05/12/2017 - Incarichi dirigenziali: la necessità di valutazioni comparative e gli effetti risarcitori in caso di violazione
Incarichi dirigenziali: la necessità di valutazioni comparative e gli effetti risarcitori in caso di violazione
L'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001 e s.m.i. obbliga l'Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima ivi indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Conseguentemente, la P.A. deve operare valutazioni comparative, esternando le ragioni giustificatrici delle scelte operate, di guisa che, qualora l'Amministrazione non abbia fornito alcun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile in termini di perdita di chance, ma non un intervento sostitutivo da parte del giudice.
E' questo, in sintesi, il portato dell'ordinanza 10 novembre 2017, n. 26694 resa dalla Sezione Lavoro dei supremi giudici di Piazza Cavour, ad esito della disamina del ricorso inoltrato da un'amministrazione pubblica datrice di lavoro finalizzato alla cassazione della pronuncia resa dalla Corte territoriale del gravame che, nel respingere l'appello interposto, aveva confermato la sentenza del giudice di prime cure con la quale, in accoglimento delle doglianze avanzate dall'originario ricorrente, aveva ritenuto illegittimi i provvedimenti con i quali, in assenza di valutazioni comparative, si era proceduto al conferimento di incarichi dirigenziali, con condanna dell'amministrazione alla corresponsione in favore della controparte del risarcimento del danno da perdita di chance.
L'asserita facoltà di scegliere, su base fiduciaria, fra tutti coloro che siano in possesso dei requisiti richiesti dall'incarico oggetto di conferimento, senza effettuare valutazioni comparative ed indicare nel relativo provvedimento le ragioni a sostegno della scelta effettuata - avanzata da parte dell'amministrazione nel ricorso interposto ai supremi giudici - non è stata ritenuta degna di accoglimento da parte di questi ultimi, che hanno, invece, affidato le loro argomentazioni alle considerazioni di seguito illustrate.
Ed invero, i giudici di Piazza Cavour, nell'ordinanza de qua, hanno ribadito, richiamando un precedente dictum (cfr. Cass. Civ. 12 ottobre 2010, n. 21088), che "in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell'art. 19, comma 1, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 obbligano l'Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.. Tali norme ... obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l'Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile».
Orbene, l'omessa "procedimentalizzazione" in sede di esercizio del potere di conferimento degli incarichi dirigenziali con valutazioni comparative effettuate alla stregua di quanto recato dal menzionato art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001 (id est, tenendo conto, "in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico") offre il fianco per avanzare, da parte del soggetto leso, richiesta risarcitoria basata sulla perdita di chance subita.
L'ordinanza in disamina offre, altresì, il destro alla Suprema Corte di Cassazione per precisare come non vadano confusi "il diritto soggettivo al conferimento dell'incarico e l'interesse legittimo di diritto privato correlato all'obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nell'art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l'attribuzione dell'incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione".
In merito, con la sentenza 14 aprile 2015, n. 7495, la Corte di Cassazione - dopo aver precisato che nel campo del pubblico impiego, "essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali", con l'effetto che "ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di "interessi legittimi", ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all'art. 2907 c.c." - aveva già evidenziato che "tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato alleghi e provi la lesione dell'interesse legittimo suddetto, nonché il danno subito, in dipendenza dell'inadempimento di obblighi gravanti sull'amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione".
Inoltre, i giudici di Piazza Cavour avevano già precisato che "la ritenuta illegittimità del provvedimento adottato implica l'esercizio di una nuova valutazione, pur sempre rimessa al datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti […] di attività vincolata e non discrezionale" (in tali termini cfr. Cass. Civ, sentenza 24 settembre 2015, n. 18972).
Con riferimento alla quaestio relativa all'esistenza ed alla liquidazione del danno risarcibile nelle fattispecie de quibus il provvedimento giudiziale in parola evidenzia che "a fronte di domanda di risarcimento del danno da perdita di chance il giudice del merito è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti dal lavoratore, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell'esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito"; in tal modo - continua l'ordinanza in disamina - "non viene risarcito un danno probabile in quanto «il danno è certo quanto all'an debeatur perché certo è l'inadempimento di un'obbligazione strumentale da parte del datore di lavoro (quella di effettuare la scelta secondo un determinato criterio e comunque secondo correttezza e buona fede), obbligazione che ha un contenuto patrimoniale. Il criterio probabilistico gioca solo sul piano della quantificazione del danno nel più generale ambito della liquidazione equitativa»" (in tal senso, testualmente, cfr. Cass. Civ., sentenza 3 marzo 2010, n. 5119).
Ai principi testé enunciati ha fatto riferimento nella fattispecie concreta la Corte territoriale d'appello allorquando ha commisurato il risarcimento del danno al trattamento retributivo che il dirigente avrebbe percepito in caso di attribuzione dell'incarico, supportando tale approdo con il rilievo che la concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene, non rappresentando una mera aspettativa di fatto, costituisce "un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto" (in tal senso, cfr. Cass. Civ., sentenza 25 agosto 2014, n. 18207 e Cass. Civ., sentenza 15 maggio 2015, n. 10030).
In conclusione, le argomentazioni sviluppate dai giudici di Piazza Cavour nell'ordinanza oggetto della presente disamina hanno quale effetto il rigetto del ricorso per cassazione inoltrato, con conseguente conferma della pronuncia resa dal giudice territoriale del gravame.
Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord., 10 novembre 2017, n. 26694