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25/01/2018 - Intervista a Bernardo Giorgio Mattarella

tratto dalla rivista Nuova Etica Pubblica - Anno 6, n. 10 – GENNAIO 2018

Intervista a Bernardo Giorgio Mattarella

 

QUI L'INTERVISTA

"Bernardo Giorgio Mattarella, cinquant’anni nell’anno entrante, è professore ordinario di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di giurisprudenza della Luiss “Guido Carli”. Allievo di Sabino Cassese, ha studiato negli Stati Uniti ma anche a Parigi e a Tubinga. Ha scritto libri importanti sul diritto dell’amministrazione, è condirettore del master in Management e politiche delle amministrazioni pubbliche della Luiss e del master interuniversitario in Diritto amministrativo tra le facoltà giuridiche romane e della Scuola nazionale dell’amministrazione. È il Vicedirettore e direttore responsabile della “Rivista trimestrale di diritto pubblico”. Ma oltre a questo curriculum accademico prestigioso, Mattarella ha anche svolto ruoli importanti negli uffici di diretta collaborazione del Governo, in particolare come responsabile dell’Ufficio legislativo alla Funzione pubblica. E in questa veste testimone diretto e in parte anche regista (uno dei registi) del recente tentativo di riforma promosso dai governi Renzi e Gentiloni sotto la guida del ministro Marianna Madia. "

 

"Uno dei punti rimasti sulla carta è stata la riforma della dirigenza. C’è stata una opposizione netta proprio da parte dei dirigenti. Lei cosa pensa di questo tema?

L’opposizione, in effetti, non è stata “dei dirigenti”, ma di alcune categorie di essi: quelli che avevano privilegi da conservare. I dirigenti di prima fascia dello Stato ovviamente si opponevano all’eliminazione della distinzione in due fasce, che faceva venir meno la loro precedenza sugli incarichi più importanti. E i dirigenti di alcune amministrazioni (soprattutto quelle più prestigiose o in cui si guadagna di più) non volevano perdere la garanzia di ottenere un incarico in quelle amministrazioni. La riforma avrebbe abbattuto molte barriere e creato un mercato molto ampio degli incarichi dirigenziali: è chiaro che molti avrebbero avuto nuove opportunità, ma qualcuno avrebbe perso posizioni di rendita. Quindi l’opposizione era di una minoranza agguerrita. La riforma, peraltro, sollevava anche una questione importante, quella del rapporto tra politica e amministrazione, rispetto al quale il rischio dell’invadenza politica è sempre in agguato. Qualche improvvida presa di posizione politica ha oggettivamente messo in allarme e gli oppositori della riforma hanno avuto gioco facile nel mascherare le resistenze interessate con argomenti più nobili. In realtà, dal punto di vista del rapporto tra politica e amministrazione, la situazione attuale non è certo delle migliori (basta pensare che nelle amministrazioni statali si diventa dirigenti di prima fascia per scelta politica) e la riforma avrebbe fatto qualche passo in avanti (basta pensare che i ministri avrebbero perso il potere di scegliere i direttori generali). Io credo che il vero difetto della riforma abortita era di essere troppo ambiziosa: coinvolgeva troppi dirigenti, avrebbe imposto di gestire troppe procedure di conferimento di incarichi, avrebbe richiesto un sistema informativo molto difficile da mettere in funzione. Sarebbero serviti anni, dopo i quali si sarebbero prodotti gli effetti positivi."

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