13/01/2017 - L'equivalenza formale delle mansioni del dirigente pubblico non può confondersi con lo svuotamento delle sue funzioni
Un dirigente pubblico, in fase di riorganizzazione delle funzioni da parte della PA, ha avuto i suoi compiti progressivamente svuotati, con sottrazione anche del personale da lui precedentemente coordinato, avendo la PA attribuito i relativi incarichi ad un consulente esterno che aveva anche il compito di coordinamento delle stesse attività precedentemente svolte dal dirigente. La Corte territoriale, in accoglimento delle doglianze del dirigente condanna la PA ad assegnare al dirigente le funzioni dirigenziali svolte anteriormente, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale e al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Secondo la Corte di Appello, nella fattispecie in esame, si è configurato un demansionamento del dirigente, in quanto la natura del demansionamento può consistere oltre che nell'attribuzione al dirigente di mansioni inferiori anche nella sottrazione delle competenze maggiormente qualificanti della posizione dirigenziale ricoperta, come è avvenuto nel caso di specie. Inoltre, secondo i giudici di appello, è da escludere che le modifiche organizzative adottate dalla PA possano impedire una pronuncia del giudice ordinario che garantisca al dipendente lo svolgimento delle mansioni dirigenziali di appartenenza.
Avverso la citata sentenza ricorre la PA in Cassazione evidenziando l'infondatezza delle doglianze del dirigente in merito al mutamento dei compiti dirigenziali conferitigli, in quanto nel pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165assegna rilievo soltanto al criterio dell'equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi aver riguardo alla norma generale di cui all'art. 2103 cod. civ., come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità. Inoltre, la PA contesta la statuizione con la quale la Corte d'appello ha riconosciuto il danno da demansionamento liquidandolo in via equitativa, in assenza di una specifica prova dell'interessato e soltanto sulla base di presunzioni.
LE CONCLUSIONI DELLA SUPREMA CORTE
Il primo motivo del ricorso è incentrato sul presunto mancato rispetto, da parte della Corte d'appello, del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui in materia di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse, sancisce il diritto del lavoratore ad essere adibito anche a mansioni equivalenti stabilendo un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice (Cass. 21 maggio 2009, n. 11835; Id. 11 maggio 2010, n. 11405; Id. 5 agosto 2010, n. 1828; Id. 26 marzo 2014, n. 2106).
Ora, secondo i giudici di Palazzo Cavour, tale motivazione non può trovare accoglimento, in quanto la stessa giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che, laddove vi sia stato il sostanziale "svuotamento" dell'attività lavorativa, la vicenda esula dall'ambito delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell'ambito del pubblico impiego. Indirizzi in tal senso si verificano nelle seguenti ipotesi:
in caso di provvedimento di revoca, a seguito di nomina di soggetto esterno all'Amministrazione pubblica, di una posizione organizzativa di un dirigente accompagnata dallo svuotamento dell'attività dello stesso di ogni contenuto tipizzante il profilo professionale, con privazione dei compiti decisionali e delle relative responsabilità, con contestuale attribuzione di funzioni meramente esecutive e con piena subordinazione al nuovo responsabile, si è in presenza di un atto amministrativo illegittimo, che dinanzi al giudice ordinario fonda il diritto al risarcimento del danno (Ex multis Cass. 15 maggio 2015, n. 10030);
in caso di comportamento della P.A. di sostanziale "svuotamento" dell'attività lavorativa, la vicenda esula dall'ambito delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell'ambito del pubblico impiego (Ex plurimis Cass. 21 maggio 2009, n. 11835; Cass. 11 marzo 2011, n. 5881; Cass. 11 aprile 2013, n. 8854).
Facendo quindi applicazione, nel caso di specie, del verificato e riscontrato demansionamento da parte della PA delle funzioni svolte dal dirigente, le motivazioni della Corte territoriale sulla condanna, al ripristino delle funzioni precedentemente svolte, appaiono prive di censura. In particolare, nel caso di specie, la PA ha adottato un provvedimento di revoca, ma a causa di una riorganizzazione aziendale la quale, pur lasciando integri formalmente i compiti affidati al dirigente, di fatto li abbia ridotti a quelli relativi agli interventi di carattere routinario, oltretutto a vantaggio di un consulente privato esterno alla P.A., senza alcuna specifica motivazione al riguardo.
In conclusione, la sentenza della Corte d'appello deve essere confermata nella parte in cui, escludendo che le modifiche organizzative adottate dalla PA possano impedire una pronuncia del giudice ordinario che garantisca al dirigente lo svolgimento delle mansioni dirigenziali di appartenenza, ha riconosciuto il diritto del ricorrente al ripristino delle mansioni dirigenziali nella loro pienezza, quali erano quelle svolte prima dell'accertato "svuotamento". Poiché il conferimento dell'incarico dirigenziale aveva una sua durata stabilita, ed il dirigente è stato rimosso dall'incarico prima della sua scadenza, sarà obbligo della PA ripristinare le funzioni equivalenti del dirigente per la stessa durata originaria prevista al netto del periodo di demansionamento avvenuto.
In merito al danno da demansionamento, lo stesso va confermato, in quanto la Corte territoriale ha, con motivazione adeguata, confermato la decisione del primo giudice che ha ritenuto provato in via presuntiva l'impoverimento della professionalità subito dal dirigente -in considerazione della soggezione a rapide evoluzioni del settore di competenza dello stesso, della parziale emarginazione del dirigente rispetto alla possibilità di partecipare alla relative scelte tecniche e della considerevole durata del demansionamento- e pertanto ha riconosciuto la sussistenza del diritto del medesimo al risarcimento del danno, liquidandolo equitativamente in base alla complessiva valutazione dei precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, frustrazione professionale).