10/10/2018 - Legittimo l'inserimento del comandante della polizia locale in una struttura dirigenziale sovraordinata
Legittimo l'inserimento del comandante della polizia locale in una struttura dirigenziale sovraordinata
di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Il caso, posto all'attenzione dei giudici di legittimità, riguarda il mancato superamento del periodo di prova del comandante della Polizia Locale sulla base delle relazioni del Sindaco e dell'Assessore e delle indicazioni fornite dal dirigente sovraordinato che sono culminate con il provvedimento sottoscritto dal Segretario comunale che ha proceduto alla risoluzione del rapporto di lavoro. I passaggi importanti, per quel che qui interessa, riguardano le doglianze, espresse dal dipendente estromesso ed indirizzate ai seguenti problemi di presunta illegittimità della risoluzione, dovute, a suo dire, alla mancata separazione tra attività di indirizzo politico e gestione tecnico-amministrativa; all'illegittimo inserimento della dirigente della Polizia Locale all'interno di altra struttura dell'ente, da sempre negata dalla giurisprudenza amministrativa; alla mancanza delle garanzie poste al dipendente trattandosi di procedimento disciplinare e, in ogni caso, per violazione della normativa regionale che imponeva un obbligo formativo colpevolmente non attuato dall'ente. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22396 del 2018 confuta le indicate tesi del ricorrente giudicando legittimo il recesso dal periodo di prova.
Il rapporto tra politica e gestione
Smentita la prima tesi del ricorrente secondo la quale, nel caso di specie, vi sarebbe stata una indebita ingerenza esercitata da organi di indirizzo politico, ossia dal Sindaco e dall'Assessore alla Sicurezza, i quali, per il principio di separazione fra politica ed amministrazione, avrebbero dovuto astenersi da ogni valutazione sull'operato del dirigente durante il periodo di prova.
Precisa la Suprema Corte come le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dal D.Lgs. n. 267 del 2000, nel disciplinare il rapporto fra organi politici e dirigenza amministrativa, riservano ai primi non solo la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, ma anche la funzione di controllo della rispondenza della gestione e dell'azione amministrativa agli indirizzi dati. In tal senso si esprime l'art. 4, D.Lgs. n. 165 del 2001 ed il principio è desumibile anche dagli artt. 107 e 109, D.Lgs. n. 267 del 2000 che prevedono un analogo potere di controllo, tra l'altro necessariamente presupposto dalla previsione della revoca dell'incarico dirigenziale per inosservanza delle direttive impartite o per mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Pertanto, per i giudici di legittimità la distinzione fra attività di indirizzo politico e gestione tecnico-amministrativa non implica che le due sfere, seppure distinte, non debbano in nessun caso comunicare fra loro, perché, al contrario, deve sussistere uno stretto coordinamento tra le funzioni di indirizzo e quelle di gestione, giacché quest'ultime vanno svolte conformemente agli obiettivi fissati dagli organi politici. Fatta una distinzione generale, nel caso poi della Polizia Locale i poteri rispettivamente attribuiti al Sindaco ed al dirigente sono quelli previsti dall'art. 2, L. n. 65 del 1986, secondo cui «il Sindaco o all'assessore da lui delegato ... impartisce le direttive, vigila sull'espletamento del servizio e adotta i provvedimenti previsti dalle leggi e dai regolamenti», e dall'art. 9 che prevede la diretta responsabilità del comandante del Corpo «verso il sindaco» in relazione all'addestramento, alla disciplina e all'impiego tecnico-operativo degli appartenenti al Corpo. Inoltre, l'art. 54, D.Lgs. n. 267 del 2000 fissa le competenze del Sindaco in tema di ordine pubblico e sicurezza e stabilisce anche che lo stesso «concorre ad assicurare la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statale». In conclusione, nel caso del comandante della Polizia Locale i poteri di controllo del Sindaco e dell'Assessore vanno al di là del mero indirizzo politico.
Comandate e struttura sopraordinata
Priva di meritevole apprezzamento è anche la seconda tesi avanzata del ricorrente secondo cui i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa sull'organizzazione della Polizia Municipale e sulla giuridica sanciscono l'impossibilità di stabilire un rapporto gerarchico fra dirigente amministrativo e comandante della Polizia Municipale.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, non può non essere rilevato come l'atto, della cui legittimità si discute, non è stato adottato dal dirigente del settore sicurezza in cui era inserito il dirigente della Polizia Locale e, quindi, non si pone una questione di esercizio del potere da parte di soggetto diverso da quello titolare dello stesso. In merito alle indicazioni evidenziate dal ricorrente in ambito della giurisprudenza amministrativa, le diverse pronunce hanno solo escluso che, attraverso l'incardinamento in una struttura più ampia, il Corpo della Polizia Municipale possa essere posto alle dipendenze del dirigente amministrativo preposto a tale struttura, perché ciò equivarrebbe a trasferire a quest'ultimo funzioni di governo che per legge competono al Sindaco. In altri termini, una cosa è attribuire al Comandante della Polizia Locale anche compiti amministrativi di una struttura più ampia ed altra cosa inserirlo nella sola sua funzione all'interno di una articolazione dirigenziale più ampia come nel caso di specie. Pertanto, l'atto di organizzazione della macrostruttura dell'ente è da considerarsi legittimo in quanto il comandante non ha dimostrato che vi sia stato concretamente un trasferimento delle sue funzioni in capo al dirigente sovraordinato, potendo per tale verso considerare legittimo il suo inserimento in un'area più vasta (nella specie il Settore Sicurezza), con la quale interagire nel rispetto delle rispettive sfere autonome di competenza. D'altra parte, secondo la Cassazione, è lo stesso legislatore a prevedere che il Comandante del Corpo di Polizia Municipale, al pari di tutti gli addetti alle attività di polizia, debba eseguire le direttive impartite, non solo dai superiori gerarchici, ma anche «dalle autorità competenti per i singoli settori operativi, nei limiti del loro stato giuridico e delle leggi» ( art. 9, comma 2, L. n. 65 del 1986).
Rapporto tra mancato superamento della prova e provvedimento disciplinare
Sul mancato superamento del periodo di prova la giurisprudenza di legittimità ha da tempo evidenziato che il patto di prova mira ad accertare non solo la capacità tecnica ma anche la personalità del lavoratore e, in genere, l'idoneità dello stesso ad adempiere gli obblighi di fedeltà, diligenza e correttezza (Cass. civ. n. 5696 del 1986, Cass. civ. n. 5714 del 1999, Cass. civ. n. 9948 del 2001). In conclusione, la mancanza di diligenza nell'esecuzione della prestazione ben può essere valorizzata per giustificare il giudizio negativo sull'esperimento, senza che ciò trasformi l'atto in una sanzione disciplinare, posto che la valutazione sulla convenienza a rendere definito il rapporto non può prescindere dalla prognosi sulla capacità del lavoratore di adempiere correttamente le obbligazioni che dal rapporto stesso scaturiscono. Inoltre, l'obbligo di motivare il recesso non esclude né attenua la discrezionalità dell'ente nella valutazione dell'esperimento, non incide sulla ripartizione degli oneri probatori, né porta ad omologare il recesso per mancato superamento della prova al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, essendo finalizzato solo a consentire la «verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall'altro, all'effettivo andamento della prova stessa», fermo restando che grava sul lavoratore l'onere di dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo (Cass. civ. n. 21586 del 2008 e Cass. civ. n. 19558 del 2006).
Formazione richiesta dalla legge regionale
Ultimo motivo di doglianza, da parte del dipendente revocato, riguarda il mancato rispetto da parte del Comune della normativa regionale che prescrive come obbligatorio un periodo di formazione iniziale per tutti gli appartenenti al Corpo della Polizia Municipale, ivi compresi quelli con qualifica dirigenziale. Anche tale eccezione non merita accoglimento, in quanto la legge regionale non pone un'imprescindibile e automatica correlazione fra formazione iniziale e valutazione dell'esperimento né individua nella prima una condizione di validità della seconda, limitandosi a prevedere che della formazione, ove conclusa, l'amministrazione debba tener conto. In ogni caso, precisa la Suprema Corte, la normativa regionale non potrebbe porsi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale in merito ai limiti che il legislatore locale incontra nel dettare la disciplina del rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. In conclusione, la disciplina della prova nel rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti locali è dettata dalla normativa statale e dalla contrattazione collettiva che non pongono quale condizione per la validità del recesso la previa attivazione di un percorso formativo, sicché, ove interpretata nei termini sollecitati dal ricorrente, la normativa regionale finirebbe per andare al di là delle competenze proprie della Regione, fra le quali si annoverano la formazione professionale e l'ordinamento nonché l'organizzazione amministrativa regionale, per invadere il campo di quelle statali.
Sulla competenza del Segretario comunale
In conclusione, secondo i giudici di Piazza Cavour, le motivazioni del recesso adottate sull'autonoma valutazione da parte del Segretario comunale sono da considerarsi legittime, in quanto nelle proprie motivazioni della lettera di recesso sono state richiamate le relazioni sia della parte politica che del dirigente sovraordinato, con la formulazione dell'esito negativo del periodo di prova del Comandante, attenendosi a quanto prescritto dall'art. 15 del CCNL 10 aprile 1996 per il comparto della dirigenza degli enti locali che richiede, quali uniche condizioni per l'esercizio del potere di recesso, che sia decorsa la metà del periodo di prova e che le ragioni vengano esplicitate attraverso la motivazione dell'atto.
Cass. civ., Sez. Lavoro, 13 settembre 2018, n. 22396