolo costituzionale del concorso pubblico.
L'effettività dell'apparato che sanziona l'abuso nel rinnovo dei contratti a tempo determinato è assicurato dalla responsabilità amministrativa cui sono sottoposti i dirigenti e dallo speciale regime risarcitorio che assicura al lavoratore pubblico un danno minimo presunto.
La decisione
La sesta sezione vaglia la sentenza di primo grado sulla base di queste coordinate, ritenendola ineccepibile nelle parti in cui ha respinto la richiesta di stabilizzazione del rapporto di lavoro e la domanda risarcitoria.
Cambia però le motivazioni per quest'ultima, ritenuta inammissibile dal primo giudice in ragione della natura volontaria del lavoro prestato dai ricorrenti, motivazione contestata dalla sesta sezione in relazione al fatto che un rapporto di lavoro "ben può essere dissimulato da un rapporto volontario". Ai fini della qualificazione del rapporto infatti non assume valenza dirimente il nomen iuris utilizzato dalle parti, quanto le concrete modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ricavabile l'effettiva volontà delle parti.
Nel caso di specie, gli "arruolamenti" erano stati effettuati per il corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate, purtuttavia i rapporti erano stati ripetuti con brevi interruzioni; il servizio era svolto in turni di 12 ore; i cedolini stipendiali mensili attestano la corresponsione di una vera e propria retribuzione lorda; per lo svolgimento delle medesime mansioni disponeva anche di personale stabile non volontario ovvero di dipendenti civili di ruolo o militari immessi in servizio continuativo nel Corpo Militare.
Tanto basta ai giudici di Palazzo Spada per concludere che "il richiamo in servizio non è avvenuto per esigenze contingenti e temporanee, ma per soddisfare, invece, esigenze ordinarie e costanti nel tempo, instaurando di fatto un rapporto avente i connotati del rapporto di impiego".
Una violazione della disciplina sul servizio volontario che determina un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, che viene stigmatizzata dalla sesta sezione in quanto "riduce, di fatto, il ricorso a risorse selezionate con criteri selettivi di scelta meritocratica, per favorire invece situazioni che non possono più, in alcun modo, trovare un consolidamento".
Purtuttavia, nel caso di specie i giudici non rilevano la prova del danno effettivamente subito, in quanto non è possibile far coincidere il danno con la mancata conversione, posto che il pregiudizio è risarcibile solo se ingiusto e tale non può ritenersi la conseguenza che sia prevista da una norma di legge, non sospettabile di illegittimità costituzionale o di non conformità al diritto dell'Unione.
Si può invece ipotizzare una perdita di chance nel senso che, se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore. Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili e in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato.
Il fatto è che gli appellanti, iscritti volontariamente al Corpo Militare e richiamati in servizio temporaneo, non hanno mai partecipato ad alcuna delle procedure selettive indette durante il periodo per l'immissione in servizio continuativo. Questo porta i giudici ad escludere che i lavoratori siano rimasti confinati in una situazione di precarizzazione e che abbiano perso la chance di conseguire, con percorso alternativo, l'assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di ordinari rapporti di lavoro privatistico a tempo indeterminato.
Cons. di Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 5720