22/03/2018 - L'obbligazione di risultato quale primario indice di individuazione dell'appalto
L'obbligazione di risultato quale primario indice di individuazione dell'appalto
L'ASL Roma 6 indiceva una procedura aperta, avente ad oggetto l'affidamento dell'appalto di servizi di diverse attività di ausilio-supporto ai propri uffici. Precisamente: - supporto giuridico, amministrativo, tecnico e contabile; - supporto e gestione dei servizi centrali, distrettuali ed ospedalieri; - archiviazione, data entry e front office; - supporto amministrativo contabile riferito al procedimento di liquidazione fatture e degli ulteriori documenti contabili; - attività di segreteria alle Direzioni Aziendali, Ospedaliere e Distrettuali. E' importante evidenziare che la stazione appaltante ha espressamente qualificato il contratto come "appalto di servizi" e non in un altro modo. La gara veniva indetta con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con durata biennale (valore annuo pari ad € 3.565.270,00). Un operatore economico, iscritto all'Albo delle Agenzie per il Lavoro, impugnava gli atti di gara, sostenendo che la procedura avviata era stata erroneamente qualificata ed impostata. Precisamente, in luogo di una corretta gara per l'affidamento del contratto di somministrazione di manodopera (o di personale), era stata disposta una per l'affidamento di un non genuino "appalto di servizi". Se si fosse dato luogo ad una corretta impostazione, la gara avrebbe dovuto essere riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell'apposito Albo presso il Ministero del Lavoro, ai sensi dell'art. 4, D.Lgs. n. 276 del 2003 (cd. riforma Biagi). In conseguenza di siffatta erronea impostazione (secondo la prospettazione del ricorrente), la partecipazione alla gara è stata consentita a tutte le imprese commerciali, a cui è vietata la somministrazione di personale, pena la commissione di un illecito amministrativo (ai sensi dell'art. 40, D.Lgs. n. 81 del 2015), mentre è stata resa più difficile per le Agenzie per il Lavoro, in ragione dei particolari requisiti d'accesso richiesti. Il T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, con la sentenza n. 1129/2017, respingeva il ricorso, ritenendo che si fosse in presenza di un genuino contratto di appalto di servizi, sulla base delle seguenti considerazioni: - l'aggiudicatario è obbligato ad elaborare e presentare un progetto tecnico, in cui devono essere esplicitate le modalità organizzative di svolgimento del servizio; - il personale è chiamato a svolgere prestazioni sulla base di ordini di servizio impartiti dall'impresa aggiudicataria; - la gestione dei singoli rapporti di lavoro del personale è a carico dell'appaltatore; - l'appaltatore è, in ogni caso, tenuto a garantire l'erogazione dei servizi anche in caso di sciopero del personale addetto; - l'appaltatore è responsabile anche per i danni eventualmente cagionati ai locali, alle persone o cose e derivanti dall'espletamento delle prestazioni contrattuali.
Come noto, ai sensi dell'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, il contratto di appalto, disciplinato dall'art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro in base ai seguenti criteri: a) organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto; b) assunzione da parte del appaltatore, del rischio d'impresa. La riforma "Biagi" del mercato del lavoro del 2003 segna il passaggio dal "lavoro interinale" (cosiddetto "Pacchetto Treu", L. n. 196 del 1997) alla "somministrazione di manodopera", istituto di ben più ampia applicazione. Infatti, sia il lavoro interinale che la somministrazione, costituiscono "lecite deroghe" al generale divieto di interposizione nei rapporti di lavoro, introdotto dall'abrogata L. n. 1369 del 1960. Infatti, entrambi gli istituti sono stati considerati come una forma di interposizione lecita nei rapporti di lavoro. Il problema è, ovviamente, accertare quando si è in presenza di una consentita interposizione e non si dia luogo, viceversa, ad un appalto, che maschera un'illecita intermediazione di manodopera.
Quindi, ai sensi del predetto art. 29, comma 1, per verificare la presenza di un genuino appalto, occorre accertare la simultanea sussistenza dei due indicati requisiti (organizzazione dei mezzi e rischio d'impresa), tenendo conto che, per gli appalti ad alta intensità di lavoro (labour intensive), il requisito dell'organizzazione può rivelarsi anche dai poteri direttivi e organizzativi dell'appaltatore. Dunque, secondo l'analisi della giurisprudenza, gli elementi che identificano e qualificano un genuino contratto di appalto (sulla base degli indicati requisiti normativi) sono i seguenti:
1) Conseguimento di un risultato, che deve essere attentamente individuato nel contratto (realizzazione di un'opera > costruzione di un edificio, installazione macchinari, etc.; esecuzione di un servizio > pulizie, mensa, etc.).
2) Organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore (beni strumentali: capitali, macchine, attrezzature; beni immateriali: know how, competenze tecniche, professionalità).
3) Rischio d'impresa in capo all'appaltatore. A tal riguardo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, prendendo atto del ricorso sempre più frequente a processi di esternalizzazione e della complessità della legislazione e delle fonti di riferimento in materia, con la Circolare n. 5/2001, ha effettuato una ricognizione delle principali problematiche che gli operatori incontrano nel ricorrere all'appalto. Secondo tale Circolare, costituiscono indici di sussistenza del "rischio di impresa" i seguenti fattori: - esercizio abituale di un'attività imprenditoriale; - svolgimento di una comprovata attività produttiva; - pluricommittenza.
4) Esercizio dei poteri di eterodirezione sui lavoratori da parte dell'appaltatore.
5) Comprovato livello di specializzazione e conoscenza del settore.
Sulla base di tali elementi, recentemente è stato affermato che: "l'operatività del divieto di somministrazione irregolare sussiste ogni qualvolta in capo all'appaltatore restino i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione, volta ad un risultato produttivo autonomo" (Cass. civ., Sez. VI-5, ordinanza 17 gennaio 2018, n. 938). Anche la giurisprudenza di merito si è sempre espressa in modo chiaro: "Si ha un fittizio contratto di appalto (cd. "appalto di manodopera"), che maschera una interposizione illecita di manodopera, quando lo pseudo-appaltatore si limita a mettere a disposizione dello pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti, che finiscono per essere alle dipendenze effettive di quest'ultimo, il quale detta loro le direttive sul lavoro, esercitando su di essi i tipici poteri datoriali" (Trib. Teramo 31 gennaio 2017, n. 24).
L'agenzia del lavoro, soccombente in primo grado, propone appello, evidenziando che un esame attento e neutrale del capitolato e del disciplinare di gara non può che far emergere la sussistenza di una fattispecie di somministrazione di personale e non di genuino appalto. Il Consiglio di Stato si dimostra pienamente consapevole della normativa e degli approdi giurisprudenziali in materia e principia la sua analisi, evidenziando l'assoluta necessità di effettuare un esame "nel concreto". Ciò implica la necessità di approfondire gli elementi che caratterizzano il singolo rapporto contrattuale e di tener presenti i tratti distintivi che connotano, in modo tipico, il contratto d'appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale. In tal senso, i giudici, rinviando al già illustrato art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, affermano che il contratto di appalto si caratterizza per il fatto che una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (in aderenza ad uno schema in cui prevale un'obbligazione di risultato). Viceversa, nel contratto di somministrazione, l'agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione ed il controllo dell'utilizzatore (in aderenza ad uno schema in cui prevale un'obbligazione di mezzi). Quindi, occorre sempre stare attenti nel distinguere le due diverse fattispecie ed, a tal riguardo, il CdS ricorda che la consolidata giurisprudenza della Cassazione ha individuato i seguenti indici di non genuinità (falsità) di un contratto di appalto: a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; b) l'inserimento stabile del personale dell'appaltatore nel ciclo produttivo del committente; c) l'identità dell'attività svolta dal personale dell'appaltatore con quella svolta dai dipendenti del committente; d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l'espletamento delle attività; e) l'organizzazione, da parte del committente, delle attività dei dipendenti dell'appaltatore. In base proprio a tali indici, i giudici amministrativi analizzano la fattispecie concreta dedotta al loro esame ed accolgono l'appello, riformando la sentenza di primo grado, in base alle seguenti argomentazioni. In primo luogo, si pone in risalto il fatto che la stazione appaltante non ha richiesto espressamente servizi, in relazione alle attività di supporto, ma un "numero di ore di lavoro annue". Il CdS è ben chiaro al riguardo: "Questo primo dato dimostra che l'Azienda resistente mira sostanzialmente ad integrare il proprio personale interno, dimostratosi insufficiente, con altro personale esterno, in modo di garantire il regolare svolgimento delle proprie attività d'ufficio". Fra l'altro (seconda decisiva argomentazione), occorre tener conto che la base d'asta è stata esclusivamente correlata alle ore/lavoro richieste all'aggiudicatario. Ciò viene confermato dal fatto che il corrispettivo, da erogare all'aggiudicatario, viene calcolato sulla base delle ore di lavoro mensilmente svolte, moltiplicate per il corrispettivo orario offerto, senza che assuma alcun rilievo il concreto risultato conseguito allo svolgimento delle prestazioni lavorative. Infine, occorre tener conto del profilo concernente l'inserimento del personale nel ciclo produttivo del committente. A tal riguardo, il CdS rileva che prevalgono elementi, che manifestano una sostanziale contaminazione tra l'attività dei lavoratori della ASL Roma 6 ed i lavoratori "inviati" dall'appaltatore. Infatti, tali lavoratori, a ben vedere, pongono in essere un'attività di mera collaborazione con i dipendenti della stazione appaltante. Attività, che si estrinsecano in operazioni di istruttoria documentale, redazione di atti preliminari tesi alla redazione di successivi provvedimenti da parte del personale interno, supporto all'organizzazione ed indizione delle gare, all'inserimento di ordini e di dati nell'albo, alla liquidazione e gestione ordini, consegne e pagamenti, etc.. Il tutto determina un'inestricabile confusione fra le attività dei dipendenti della stazione appaltante ed i dipendenti del presunto appaltatore. Tale "confusione" non può che spingere il pendolo della corretta individuazione della concreta fattispecie verso un'illecita somministrazione di manodopera, appunto mascherata con un appalto di servizi. Quindi, come ottimamente segnala il CdS, "risulta sufficientemente chiaro che l'appaltatore non svolge alcun servizio "diverso" da una mera attività di ausilio collaborativo al personale dipendente della ASL". Pertanto, concludendo, il vero e supremo parametro di differenziazione non può che essere connesso alla natura dell'obbligazione posta a carico dell'operatore economico: "il contratto di appalto ha ad oggetto un'obbligazione di risultato (con cui l'appaltatore assume, con la propria organizzazione, il compito di far conseguire al committente il risultato promesso), mentre la somministrazione di lavoro sottende una tipica obbligazione di mezzi (attraverso cui l'Agenzia per il Lavoro si limita a fornire prestazioni lavorative organizzate e finalizzate dal committente)".
Cons. di Stato, Sez. III, 12 marzo 2018, n. 1571