19/04/2018 - A carico del Comune tutte le spese legali in caso di inerzia protratta
A carico del Comune tutte le spese legali in caso di inerzia protratta
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2142, del 9 aprile 2018, nel respingere il ricorso di un Comune ha affermato che il suo comportamento tenuto durante tutta il percorso processuale caratterizzato da inerzia protratta nel tempo comporta l'addebito delle spese processuali in tutti i gradi di giudizio.
Il contenzioso
Una società in accomandita semplice ha impugnato davanti al TAR la delibera del Consiglio comunale recante l'approvazione del Piano per gli Insediamenti Produttivi (P.I.P.).
In particolare, nel ricorso, la società ha lamentato che nel Piano e nell'annesso piano particellare di esproprio sarebbe stato compreso anche il terreno, da essa condotto in locazione finanziaria con facoltà di riscatto e destinato ad area di movimentazione carichi a servizio dell'attiguo stabilimento, insistente su fondo anch'esso condotto in locazione finanziaria, ma sito nel terreno confinante di un altro Comune.
Nel ricorso la società ha evidenziato che l'inserimento dell'area nel P.I.P. e nel piano particellare di esproprio sarebbe contrario all'art. 4, comma 5, delle Norme Tecniche di Attuazione dello stesso P.I.P., a tenore del quale "le aree comprese nel piano che non risultino già di proprietà comunale o che non vengano destinate all'ampliamento delle industrie esistenti che ne siano già proprietarie, sono soggette a procedura di esproprio": la disposizione in parola escluderebbe che un'area con attuale destinazione industriale possa essere soggetta ad esproprio. La società ha contestato, inoltre, che il Comune avrebbe omesso, nel corso del procedimento, di prendere in considerazione le osservazioni presentate dalla ricorrente e soprattutto vi sarebbe stata una disparità di trattamento rispetto ad una terza società, i cui terreni avrebbero presentato una situazione di fatto del tutto analoga.
Il TAR ha accolto le motivazione della società.
Il ricorso al Consiglio di Stato
Il Comune nel ricorso davanti al TAR evidenzia preliminarmente che la sentenza dei giudici amministrativi ha annullato il Piano in toto, anziché solo per quanto di interesse della ricorrente; inoltre rileva che non corrisponde al vero che non vi sia stata alcuna disparità di trattamento ai danni della società ricorrente, poiché le aree dell'altra società non sottoposte ad esproprio sarebbero esclusivamente le aree di sedime del relativo stabilimento industriale. Il Comune contesta anche il fatto che in materia urbanistica vi deve essere una discrezionalità amministrativa.
L'analisi dei giudici del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada rilevano che effettivamente la società opponente non aveva, a monte, alcun oggettivo interesse all'impugnazione, poiché il mappale 549 relativo al terreno in contestazione, benché inserito nel P.I.P., non era prospetticamente soggetto a procedura ablatoria.
Per stessa dichiarazione del Comune il piano particellare di esproprio è stato approvato, nella versione definitiva, con la stessa delibera consiliare dell' ottobre 2008 di approvazione del P.I.P.: tale documento, dunque, aveva assunto giuridico rilievo in epoca anteriore all'instaurazione del giudizio del TAR.
Tuttavia, il Comune, che pure ne aveva disposto l'approvazione proprio con la delibera impugnata dalla società opponente, ha versato in atti detto piano nella versione definitiva solo con il ricorso introduttivo del presente giudizio di appello.
In sostanza, rileva il Consiglio di Stato, il presente giudizio oggettivamente inutile, è conseguito esclusivamente alla mala gestioprocedimentale e processuale da parte del Comune, che non solo ha completamente ignorato, sia nel corso del contraddittorio procedimentale con la società opponente sia nell'ambito delle difese spese in prime cure, il piano particellare di esproprio definitivo da esso stesso approvato, ma lo ha prodotto in giudizio soltanto in grado di appello ed ha concentrato su di esso le proprie difese soltanto in sede di memorie conclusionali.
Le conclusioni
Il Consiglio di Stato, pertanto, in riforma della sentenza impugnata dichiara l'inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza della condizione dell'azione rappresentata dall'interesse ad agire.
Le spese del doppio grado di giudizio gravano sul Comune: è, infatti, evidente afferma il Consiglio di Stato che, nella specie, l'ente locale ha violato il canone di lealtà processuale sancito dall'art. 88, comma 1, c.p.c. - sub specie di inosservanza del divieto di non ostacolare la sollecita definizione del giudizio consentendo che la causa si dilungasse su due gradi di giudizio e per ben dieci anni.
Da ciò deriva l'applicazione della norma sancita dall'art. 92, comma 1, c.p.c., secondo cui il giudice "(….) può indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte".
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, in riforma della sentenza impugnata dichiara inammissibile il ricorso di primo grado con condanna del Comune alle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi € 10.000,00 oltre accessori di legge.
Cons. di Stato, Sez. IV, 9 aprile 2018, n. 2142