02/12/2017 - Nella legge di bilancio poco spazio agli enti locali
Nella legge di bilancio poco spazio agli enti locali
La manovra rende più facili gli investimenti delle amministrazioni locali, ma non dà incentivi monetari alla loro realizzazione. E continua a impedire ai comuni di utilizzare la leva fiscale per aumentare le risorse a propria disposizione.
Poco chiaro e molto scuro
È in discussione in queste settimane la legge di bilancio per il 2018, approvata in prima lettura dal Senato il 30 di novembre mediante voto di fiducia al Governo. Si tratta, naturalmente, di un documento ancora provvisorio, sia per quanto riguarda gli specifici interventi sia per quanto riguarda la loro dimensione quantitativa. A maggior ragione, la prudenza nel commentare misure non definitive risente della recente lettera che la Commissione europea ha inviato all’Italia, nella quale di fatto invita il paese a trovare, tra oggi e la prossima primavera, circa 3,5 miliardi aggiuntivi per rispettare gli obiettivi di saldo strutturale. Alla luce di questa doverosa premessa, che cosa possiamo imparare e che cosa possiamo suggerire per quanto riguarda gli interventi dedicati agli enti locali?
Due sono gli aspetti che vale la pena di mettere in evidenza. In primo luogo, dal lato della spesa, la legge di bilancio rende più facili gli investimenti, mettendo a disposizione risorse finalizzate allo scopo. Più precisamente, si tratta di incentivi agli investimenti per la messa in sicurezza di edifici e del territorio, per un ammontare di 750 milioni di euro nel triennio 2018-2020, col vincolo però che nessun comune possa ottenere più di 5.225.000 euro complessivi. Altri interventi specifici, per 30 milioni di euro nel triennio, sono previsti per i piccoli comuni, con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, per la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, l’attenuazione del rischio idrogeologico, la riqualificazione dei centri storici, la messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici, la promozione dello sviluppo economico e sociale e l’insediamento di nuove attività produttive.
L’intervento più generoso, sempre in tema di investimenti, assegna spazi finanziari agli enti locali (nell’ambito dei patti di solidarietà nazionali) fino a complessivi 700 milioni annui – di cui 300 destinati all’edilizia scolastica – per il 2017 e fino al 2023, con un aumento a 900 milioni per il 2018 e il 2019 (sempre con alcuni vincoli sulla destinazione a favore dell’edilizia scolastica e degli impianti sportivi).
Infine, 30 milioni nel triennio sono destinati a incentivare le fusioni dei piccoli comuni: si tratta di un tema caldo, insieme a quello delle unioni di comuni, ma il legislatore non sembra seguire un percorso coordinato, logico e continuativo, all’interno del ridisegno più ampio delle funzioni degli altri enti territoriali “intermedi”, vale a dire province e città metropolitane.
In secondo luogo, sul fronte delle entrate, persiste il blocco delle aliquote dei tributi locali, fatta eccezione per la Tari, l’imposta di soggiorno – comunque limitata a specifici comuni – e altre imposte minori. La scelta, determinata dal tentativo del governo centrale di controllare in qualche modo il livello della pressione tributaria complessiva, limita fortemente l’autonomia impositiva degli enti locali e, di conseguenza, riduce gli spazi di autonomia nella gestione della loro attività di spesa.
Sempre dal lato del finanziamento, va invece valutato in modo positivo l’accordo raggiunto in questi giorni per la ripartizione del Fondo di solidarietà comunale per il 2018, quindi prima dell’anno di riferimento. L’intesa è stata resa possibile anche dalla nuova calendarizzazione sia della fase di passaggio ai fabbisogni standard, che si concluderà nel 2021, sia dell’accantonamento al bilancio del Fondo crediti di dubbia esigibilità.
Possibili miglioramenti
Sono due le “colpe” principali della legge di bilancio nei confronti degli enti locali.
La prima è la mancanza di un sostanzioso incentivo monetario per rilanciare gli investimenti, vero punto di debolezza del sistema economico italiano. La seconda è impedire ai comuni di utilizzare la leva fiscale per aumentare le risorse a propria disposizione e quindi offrire maggiori o migliori servizi ai propri cittadini.
L’anticipo nell’assegnazione dei fondi è certamente utile, ma di fatto solo una cura palliativa. Per aumentare gli investimenti, senza ricorrere a nuovi stanziamenti di bilancio, una strada percorribile potrebbe essere quella di potenziare i Patti regionali, vale a dire di responsabilizzare maggiormente le regioni, dotandole del potere di gestire più liberamente la ripartizione di spazi finanziari tra i diversi comuni.
In aggiunta, ma questo è argomento che non andrebbe necessariamente trattato in una legge di bilancio, è ormai diventato inderogabile ridefinire i ruoli, le competenze e le risorse delle province e il loro rapporto con gli altri livelli di governo.