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05/12/2018 - Le tossine del centralismo: contro l'autonomia dei Comuni

tratto da huffingtonpost.it

Le tossine del centralismo: contro l'autonomia dei Comuni

Guido Castelli Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente dell'Ifel

Il sistema dei Comuni è uscito debilitato da otto anni di ruvide cure contabili e fiscali, che sicuramente hanno contribuito a sanare i conti dello Stato, ma che hanno stravolto il tessuto delle autonomie locali. Sfiancato dall'insaziabile esigenza dello Stato centrale di rastrellare risorse per la finanza pubblica, dimagrito in risorse umane e finanziarie, oggi il sistema dei Comuni italiani rischia di non riuscire a godere appieno delle nuove risorse che sembrano essere disponibili. Come un corpo carico di tossine, reagisce a fatica all'iniezione di linfa finanziaria preparata con la nuova Legge di Stabilità 2019, che sblocca gli avanzi di gestione, in aggiunta all'abolizione dei vincoli del Patto di stabilità decisa alla fine della scorsa legislatura.

Dovrebbero ripartire gli investimenti. Ma non ripartono. Vengono meno i vincoli, si torna a poter contare su nuove risorse finanziarie, eppure il ciclo virtuoso della spesa per investimenti non si mette in moto. Ma non dobbiamo dare colpe ai Comuni, che in questi ultimi otto anni sono riusciti a ridurre di 10 miliardi l'indebitamento complessivo del sistema. Peccato che nello stesso tempo il personale sia diminuito del 15%. Nelle Amministrazioni di grandi dimensioni il dimagrimento degli organici può rivelarsi sopportabile, nei Comuni di piccole dimensioni perdere il 15% dei dipendenti può voler dire rinunciare ad alcune funzioni amministrative. E questo si traduce spesso in un blocco delle attività.

Il processo di normalizzazione degli enti locali – dopo gli anni della devastante riorganizzazione, tutta spesa per migliorare i saldi di bilancio statali - ha bisogno di un profondo lavoro di ricostruzione, che deve fondarsi sui due pilastri costituzionali che definiscono il ruolo dei Comuni e che sono stati dimenticati, persi per strada: i principi di autonomia e perequazione.

Il sonno dell'autonomia e della perequazione genera mostri per l'amministrazione e incubi per le comunità e i territori che devono essere amministrati. Perché si bloccano i servizi e le prestazioni per i quali ha senso il ruolo e la prerogativa del Comune. Dopo aver mitizzato, negli anni Novanta, l'obiettivo dell'efficienza, introducendo lo storytelling del Comune capace di produrre e di gestirsi come un'azienda privata, negli ultimi dieci anni tutto è stato sacrificato al taglio delle risorse. Ci si è dimenticati che un Comune inefficiente, o semplice esecutore dello Stato centrale, perde ogni ragion d'essere. Un ente che nasce per intermediare le esigenze delle comunità territoriali con l'Amministrazione centrale dello Stato, se privato delle sue prerogative di autonomia – unica misura di responsabilità dell'efficienza trasmessa ai cittadini – diventa inutile. O peggio.

In un simile quadro, le differenze - sociali, economiche e di organizzazione istituzionale - tra le aree territoriali che compongono l'Italia hanno ulteriormente complicato il quadro. I Comuni che già prima della recente crisi presentavano profili di fragilità hanno subito contraccolpi devastanti. Quelli più solidi, pur doloranti, hanno tenuto. I comuni non sono tutti uguali. Ci sono quelli piccoli e ci sono quelli più grandi. Ci sono quelli del Nord produttivo e quelli del Sud più vulnerabile. Proprio partendo da queste premesse e allo scopo di garantire equilibrio al sistema è stato individuato il principio della perequazione che mira al mantenimento dei livelli essenziali delle prestazioni pubbliche in tutti i comuni d'Italia. Peccato che le risorse necessarie per alimentare la perequazione tra i Comuni sono garantite, in senso "orizzontale", esclusivamente dallo stesso sistema dei Comuni.

Lo Stato è fuggito e ripudiando l'art. 5 della nostra Costituzione ha smesso di stanziare denaro per ridurre gli squilibri tra i territori della Repubblica. In soldoni: ogni anno un centinaio di milioni di IMU vengono trasferiti dal bilancio di alcune amministrazioni comunali in favore di altre amministrazioni comunali con grave vilipendio del principio "vedo, pago, voto" che ispira i principi più profondi della democrazia rappresentativa. Senza il concorso di risorse statali non è più perequazione. Al più, è un prelievo forzoso.

La misura è colma. Il sistema dei Comuni italiani ha bisogno di uno sguardo rinnovato e globale. Ha bisogno di una riforma fiscale capace di ribadire la centralità costituzionale delle autonomie locali, attraverso l'adozione di strumenti finanziari che ripropongano i due pilastri dell'autonomia e della perequazione. Senza un riordino razionale della tassazione locale rischia di perdere significato anche lo sblocco degli avanzi di bilancio che, nella manovra di bilancio attualmente al vaglio del Parlamento, il Governo ha voluto virtuosamente riconoscere.

Ben vengano nuovi spazi finanziari a disposizione dei Comuni. Sacrosanto aver restituito la disponibilità di avanzi di amministrazioni lungamente sottratti ai legittimi titolari ma solo se si saprà rifondare il ruolo dei Comuni, nel solco del principio di sussidiarietà che garantisce l'integrità nazionale e con l'adozione di norme che rendano possibile l'organizzazione e la spesa delle articolazioni periferiche del sistema pubblico. Solo così si potranno superare le tentazioni stataliste e centraliste che hanno provato a trasferire nei Comuni il bersaglio di quella insofferenza politica e anti-istituzionale che ha caratterizzato gli anni recenti della storia nazionale e non solo.

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