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15/11/2018 - Rifiuti speciali, il contribuente «prova» l'esenzione

tratto da Il Sole 24 Ore - Mercoledì, 14 Novembre 2018

Rifiuti speciali, il contribuente «prova» l'esenzione

Il Sole 24 Ore - Mercoledì, 14 Novembre 2018

Se il Comune non ha deliberato l' assimilazione quantitativa dei rifiuti speciali le imprese non hanno un diritto generalizzato all' esenzione dalla tassa rifiuti. Allo scopo, occorre infatti che l' operatore delimiti le aree ove si formano i rifiuti speciali e dimostri la corretta gestione degli stessi. Con la sentenza 9214 del 2018, la Cassazione ha affermato - per la prima volta a quanto consta - importanti principi in materia di rifiuti speciali per quantità. Per capire di che si tratta occorre però fare un passo indietro. La tassa rifiuti è dovuta solo sulle aree ove si formano rifiuti urbani o assimilati agli urbani. Sulle aree ove si producono rifiuti speciali, in linea di principio, compete invece la detassazione totale. Per stabilire la tipologia di rifiuti prodotti, occorre ricordare che i rifiuti delle attività economiche sono tutti, in partenza, speciali, salva la facoltà del Comune di disporre l' assimilazione degli stessi ai rifiuti urbani, con apposita delibera consiliare.

L' assimilazione per qualità deve avvenire sulla base dei criteri stabiliti da norme statali. Al riguardo, in assenza delle regole tecniche che avrebbero dovuto essere adottate dall' Ambiente già dal 2006, continuano ad applicarsi quelle recate nel punto 1.1.1 della delibera Cipe del 27 luglio 1984. Se il Comune si avvale di tale potere, tutti gli scarti che hanno caratteristiche merceologiche uguali o simili rispetto alle sostanze elencate nella delibera Cipe si considerano rifiuti assimilati agli urbani, con l' effetto che le aree ove essi si formano sono soggette al prelievo sui rifiuti. La Cassazione ha tuttavia in passato rilevato che il Comune ha anche il dovere di precisare il limite quantitativo massimo di rifiuti assimilati conferibili al servizio pubblico.

In mancanza, l' assimilazione è invalida (Cassazione, sentenza 30719/2011 e 9631/2012). Nella vicenda risolta dalla sentenza 9214/2018 si trattava per l' appunto di un Comune che aveva omesso di stabilire in delibera l' assimilazione quantitativa dei rifiuti. La Suprema corte ha in proposito affermato che tale omissione non determina in automatico la detassazione di tutte le aree utilizzate dagli operatori economici. A tale scopo, occorre infatti che il contribuente: presenti una denuncia originaria o di variazione; delimiti le aree ove si formano in prevalenza rifiuti speciali; comprovi che i rifiuti speciali sono gestiti in conformità alla disciplina di legge, tramite conferimento a terzi a ciò autorizzati.

Così argomentando, il giudice di legittimità lascia chiaramente intendere che il regime dei rifiuti speciali sotto il profilo quantitativo è il medesimo di quello riferito ai rifiuti speciali per qualità. Con riferimento a questi ultimi, la Cassazione ha avuto modo di ribadire più volte che la detassazione delle aree ove essi si formano si atteggia come clausola di esenzione, e non di esclusione. Ne consegue che l' onere di provare la sussistenza dei requisiti di legge compete sempre al contribuente (da ultimo, si veda Cassazione, sentenza 11451/2018). Il compito posto a carico del soggetto passivo, in particolare, ha per l' appunto ad oggetto le tre circostanza sopra descritte (presentazione della denuncia, delimitazione delle aree e corretta gestione dei rifiuti speciali).

Vale d' altro canto evidenziare che, in ambito Tari, la norma di riferimento è solo quella all' articolo 1, comma 649, legge 147/2013, che non distingue la specialità per qualità da quella per quantità. È chiaro che i medesimi criteri valgono anche per le imprese che superano i limiti quantitativi stabiliti nel regolamento comunale.

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