09/10/2018 - Responsabilità da demansionamento anche se è il dipendente a chiedere ed accettare altre funzioni
Responsabilità da demansionamento anche se è il dipendente a chiedere ed accettare altre funzioni
di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Un dipendente era stato continuamente trasferito ad altri settori senza che lo stesso svolgesse le responsabilità proprie della sua categoria contrattuale di appartenenza (funzionario di ex 8^ qualifica funzionale, poi inserito nell'Area D). La Corte di Appello, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, aveva riconosciuto il demansionamento per soli due trasferimenti, in quanto disposti in via diretta dall'ente, mentre aveva escluso gli ulteriori trasferimenti avvenuti in quanto, riguardo a ciascuno di essi, il dipendente aveva prestato il suo consenso o chiaramente accondisceso al cambio di funzioni. Il danno accertato era stato, pertanto, limitato ai soli due trasferimenti avvenuti in funzioni non compatibili con il suo livello di inquadramento.
Le motivazioni del ricorso del dipendente
Il dipendente ricorre in Cassazione per aver la Corte di Appello violato l'art. 2103 c.c., il quale attribuisce valore inderogabile al principio del divieto di demansionamento, a tutela della professionalità del lavoratore, il quale permane anche in presenza di una sua manifestazione di consenso. In altri termini, la sentenza sarebbe viziata nel momento in cui pone il confine del danno alla professionalità nei soli mutamenti di destinazione ai quali la ricorrente non avesse accondisceso o espressamente acconsentito. In merito ai citati trasferimenti, infatti, la Corte di Appello avrebbe omesso di accertare che le mansioni cui il dipendente era stato adibito fossero quelle proprie della qualifica e del profilo professionale rivestito. In particolare, la doglianza riguarda il mancato esame comparativo delle nuove mansioni sotto il profilo della loro equivalenza in rapporto alle competenze richieste, al livello professionale raggiunto e all'utilizzazione del patrimonio professionale acquisiti nella pregressa fase del rapporto.
Le motivazioni della Cassazione
Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorso merita accoglimento per le seguenti rilevanti motivazioni.
E' stato, infatti, affermato che, con riguardo allo jus variandi del datore di lavoro il divieto di variazione in pejus opera anche quando, al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionale. Tali nuove mansioni possono considerarsi, inoltre, equivalenti alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze (Cass. civ. n. 14666 del 2004).
Nel caso di specie, il dipendente prima assegnato inizialmente all'ufficio Risorse Comunitarie con la qualifica D, posizione Economica D5, era stato trasferito al Settore Annona con compiti amministrativi (redazione di certificazioni verosimilmente su modelli prestampati), per poi essere spostato nuovamente - su sua richiesta - al servizio originario. Dopo soli pochi mesi, veniva trasferito all'Infopoint, e poi al Servizio Ambiente di nuova istituzione dove veniva di fatto privato di compiti operativi. In considerazione dell'inoperatività nel settore di destinazione si addiveniva ad un nuovo trasferimento al gruppo consiliare, con mansioni di segreteria, per poi essere assegnato, su sua istanza, presso la Polizia Municipale, dove però dopo un mese veniva ritrasferito d'ufficio sempre alla segreteria del gruppo consiliare, poiché le competenze alle quali era stata adibita (procedure relative alla costituzione del Comune nei giudizi aventi ad oggetto l'impugnativa dei verbali di Polizia Municipale) erano passate al Settore Affari Legali.
L'errore della Corte di Appello, secondo la Cassazione, risiede nell'aver svolto solo le differenza del primo spostamento, avendo accertato la non conformità dei compiti attribuiti rispetto alla qualifica rivestita, senza aver ampliato l'analisi alle altre attività svolte successivamente, con la sola giustificazione della richiesta del trasferimento proveniente dalla stessa dipendente o che ne aveva accettato il trasferimento. La posizione assunta dal giudice di secondo grato, tuttavia, non è conforme all'art. 2103 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, secondo cui non ammette la derogabilità della cosi detta reformatio in pejus nemmeno in presenza dell'accordo tra le parti, come sancisce il richiamo alla nullità di patti contrari contenuto nella versione della norma.
Pertanto, nella sentenza i giudici di secondo grado hanno indicato l'assenza di demansionamento, senza un rigoroso giudizio di comparazione, ma basandosi in via esclusiva nella valorizzazione, pressoché esclusiva, dell'elemento del consenso e/o dell'acquiescenza prestati dal dipendente ai diversi spostamenti effettuati dagli organi comunali responsabili, elemento che non può costituire oggetto di valutazione, vigendo la regola dell'indisponibilità delle mansioni in capo al dipendente, a tutela del patrimonio professionale acquisito.
Conclusioni
Non avendo, pertanto, la sentenza della Corte di Appello indicando con precisione una comparazione analitica tra i compiti svolti in origine e quelli assegnati di volta in volta al dipendente trasferito, al fine di ricavarne un attendibile giudizio di equivalenza, la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte territoriale in diversa composizione, al fine di verificare i presupposti di equivalenza delle mansioni.