18/03/2017 - Al festival di Sanremo
Al festival di Sanremo
La notizia fa capolino a fatica nelle gazzette e in diversi siti della “rete” http://www.ilsecoloxix.it/p/imperia/2017/03/16/ASlywVdG-sanremo_furbetti_reintegrato.shtml .
Certo, non ha il fragore che ebbe lo scoppio dello scandalo, con le riprese filmate che immortalavano la surreale situazione di un tizio che timbrava la presenza in braghe.
Uno dei (a questo punto ) “presunti” furbetti del cartellino di Sanremo, già licenziato in sede disciplinare, è stato reintegrato dal giudice del lavoro, per asseriti vizi di forma (la lettera di licenziamento sarebbe priva della firma).
Sanremo è stato presentato, da molti della nostra categoria, come il banco di prova della figura del segretario “domatore dei lenoni”.
Ricordo i nostri post che, quando partì la vicenda, facevano a gara nel complimentarsi con la combattiva collega (cui va tutta la mia stima, sia chiaro), pronta ad andare “avanti come un carro armato, pur soppesando ogni virgola degli atti. Perché una schiera di avvocati si prepara a scendere in campo” (così scriveva La Stampa).
Ero tra i pochi a dire che questa del segretario “domatore dei lenoni” mi sembrava l’ennesima trappola nella quale ci stavamo cacciando mani e piedi.
Chi fa questo mestiere dovrebbe essere meno “ingenuo” e non abboccare ad ogni amo che ci viene teso: integerrimo funzionario anticorruzione ora; controllore di qua e controllore di là; manager tuttofare su o manager tuttofare giù; e poi anche insuperabile argine contro i furbetti del cartellino, a seconda delle mode e delle stagioni.
Andiamo avanti così… Per inclinazioni personali; per trovate rabdomantiche; per intuizioni del momento fuggente; per mode.
Ma alla fine tutti i bluff si sgonfiano.
Non conosco il merito della vicenda di Sanremo e non so se la firma in calce alla lettera di licenziamento c’è o non c’è. Ma non rilevano questi aspetti.
C’è ora questo “precedente” che finisce per incrinare alcune nostre certezze. Certo, non è una sentenza passata in giudicato ma è un atto che dovrebbe bruciare sulla pelle viva di questa categoria.
Quanti sono (siamo) alle prese con analoghi procedimenti disciplinari, potenzialmente orientati a sfociare in un licenziamento? Con quale serenità si possono portare avanti se il rischio di essere delegittimati è così incombente? E le conseguenze di una sentenza che annulli il licenziamento chi le sopporta?
Il caso Mirko Norberti, ci interpella tutti o almeno quasi tutti.
Qualcuno (un tantino incautamente e senza forse comprendere a pieno tutte le implicazioni) si è rallegrava nelle scorse settimane per una sentenza della Cassazione (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-03-2017, n. 5317) che consente di abbassare gli standard di affidabilità e di qualità degli uffici preposti ai procedimenti disciplinari, derubricando il procedimento disciplinare di licenziamento a procedimento "comune".
Ora, in migliaia di comuni italiani (diciamo la stragrande maggioranza) è difficile strutturare un autonomo ufficio per i procedimenti disciplinari ossia che si occupi (con regolare applicazione se non con esclusività) delle relative, complesse procedure.
Nella grande maggioranza l’ufficio procedimenti disciplinari fa capo al segretario, che concentra anche tante altre rogne…. In moltissimi è finanche difficile individuare una vera struttura dedicata al “personale”.
E poi le mille “pressioni” ambientali? Le vogliamo trascurare?
E’ questo il quadro in cui ci muoviamo.
In tale contesto pretendere che procedimenti delicatissimi che portano al licenziamento, ossia ad una sanzione gravissima, estrema, che condiziona la vita delle persone spesso anche più di una condanna penale (specie in questi tempi grami, in cui il lavoro latita), siano curati da uffici spesso rabberciati e comunque oberati da tantissimi altri obblighi non è ragionevole; non è serio; non è (da parte nostra) accettabile.
Al nostro livello ci possiamo limitare alle sanzioni “conservative”… forse alla sospensione cautelare. Spingerci oltre è: improprio, incauto, illogico, autolesionistico; o più semplicemente: stupido.
E non vi vengano ad abbindolare con la solita mistificazione che nel “privato” si procede così. Il lavoro pubblico non è il lavoro privato…E’ tutt’altra cosa. Vale ribadirlo a chi si presta a propagandare questa autentica stramberia. Così come non attacca più la “mistica” del “potere dirigenziale” equiparato al datore di lavoro privato.
Una sanzione estrema, come il licenziamento, nel pubblico impiego dovrebbe essere irrogata solo dal giudice, unico soggetto dotato della specializzazione e della terzietà che sono adeguate all’entità della misura punitiva. Si studino, se necessario, procedimenti speciali ed accelerati (ne esistono già tanti). Ne va di mezzo non solo il nostro, già ampiamente compromesso, equilibrio psicologico ma soprattutto la credibilità dell’intero sistema.
Se poi i diversi gradi di giudizio dovessero smentirsi tra loro, poco male. Ai giudici spetta ius dicere e lo fanno al riparo delle loro giuste guarentigie…. Lo facciano con ampia facoltà.