13/04/2018 - Permessi retribuiti per motivi di studio: è possibile prevedere limiti relativi alle materie dei corsi o al conseguimento di un secondo titolo equipollente?
Permessi retribuiti per motivi di studio: è possibile prevedere limiti relativi alle materie dei corsi o al conseguimento di un secondo titolo equipollente?
All'articolo 45 dell'Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale relativo al personale del comparto Funzioni Locali, per il triennio 2016-2018, firmato il 21 febbraio 2018 da ARAN ed Organizzazioni Sindacali, prendendo atto dell'orientamento giurisprudenziale, a tutti noto e sotto in parte richiamato, si introduce il riconoscimento dei permessi anche al personale a tempo determinato, disponendo "i permessi di cui al comma 1 spettano anche ai lavoratori con rapporto di lavoro a tempo determinato di durata non inferiore a sei mesi continuativi, comprensivi anche di eventuali proroghe. Nell'ambito del medesimo limite massimo percentuale già stabilito al comma 1, essi sono concessi nella misura massima individuale di cui al medesimo comma 1, riproporzionata alla durata temporale, nell'anno solare di riferimento, del contratto a tempo determinato stipulato.
I lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato, di cui al comma 2, che non si avvalgano dei permessi retribuiti per il diritto allo studio, possono fruire dei permessi di cui all'art. 10, L. n. 300 del 1970."
I permessi retribuiti, nella misura massima individuale di 150 ore per ciascun anno solare, "sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami."
La Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 17 febbraio 2011, n. 3871 e 10 luglio 2013, n. 17128) chiamata a pronunciarsi in merito a due dinieghi di permessi studio a dipendenti a tempo determinato, ha però preso posizione anche su altre questioni, meno note, fornendo risposta ai quesiti nel titolo formulati.
Nelle predette sentenze, la Cassazione, oltre a sancire l'illegittimità della mancata concessione dei permessi per motivi di studio al personale con contratto a termine in virtù del principio di non discriminazione, negli obiter dicta, ha precisato che "Non può avere rilievo l'assunto del Ministero (n.d.r. datore di lavoro che aveva negato i permessi) ricorrente, secondo cui la tipologia del rapporto, in relazione alla limitata durata del contratto, impedisce all'Amministrazione di avvalersi della elevazione culturale conseguente alla fruizione dei permessi di studio. Ed infatti il riconoscimento di determinati benefici, quali quelli in esame, prescinde da un siffatto interesse del datore di lavoro, pubblico o privato, essendo diretto alla concreta attuazione di fondamentali garanzie costituzionali, riconosciute nell'ordinamento internazionale e recepite altresì dal Legislatore nella definizione dei diritti spettanti ai lavoratori studenti (artt. 3 e 24 Cost.; art. 2, Protocollo CEDU; art. 10, L. n. 300 del 1970), le quali devono trovare una concreta ed effettiva attuazione nell'ambito di un equo bilanciamento con gli interessi, pure essi tutelati, alla libera organizzazione dell'impresa e all'efficienza della pubblica amministrazione (artt. 41 e 97 Cost.).
Non sono state rinvenute sentenze antecedenti o successive difformi rispetto a quelle sopra citate, ma se ne è trovata una coeva conforme (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 19 agosto 2011, n. 17401, peraltro riferita ad un altro diniego disposto dal Ministero della Giustizia) nella quale oltre a quanto sopra riportato si chiarisce che "quello all'istruzione è oggi sancito come un diritto fondamentale di matrice europea anche dall'art. 14 della Carta di Nizza che, accanto alle norme costituzionali interne ed a quelle internazionali (CEDU), non può che orientare la scelta legislativa e contrattuale di facilitare il lavoratore nell'accesso alla cultura, nel prioritario interesse del soggetto-lavoratore. In conclusione come già ritenuto da questa Corte in fattispecie identica l'art. 13 del CCNL 16 maggio 2001 (integrativo di quello di comparto Ministeri del 16 febbraio 1999) va interpretato nel senso che pur, prevedendo esplicitamente la fruibilità dei permessi per motivi di studio solo per il personale assunti a tempo indeterminato, non esclude il personale a tempo determinato, come ritenuto dalla sentenza impugnata. Sarebbe indubbiamente paradossale e contrario all'attuale sistema di integrazione tra fonti a livello europeo se fosse consentito ad una contrattazione collettiva di un comparto pubblico (in cui certamente il datore di lavoro è destinatario diretto dei precetti della normativa dell'Unione) porre nel nulla i "principi cardine" di una disciplina come quella in esame definiti proprio dalle parti sociali in sede sovra-nazionale e recepiti dal legislatore europeo in una direttiva."
Già in precedenza, i giudici di piazza Cavour (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 25 ottobre 2005, n. 20658) avevano rilevato che "il diritto allo studio è riconosciuto e garantito dall'art. 34 Cost. e che l'art. 10, Statuto dei lavoratori ne costituisce la concreta estrinsecazione nel campo del lavoro, traducendosi nell'incoraggiamento - mediante il riconoscimento della peculiare posizione del dipendente che frequenti corsi di istruzione - di quanti, pur esplicando le proprie energie alle dipendenze di terzi, intendano destinare quelle residue all'arricchimento professionale o in genere culturale della propria persona, i cui effetti si riverberano positivamente sulla collettività. Di certo l'obbligo di retribuire i permessi giornalieri costituisce eccezione alla tradizionale impostazione del contratto di scambio e si pone - unitamente ad altre norme dello Statuto e come temperamento dell'astratto equilibrio dei contrapposti interessi delle parti giustificato da un'utilità sociale che trascende i limiti del sinallagma rigidamente inteso, attenuando la rigida corrispettività fra prestazione e retribuzione. Se dunque lo scopo della norma in esame si ricollega all'esigenza di accrescere la professionalità del lavoratore o più in generale il suo patrimonio culturale, non è possibile limitarne l'applicazione ad un unico corso di studi."
E ancora, quattordici anni prima, gli Ermellini (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 25 ottobre 1991, n. 11342) avevano affermato il diritto ai permessi retribuiti anche per i lavoratori studenti universitari che avessero già conseguito altro diploma di laurea o titolo equipollente.
Sul punto merita lettura anche l'approfondimento contenuto nella raccolta sistematica degli orientamenti applicativi comparto Regioni ed Autonomie Locali - ARAN - dicembre 2016. In risposta ai seguenti quesiti:
"a) E' possibile riconoscere reiteratamente i permessi per il diritto allo studio, di cui all'art. 15 del CCNL 14 settembre 2000, al medesimo lavoratore per acquisire più lauree e più qualificazioni professionali, nell'ambito del medesimo rapporto di lavoro con l'ente?
b) Le materie oggetto dei corsi di studio in relazione ai quali vengono richiesti i permessi devono essere pertinenti al servizio o almeno di beneficio dell'ente?
c) L'ente può prevedere, in un apposito regolamento concernente la concessione dei permessi per motivi di studio, casi di non concedibilità dei permessi, come, ad esempio, un tetto individuale massimo di autorizzazioni a conseguire, oltre la prima, ulteriori altre lauree o attestati professionali ove i corsi non siano attinenti al profilo professionale del lavoratore richiedente?"
nella suddetta raccolta si legge:
"a) come si evince dalla chiara formulazione della clausola contrattuale, l'art. 15 del CCNL 14 settembre 2000, ai fini della concessione dei permessi per il diritto allo studio, non prevede in alcun modo limiti massimi a tal fine, nel senso di vincolare cioè il riconoscimento degli stessi a favore del medesimo dipendente, nell'ambito della propria vita lavorativa presso l'amministrazione di appartenenza, alla condizione del non superamento di un predeterminato tetto complessivo di corsi di studio, tra quelli previsti come legittimanti. Quello che rileva, ai fini della concessione, è il rispetto, anno per anno, del numero massimo dei beneficiari (3% del personale in servizio all'inizio di ciascun anno) nonché dei criteri di priorità per l'individuazione dei lavoratori che possono fruire dei permessi commi 4 e 5, dell'art. 15). Si ricorda anche che, sulla base dell'art. 15, comma 2, del CCNL 14 settembre 2000, i permessi per il diritto allo studio possono essere concessi «... per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami...». Pertanto, sulla base della disciplina contrattuale, la richiamata tutela potrà essere accordata solo qualora si tratti di corsi comunque finalizzati al rilascio di titoli di studio anche universitari o post universitari o comunque riconducibili ad una di quelle altre tipologie ivi espressamente considerate.
b) I permessi per motivi di studio, di cui all'art. 15 del CCNL 14 settembre 2000, come evidenziato anche dalla disciplina dettata, in quanto finalizzati esclusivamente all'elevazione culturale e professionale dei singoli lavoratori (sono questi, infatti, a individuare liberamente ed autonomamente i corsi che intendono frequentare, sopportandone i relativi oneri), si distinguono nettamente, sul piano concettuale, dalle attività formative organizzate e programmate dall'ente. Ciò comporta che non deve trattarsi di corsi finalizzati ad un titolo di studio correlato alle mansioni ed alla professionalità del lavoratore e, quindi, direttamente o indirettamente all'interesse o ai compiti istituzionali dell'ente. Per queste ipotesi, l'ente farà riferimento solo alla generale disciplina in materia di formazione ed aggiornamento professionale, di cui all'art. 23 del CCNL 1° aprile 1999 e successive modificazioni ed integrazioni.
c) Una eventuale regolamentazione in materia può certamente essere adottata dall'ente per la definizione delle modalità organizzative e gestionali dell'istituto, ma essa non può estendersi anche alla modifica o alla integrazione sostanziale dei contenuti della disciplina contrattuale, né in senso ampliativo né, a maggior ragione, in senso restrittivo. Interventi modificativi in materia di permessi per motivi di studio non sono consentiti neppure alla contrattazione integrativa."
Art. 45, Ipotesi di CCNL 2016-2018 del comparto Funzioni Locali