16/10/2018 - L'autocertificazione non veritiera della presenza in servizio, per mancato funzionamento del sistema, produce danno erariale
L'autocertificazione non veritiera della presenza in servizio, per mancato funzionamento del sistema, produce danno erariale
di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
La vicenda
In considerazione di alcune anomalie riscontrate nel sistema di rilevazione delle presenze, anche a fronte di un cambio del software di gestione, due dipendenti procedevano all'autocertificazione ex post della loro presenza in entrata ed in uscita. Da una verifica effettuata dall'ente, si riscontrava che le autocertificazioni dei due dipendenti erano non solo inattendibili, ma dimostravano una regolazione postuma di presenze tali da indurre l'ente a conguagliare orari di presenze rilevatesi non dovute. L'inattendibilità veniva dimostrata dai tabulati telefonici che rintracciavano la presenza dei dipendenti al di fuori del proprio ufficio con distanze anche considerevoli.
I giudici contabili di primo grado procedevano alla condanna erariale dei due dipendenti, addebitando al responsabile del servizio la mancata resa di 570 ore, pari ad euro 15.500, mentre al secondo dipendente venivano addebitate 23 ore con danno pari ad euro 380. Quanto al danno all'immagine la contestazione discendeva dall'applicazione dell'art. 55-quinquies, D.Lgs. n. 165 del 2001 in base al quale il "lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente” è tenuto al risarcimento del danno all'immagine subito dall'amministrazione.
Si difendono i lavoratori in appello, il primo precisando che la sua responsabilità non derivava direttamente dal fraudolento utilizzo dei badge o dei cartellini, come ipotizzato in sede penale, bensì nell'eccesso di orario autodichiarato rispetto alle risultanze del dato elettronico, apparendo per tale verso illogico e contraddittorio ravvisare una volontà di occultamento della condotta e del danno. Inoltre, nessun danno all'immagine poteva loro essere addebitato in considerazione del fatto che l'illiceità della condotta è stata riconosciuta nella sentenza nell'avere i convenuti autocertificato un orario di servizio più lungo di quello attestato dalle strisciate dei badge; sarebbe questa una ricostruzione molto diversa da quella prospettata nella sede penale laddove invece viene dato rilievo alle presunte condotte fraudolente perpetrate per mezzo dell'utilizzo dei badge. La difesa del secondo dipendente riguarda, invece, la risibilità in termini quantitativi della condotta e del danno addebitati, trattandosi di differenze di "manciate di minuti distribuite su 10 mesi", inoltre, la base di calcolo effettuata dall'ente delle complessive 23 ore era da dubitare mancando una oggettiva attendibilità e precisione dei calcolo effettuati.
Le indicazioni dei giudici contabili di appello
Precisano i giudici contabili di appello come il Collegio di prima istanza abbia contestato ai due dipendenti sia la discrepanza quantitativa tra periodi lavorativi in cui gli interessati erano risultati presenti in ufficio con quanto da loro autocertificato rispetto alle presenze effettive, sia la ricorrenza o abitualità della loro condotta che ne ha fatto discendere il fatto qualificato come doloso. Ora, secondo il Collegio cantabile di appello, tale ricostruzione è valida per il primo dipendente, il quale rivestendo anche il ruolo di responsabile del servizio aveva l'onere oltre che, di assumere per se stesso un comportamento lecito, di attendere alla gestione e di verificare la regolarità del sistema delle presenze in ufficio dei suoi sottoposti. Per il secondo dipendente il discorso è diverso, sia in ambito quantitativo (23 ore addebitate rispetto alle 570 del responsabile), sia in merito alla sua condotta considerata illecita. Infatti, secondo la ricostruzione effettuata non si è trattato di un comportamento illecito ma piuttosto, di un margine accettabile ed inevitabile di non concordanza tra un sistema automatizzato di registrazione delle presenze e le autodichiarazioni ex post a lui richieste, con uno sforzo di memoria, perciò solo fallibile, in merito alle giustificazioni delle sue presenze in ufficio nei mesi precedenti. Per tale dipendente, pertanto, secondo il Collegio contabile di appello, non solo non è risultata raggiunta la prova della sua responsabilità in ordine all'elemento soggettivo, ma neppure in termini di colpa grave, con conseguente assoluzione dello stesso.
Al primo dipendente, responsabile del servizio, non solo viene confermato il danno erariale ricostruito dai giudici contabili di primo grado, ma va anche confermato il danno all'immagine, per aver agito con una modalità fraudolenta attestando falsamente la propria presenza, ai sensi dell'art. 55-quinquies, D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui il "lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente". In altri termini, è integrata la fattispecie nella falsa attestazione della presenza sia che la stessa avvenga con l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o mediante altre modalità fraudolente, ma anche con altri comportamenti quali quello di giustificare l'assenza dal servizio mediante falsa certificazione medica o falsa attestazione di uno stato di malattia, che non implicano una manomissione della strumentazione di rilevazione delle presenze, che rappresenta un elemento rafforzativo dell'atteggiamento soggettivo dell'agente nell'assumere la condotta che, nel caso di specie il comportamento illecito è emerso dalle stesse autocertificazioni rese con le quali, le false attestazioni della presenza, sono frutto di una precedente non corretta marcatura dell'apposito cartellino segnatempo valutata in termini dolosi e, quindi, tale da potersi applicare la normativa particolare prevista dall'art. 55-quinquies, D.Lgs. n. 165 del 2001 sul danno all'immagine.
Corte dei conti, Sez. II App., sentenza 4 settembre 2018, n. 523