12/04/2018 - Sanità in Lombardia: ennesima conferma che la corruzione non si combatte con la burocrazia
tratto da luigioliveri.blogspot.it
Sanità in Lombardia: ennesima conferma che la corruzione non si combatte con la burocrazia
Il caso delle presunte tangenti diffuse tra primari e dirigenti della sanità in Lombardia (ovviamente, sul piano penale è tutto ancora da provare e dimostrare) rivela ancora una volta l'inadeguatezza della legge "anticorruzione", la 190/2012, a svolgere una concreta funzione di prevenzione.
Occorre chiarire un aspetto: la legge 190/2012 nell'articolo 1 si divide nettamente in due parti. La prima va dal comma 1 al comma 74 e regola la disciplina della prevenzione della corruzione sul piano amministrativo; la restante parte, invece, ha modificato in alcuni punti il codice penale e riguarda, quindi, la disciplina penalistica.
Nel caso della sanità lombarda non è possibile trarre nessuna conclusione sul piano penale, finchè non siano pronunciate le sentenze ed ovviamente si applica il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Osservazioni, tuttavia, si possono muovere con riferimento alla questione della prevenzione della corruzione sul piano amministrativo.
Una prima conclusione si può trarre: il caso non è certo emerso in virtù dell'applicazione delle misure anticorruzione di tipo "amministrativo", quelle, cioè, previste dalla prima parte della legge 190/2012. Quelle, per intendersi, che prevedono il piano nazionale anticorruzione, i piani triennali di prevenzione della corruzione a livello di ciascuna singola amministrazione, i codici "etici", le moltissime tabelle e le decine di adempimenti amministrativi (caricamento di un diluvio di dati) che derivano dalla combinazione della legge con le misure indicate dall'Anac.
I fatti sin qui emersi sono esemplificativi proprio della corruzione intesa non come commissione del reato previsto dal codice penale, bensì come inquinamento dell'azione amministrativa portata a perseguire interessi in tutto o in parte confliggenti con quello pubblico, a vantaggio di interessi privati.
Se comportamenti scorretti sono stati scoperti, ciò è stato dovuto ad indagini di polizia giudiziaria, sotto la direzione della magistratura.
Una seconda osservazione è conseguente: i piani anticorruzione, ammesso che sul piano teorico possano davvero funzionare, non conferiscono ai responsabili della prevenzione della corruzione praticamente nessun potere di indagine neanche lontanamente paragonabile a quello delle procure della Repubblica. I piani possono solo limitarsi ad individuare rischi di corruzione e misure per prevenirli. Nel caso degli appalti, ad esempio, la riduzione del numero degli affidamenti diretti senza gara con l'obbligo, anche nel caso in cui si possano attivare procedure semplificate, di verbalizzare ogni passaggio e di istituire un seggio collegiale per qualsiasi tipologia di confronto di preventivi o offerte.
Nella realtà, comunque, al di là delle misure anticorruzione che ciascun piano possa prevedere in modo più o meno sofisticato e chiaro, occorre comprendere che la legge 190/2012 può solo portare alla conoscenza dei fattori di rischio e degli strumenti per la riduzione della probabilità che il rischio si concretizzi. Non vi sono strumenti reali per annullare il rischio, nè per intervenire, si ribadisce, con poteri di indagine giudiziari.
Scrive sul blog de Il Fatto Quotidiano on line Vittorio Agnoletto: "Non è sufficiente mettere sul proprio sito web “Il piano anticorruzione” se poi nessuna autorità indipendente ne verifica la realizzazione spulciando, ad esempio, i vari contratti d’acquisto".
L'osservazione coglie nel segno. I responsabili anticorruzione sono sostanzialmente lasciati soli nel predisporre complessi piani, che di fatto non possono essere attuati correttamente in assenza di supporti esterni finalizzati a controlli preventivi.
Per altro, nel caso lombardo risulta che il piano anticorruzione, con tutto il corredo di tabelle, caricamento dati e pubblicazioni di supporto, fosse stato perfettamente redatto, composto e pubblicato. Sta di fatto che, comunque, i responsabili dell'anticorruzione "amministrativa" sono incaricati dalle medesime amministrazioni sulle quali dovrebbero vigilare (nei comuni sono i segretari comunali, soggetti ad uno spoil system difficilmente conciliabile con la posizione di autonomia ed indipendenza che simile incarico richiede): è la stessa legge anticorruzione, il cui scopo principale è ridurre i conflitti di interessi, a creare il principale tra essi.
Solo una fatalità vuole che nell'inchiesta, per altro, sia coinvolta proprio la responsabile della prevenzione della corruzione di una struttura sanitaria. Il che, comunque, attesta ulteriormente la debolezza di un sistema che ha creato una burocrazia immensa, dall'efficacia molto, molto limitata.
A distanza di ormai quasi sei anni dalla vigenza della legge 190/2012 dovrebbe risultare chiaro che essa non è stata mai capace di prevenire e sventare casi di corruzione (quanto meno sul piano amministrativo), come già dimostrato con "Mafia Capitale" ed altri eventi consimili. Il carico burocratico nelle amministrazioni è stato ampliato a dismisura, ma gli strumenti concretamente resi disponibili dalla norma portano a risultati piuttosto deludenti. Un ripensamento generale è d'obbligo. La misura più corretta non può non contemplare la reintroduzione dei controlli preventivi di autorità esterne sugli atti e sull'attività dei politici e della dirigenza di vertice.
Occorre chiarire un aspetto: la legge 190/2012 nell'articolo 1 si divide nettamente in due parti. La prima va dal comma 1 al comma 74 e regola la disciplina della prevenzione della corruzione sul piano amministrativo; la restante parte, invece, ha modificato in alcuni punti il codice penale e riguarda, quindi, la disciplina penalistica.
Nel caso della sanità lombarda non è possibile trarre nessuna conclusione sul piano penale, finchè non siano pronunciate le sentenze ed ovviamente si applica il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Osservazioni, tuttavia, si possono muovere con riferimento alla questione della prevenzione della corruzione sul piano amministrativo.
Una prima conclusione si può trarre: il caso non è certo emerso in virtù dell'applicazione delle misure anticorruzione di tipo "amministrativo", quelle, cioè, previste dalla prima parte della legge 190/2012. Quelle, per intendersi, che prevedono il piano nazionale anticorruzione, i piani triennali di prevenzione della corruzione a livello di ciascuna singola amministrazione, i codici "etici", le moltissime tabelle e le decine di adempimenti amministrativi (caricamento di un diluvio di dati) che derivano dalla combinazione della legge con le misure indicate dall'Anac.
I fatti sin qui emersi sono esemplificativi proprio della corruzione intesa non come commissione del reato previsto dal codice penale, bensì come inquinamento dell'azione amministrativa portata a perseguire interessi in tutto o in parte confliggenti con quello pubblico, a vantaggio di interessi privati.
Se comportamenti scorretti sono stati scoperti, ciò è stato dovuto ad indagini di polizia giudiziaria, sotto la direzione della magistratura.
Una seconda osservazione è conseguente: i piani anticorruzione, ammesso che sul piano teorico possano davvero funzionare, non conferiscono ai responsabili della prevenzione della corruzione praticamente nessun potere di indagine neanche lontanamente paragonabile a quello delle procure della Repubblica. I piani possono solo limitarsi ad individuare rischi di corruzione e misure per prevenirli. Nel caso degli appalti, ad esempio, la riduzione del numero degli affidamenti diretti senza gara con l'obbligo, anche nel caso in cui si possano attivare procedure semplificate, di verbalizzare ogni passaggio e di istituire un seggio collegiale per qualsiasi tipologia di confronto di preventivi o offerte.
Nella realtà, comunque, al di là delle misure anticorruzione che ciascun piano possa prevedere in modo più o meno sofisticato e chiaro, occorre comprendere che la legge 190/2012 può solo portare alla conoscenza dei fattori di rischio e degli strumenti per la riduzione della probabilità che il rischio si concretizzi. Non vi sono strumenti reali per annullare il rischio, nè per intervenire, si ribadisce, con poteri di indagine giudiziari.
Scrive sul blog de Il Fatto Quotidiano on line Vittorio Agnoletto: "Non è sufficiente mettere sul proprio sito web “Il piano anticorruzione” se poi nessuna autorità indipendente ne verifica la realizzazione spulciando, ad esempio, i vari contratti d’acquisto".
L'osservazione coglie nel segno. I responsabili anticorruzione sono sostanzialmente lasciati soli nel predisporre complessi piani, che di fatto non possono essere attuati correttamente in assenza di supporti esterni finalizzati a controlli preventivi.
Per altro, nel caso lombardo risulta che il piano anticorruzione, con tutto il corredo di tabelle, caricamento dati e pubblicazioni di supporto, fosse stato perfettamente redatto, composto e pubblicato. Sta di fatto che, comunque, i responsabili dell'anticorruzione "amministrativa" sono incaricati dalle medesime amministrazioni sulle quali dovrebbero vigilare (nei comuni sono i segretari comunali, soggetti ad uno spoil system difficilmente conciliabile con la posizione di autonomia ed indipendenza che simile incarico richiede): è la stessa legge anticorruzione, il cui scopo principale è ridurre i conflitti di interessi, a creare il principale tra essi.
Solo una fatalità vuole che nell'inchiesta, per altro, sia coinvolta proprio la responsabile della prevenzione della corruzione di una struttura sanitaria. Il che, comunque, attesta ulteriormente la debolezza di un sistema che ha creato una burocrazia immensa, dall'efficacia molto, molto limitata.
A distanza di ormai quasi sei anni dalla vigenza della legge 190/2012 dovrebbe risultare chiaro che essa non è stata mai capace di prevenire e sventare casi di corruzione (quanto meno sul piano amministrativo), come già dimostrato con "Mafia Capitale" ed altri eventi consimili. Il carico burocratico nelle amministrazioni è stato ampliato a dismisura, ma gli strumenti concretamente resi disponibili dalla norma portano a risultati piuttosto deludenti. Un ripensamento generale è d'obbligo. La misura più corretta non può non contemplare la reintroduzione dei controlli preventivi di autorità esterne sugli atti e sull'attività dei politici e della dirigenza di vertice.