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12/04/2017 - TAR Toscana: è sleale il mancato riconoscimento dell’accesso agli atti

tratto da marcoaurelio.comune.roma.it
TAR Toscana: è sleale il mancato riconoscimento dell’accesso agli atti
 

Il Tar della Toscana decide il caso di un diniego di accesso agli atti formulato da una Università nei confronti della richiesta di un concorrente allo scopo di conoscere la “valutazione ottenuta e l'effettiva corrispondenza del testo e degli elaborati sottoposti a valutazione con quanto effettivamente prodotto in sede di svolgimento delle prove scritte”.
L’Amministrazione non risponde alla richiesta e, a fronte del silenzio, l’interessato impugna il provvedimento implicito di rigetto dell’istanza d’accesso per violazione dei principi di imparzialità e di trasparenza dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.). Violazione artt. 22 e 24, comma 7, L.n.241/1990. 

Al riguardo il Tribunale amministrativo si esprime in modo tassativo, anche con giudizi di censura nei confronti dell’Amministrazione, affermando che l’art. 22, comma 2, della L. n. 241/1990 stabilisce che il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza. Ne discende, quindi, che l’esercizio del suddetto diritto può essere compresso esclusivamente nelle ipotesi indicate dal legislatore, secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui all’art. 24 della L.P.A. (L.241/90).

Afferma, inoltre, il Tar che, il diniego tacito formatosi con il decorso di trenta giorni dalla proposizione dell’istanza, deve ritenersi illegittimo per violazione dell’art.24, comma 7, della L.241/1990 ai sensi del quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
Il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, è nel senso dell’art. 24, comma 7, della L. n. 241/90, in virtù del quale va garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, senza che da parte dell’Amministrazione possa legittimamente sindacarsi la fondatezza ovvero la pertinenza delle azioni che l’interessato intenda intraprendere. Sotto tale profilo è sufficiente che l’istante fornisca elementi idonei a dimostrare in maniera chiara e concreta la sussistenza di un tale astratto interesse che ricolleghi comunque la domanda d’accesso ai documenti richiesti; inoltre, una volta che l’istante abbia dimostrato il proprio interesse, è illegittimo il divieto di estrarre copia e la limitazione dell’accesso alla sola visione degli atti, che spesso non è sufficiente a consentire la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi.

Ai sensi del citato art. 24, quindi, l’accesso va in ogni caso garantito qualora sia strumentale e funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale. Pertanto, l’interesse all’accesso va valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza, plausibilità o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante.

In linea di principio, dunque, l’amministrazione detentrice dei documenti amministrativi, purché direttamente riferibili alla tutela – anche di carattere conoscitivo, preventivo e valutativo da parte del richiedente, di un interesse personale e concreto, non può limitare il diritto di accesso se non per motivate esigenze di riservatezza.
Si tratta di acquisizioni consolidate ed ormai note (o almeno dovrebbero esserlo secondo criteri di perizia ed intelligenza) dopo quasi un ventennio di esperienze e affermazioni giurisprudenziali, che qui è inutile ripetere e dalle quali emerge un principio di fondo che dovrebbe guidare tutti i funzionari e dirigenti pubblici, la cui osservanza eviterebbe una mole cospicua di inutile contenzioso, come quello presente. Tale principio può sintetizzarsi in ciò: l’accesso è la regola ed il rifiuto è l’eccezione, da dimostrare sempre e comunque con chiara, esauriente e convincente motivazione. Corollario di tale regole è che il silenzio serbato su istanze d’accesso è ipotesi ancor più eccezionale, da circoscrivere in ambiti limitatissimi di domande palesemente pretestuose, incerte, vaghe, emulative.

Si tratta di regole semplici e fondamentali, ispirate, secondo l’ormai noto insegnamento dei giudici amministrativi, a valori fondanti di qualsiasi vera democrazia in cui la burocrazia è al servizio del cittadino e non di se stessa, secondo una logica perversa di autoreferenzialità in base alla quale il cittadine è suddito e non referente dell’azione amministrativa.
Nella specie, la citata regola è stata inspiegabilmente e slealmente violata dall’amministrazione scolastica con un silenzio tanto più inspiegabile a fronte dell’oggetto della richiesta, riguardante esclusivamente gli elaborati del solo richiedente e non quelli di altri: vicenda per la quale le stesse norme interne dell’amministrazione prevedevano l’immediata accessibilità. 

La violazione del principio di correttezza e lealtà, nonché la sussistenza degli elementi, costitutivi della colpa, di negligenza, imprudenza e imperizia non è certo affievolita dall’accoglimento tardivo della richiesta in corso di causa, il quale anzi evidenzia ancor di più l’intollerabile superficialità dell’azione amministrativa e del suo autore, il quale ha costretto senza ragione alcuna un cittadino a sopportare i costi di un processo per potersi vedere riconosciute le proprie ragioni, che un qualsiasi funzionario appena dotato di intelligenza ed umanità avrebbe subito compreso e soddisfatto.

Santo Fabiano

 

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