05/06/2017 - Lo stagista super-specializzato e il Jobs Act non completato
Lo stagista super-specializzato e il Jobs Act non completato
di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
La vicenda dell’inserzione del Gruppo Dimensione riferita ad un’offerta di tirocinio è la dimostrazione definitiva di come in Italia qualsiasi strumento di politica del lavoro finalizzata all’avvicinamento dei lavoratori alle imprese è sostanzialmente travisato e piegato verso utilizzi che finiscono per dare corso al dumping salariale.
Prima di proseguire ad affollare i pixel che Ella mi consente di occupare, rileggiamo l’offerta dell’azienda:
«Laurea magistrale a pieni voti in ingegneria civile, ottima conoscenza della lingua tedesca e buona della lingua inglese, gradita esperienza Erasmus, disponibilità a trasferte in Italia e all’Estero, 600 euro netti al mese, ticket restaurant per ogni giorno lavorato»
Dunque, l’azienda chiede: 1) laurea col massimo dei voti in ingegneria civile; 2) poliglottismo con livello di tedesco ottimo; 3) dimostrazione di studi internazionali; 4) disponibilità a trasferte, il tutto per proporre un tirocinio da 600 euro.
Troppe cose non tornano. Non è, di per sé, l’ammontare del rimborso del tirocinio, quanto la circostanza che l’offerta è palesemente quella di un lavoro inizialmente sotto pagato, travestito da tirocinio. Il perché di quanto affermato è semplice, caro Titolare. Come ben si intuisce dalle vigenti linee guida sui tirocini, essi hanno sempre, anche quando non si tratti di tirocini formativi ma di inserimento lavorativo rivolti a disoccupati, prevalentemente funzioni di agevolare l’apprendimento delle tecniche lavorative.
Ora, immaginare che occorra ad una figura iper specializzata come quella richiesta dall’annuncio un tirocinio, è ovviamente impossibile. Il tirocinio è utilizzato né più e né meno come “pre prova”; la stessa azienda lo conferma nell’articolo qui citato.
L’utilizzo proposto, nel caso di specie, dunque è assai artefatto: una pre-prova, propedeutica all’eventuale assunzione mediante contratto di apprendistato, a sua volta ovviamente soggetto a prova e liberamente recedibile dal datore di lavoro prima del triennio e, dunque, prima che si trasformi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La sequenza è, quindi, che per anni un ingegnere molto qualificato sia impiegato con forti agevolazioni prima in tirocinio (solo 600 euro mensili), poi in apprendistato (con l’iniziale sotto qualificazione e la possibilità dell’impresa di beneficiare degli sgravi previsti per il contratto di apprendistato), per approdare, forse, finalmente ad una qualificazione professionale e ad un trattamento economico adeguati a mansioni che, in realtà, gli sono già state chieste: è ben evidente che in un rapporto di tirocinio normale non dovrebbe essere richiesta alcuna disponibilità a viaggi e trasferte all’estero (nell’annuncio non si capisce se almeno queste siano rimborsate o se i relativi costi sono compresi nell’indennità mensile da 600 euro).
Il fatto è, caro Titolare, che tutte le forme flessibili di lavoro o di politica del lavoro che prevedano sgravi o abbassamenti del trattamento economico sono prese al volo dalle aziende, per ottenere il vero risultato cui (legittimamente) ambiscono: l’abbassamento del costo del lavoro.
Di fatto, una regolamentazione dei rapporti di lavoro o di avvicinamento al lavoro piuttosto lassista e distratta consente il dumping salariale. I famosi voucher ne erano una testimonianza, col loro utilizzo distorto per pagare prestazioni lavorative ordinarie a 7,5 euro l’ora; tanto è vero che la loro reintroduzione, sia pure sotto forma diversa, proposta dalla cosiddetta “manovrina” 2017 non a caso prevede finalmente una soglia oraria di 9 euro definita “minima”, lasciando capire che tra le parti possa essere concordata una paga superiore, magari agganciata a quella della contrattazione collettiva (cosa che sarà obbligatoria per il lavoro occasionale in agricoltura).
L’offerta di tirocinio del Gruppo Dimensione rende evidente che alle imprese il “merito” derivante dagli studi interessa ben poco, visto che né una laurea a pieni voti, né il poliglottismo sono ritenuti degni di un’assunzione almeno direttamente in apprendistato.
Non si illuda, Titolare, che l’esempio citato sia un caso isolato. Nel corso del progetto Garanzia Giovani più volte i ricercatori Adapt hanno riscontrato offerte di tirocinio per giovani “con esperienza”, sebbene la misura fosse rivolta ai cosiddetti Neet, cioè giovani che né studiano, né lavorano: ma, poiché i tirocini erano pagati dalle risorse europee, l’occasione di attivarli senza oneri per le imprese era fin troppo ghiotta.
È evidente che le regole di ingaggio non sono chiare o, comunque, si prestano ad essere facilmente aggirate. Del resto, è noto che i servizi dell’ispettorato del lavoro sono del tutto deficitari sul piano delle risorse; mentre i centri per l’impiego, accusati sempre di inefficienza (ma chi evidenzia tale inefficienza ignora sempre che in Italia operano in questi servizi a stento 6.000 dipendenti, a fronte dei 100.000 della Germania), pur di non essere accusati anche di impedire l’attivazione di politiche del lavoro che costituiscano potenziali occasioni di contatto tra disoccupati ed aziende non vanno tanto per il sottile, e promuovono anche tirocini molto borderline, come dire.
Che rimedio c’è, allora, stimato Titolare? Possono esservene molti. Per esempio, un divieto di connettere tirocini con assunzioni aventi scopo formativo, come appunto l’apprendistato: le imprese scelgano una tra le possibili strade per formare i lavoratori. Oppure, restringere i tirocini a persone poco qualificate e titolate.
Ma, forse, quello che è veramente mancato è il “contratto a tutele crescenti”, che il Jobs Act ha ridotto meramente in contratto con licenziamento ad indennità risarcitoria crescente, senza incidere minimamente sulle tutele.
Forse la cosa più utile e saggia sarebbe circoscrivere i tirocini a sole attività di formazione per studenti o per lavoratori costretti a passare da un comparto produttivo in crisi ad un altro. E puntare tutto su un contratto unico di ingresso nel lavoro, con salari inizialmente più bassi e possibilità di libero recesso, che consenta la formazione e l’acquisizione di una qualifica professionale però, poi, da riconoscere erga omnes, onde evitare il gioco opportunistico di licenziamenti e riassunzioni con sottoqualificazione.
Insomma, puntare su tirocini da trasformare in occasioni esclusivamente formative o in veri e propri contratti di apprendistato brevi e sul contratto di apprendistato come strumento unico di tutele crescenti di inserimento lavorativo. Il che richiederebbe, allora, una profondissima revisione del contratto a tempo determinato ed, in particolare, la reintroduzione dell’obbligo di motivarne l’utilizzo ed un sostanziale maggior peso contributivo e retributivo, visti i rischi di creare disoccupazione molto più alti rispetto ad un contratto potenzialmente stabile come quello di apprendistato.