01/02/2018 - Vietato stabilizzare i precari in categorie superiori
Vietato stabilizzare i precari in categorie superiori
Vietato stabilizzare i precari in categorie di inquadramento superiori a quelle nelle quali hanno prestato la propria attività lavorativa. L'articolo 20 del dlgs 75/2017 non è oggettivamente molto preciso nel precisare l'impossibilità di assumere i precari con contestuale «promozione» a categorie superiori. La norma, infatti, non contiene riferimenti precisi a mansioni e profili professionali e si limita a riferirsi all'esercizio, per la durata di almeno tre anni negli ultimi otto, delle medesime attività lavorative.
Seguendo il principio secondo il quale ciò che non è espressamente vietato può considerarsi consentito, per alcuni è forte la tentazione di programmare stabilizzazioni che consentano agli interessati inquadramenti superiori. Tuttavia, l'ordinamento è composto da una serie di precetti che vanno coordinati tra loro e per attuarli correttamente non basta certo constatare l'assenza di specifici divieti espressi. Tra gli strumenti di interpretazione delle norme, quello della finalità e dell'intenzione del legislatore è estremamente importante. Lo scopo dichiarato dell'articolo 20 della legge Madia è porre rimedio alla precarizzazione di lavoratori assunti, nella sostanza, in maniera impropria con contratti flessibili su fabbisogni che sostanzialmente sono da considerare stabili. Il presupposto indefettibile della stabilizzazione, quindi, consiste necessariamente nella ricognizione del tipo di lavoro svolto: i tre anni necessari non possono che maturare a condizione che l'attività lavorativa abbia riguardato identici categorie, profilo e mansioni. Conseguentemente, la stabilizzazione, che mira a rendere a tempo indeterminato un contratto impropriamente flessibile, puntando sulla valorizzazione dell'esperienza acquisita dal lavoratore precario, non può che limitarsi a consentire l'assunzione a tempo indeterminato esattamente col medesimo inquadramento indicato nei contratti precari. In ogni caso, la circolare 3/2017 chiarisce, quanto meno per l'articolo 20, comma 1, che per le «attività» svolte dal personale precario si devono intendere «mansioni dell'area o categoria professionale di appartenenza», eliminando così ogni residuo dubbio.