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22/10/2016 - La riforma della dirigenza nel ddl governativo in attuazione dell’art. 11 della legge 7.8.2015, n. 124

tratto da La Gazzetta degli enti locali del 21.10.2016

La riforma della dirigenza nel ddl governativo in attuazione dell’art. 11 della legge 7.8.2015, n. 124 (IV parte)
Un ulteriore e complementare focus sugli incarichi di funzioni dirigenziali

di riccardo nobile 
 

Argomento di oggi sono i conferimenti degli incarichi di funzioni dirigenziali. Nell’affrontarlo ci discosteremo dall’approccio fin qui seguíto. Il perché è presto detto: rispetto al nostro ultimo intervento sulle pagine di questaGazzetta è sopraggiunto un fatto nuovo, dalla portata e dagli effetti potenzialmente deflagranti e non pienamente prevedibili: il parere del Consiglio di Stato – Commissione speciale, n. 2113/2016, peraltro solo di recente depositato.
Del referto in oggetto colpiscono due cose: il suo epílogo e il suo pròdromo. Il primo perché si conclude con la formula di rito, dal sapore apparentemente innocente “nei termini esposti è il parere favorevole con condizioni e osservazioni della Commissione speciale”. Il secondo in quanto ciò su cui la sua laconica, ma emblematica conclusione si fonda altro non è che l’evidenziazione di una quantità tale di osservazioni destruenti da lasciare allibiti. Quel che se trae è una cosa sola: lo schema di decreto legislativo delegato sub iudice è scritto con arti improprî a dire poco. Esso abbisogna di tante e tali correzioni e interventi di ortopedia nomothetica da indure a ritenere che meglio farebbe il suo estensore a riscriverlo daccapo, magari profondendo un poco piú di impegno.
Che ciò non sia campato per aria non è difficile da dimostrare: gli interventi ortopedici attuati dal parere del Consiglio di Stato – Commissione speciale, n. 2113/2016 sono una sostanziale riscrittura del testo licenziato dal legislatore delegato. La qual cosa, peraltro, non compete al massimo organo consultivo dello Stato. Gli ufficî strategici del quale meglio opererebbero ab imis se continuassero a essere frequentati solo e soltanto – e quindi sempre – da magistrati delle giurisdizioni superiori di comprovata esperienza, per i quali soli il principio iura novit curia è principio giuridico di senso compiuto.
Fatte le dovute presentazioni della strategicità che caratterizza il parere espresso dal Consiglio di Stato del complesso e accidentato iter di approvazione dello schema di decreto legislativo delegato in materia di riforma della dirigenza pubblica è ora il momento di analizzare cosa esso prevede in subiecta materia.
Di incarichi di funzioni dirigenziali si occupa l’art. 19-bis in pectore da inserire [se la riforma andrà in porto] dopo l’art. 19 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. L’innesto legislativo è previsto dall’art. 4, peraltro privo di articolazione interna per quel che qui ci riguarda, dello schema di decreto legislativo delegato. Sul relativo testo, le osservazioni, non sempre indulgenti, del Consiglio di Stato sono contenute nel § 11 del relativo referto prodotto.
Il presupposto logico del conferimento dell’incarico di funzioni dirigenziali – ce lo ricorda il parere del Consiglio di Stato piú volte richiamato – è un previo rapporto di servizio, sul quale si innesta, presupponendolo, un successivo rapporto di ufficio. Come i due rapporti si intersechino è rammemorato in questi termini: “[il rapporto di servizio]sorge in virtù di un contratto di lavoro che è stato oggetto dei processi di privatizzazione degli anni novanta ed è governato, salvo deroghe, dalle norme di legge e dagli atti di autonomia negoziale individuale e collettiva”. Per contro, il rapporto di ufficio “sorge in virtù di un procedimento di nomina, di rilevanza organizzativa, che consente il funzionamento del sistema di imputazione giuridica dell’attività del dirigente all’amministrazione pubblica di riferimento”. Con questa premessa, che è bene non dimenticare a pena di perdere il verso e la direzione dell’analisi, è di tutta evidenza che la tematica oggi in questione riguarda il momento genetico del rapporto di ufficio e solo in taluni casi – il conferimento di incarichi a personale esterno alla pubblica amministrazione – anche il rapporto di servizio.
Le prime due disposizioni normative del neo previsto art. 19-bis esibiscono da súbito una marcata e segnalata carenza di sistematicità. Ed infatti, mentre la prima asserisce l’ovvio, e cioè che le “amministrazioni conferiscono gli incarichi dirigenziali corrispondenti agli uffici dirigenziali” nonché altre tipologie di incarichi espressamente denominati, sulla base del presupposto sottaciuto che le funzioni che li caratterizzano siano comunque funzioni dirigenziali, la seconda opína differentemente per forma e contenuto. Essa, a ben vedere, non esprime affatto una norma sul rapporto di ufficio e sui criterî per addivenire alla relativa preposizione organica, ma una norma sul modo di essere dell’organizzazione degli ufficî dirigenziali. Lo si evince con chiarezza guardando al testo del comma 2: “le amministrazioni individuano gli uffici e le funzioni dirigenziali di cui al comma 1, definendo i requisiti necessari per ricoprire i relativi incarichi in termini di competenze ed esperienze professionali, tenendo conto della complessità, delle responsabilità organizzative e delle risorse umane e strumentali, e applicando il principio di rotazione negli uffici che presentano più elevato rischio di corruzione, a norma dell'art. l, comma 5, lettera b), della legge 6 novembre 2012, n. 190”.
Quanto alle modalità attraverso cui avviene il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali vale la regola laconica, ma insidiosa, secondo la quale “ciascun incarico dirigenziale può essere conferito, secondo le procedure di cui all'articolo 19-ter, a dirigenti appartenenti ai Ruoli della dirigenza”. Il perché dell’uso del verbo modale “potere” anziché del più forte “dovere” è presto detto e lo svela il successivo comma 3: gli incarichi di funzioni dirigenziali possono essere conferiti anche al di fuori dei Ruoli previsti nello schema del decreto legislativo delegato attraverso una procedura che altro non è se non la fotocopia dell’attuale art. 19, comma 6 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Il presupposto per il conferimento degli incarichi de quibus è indicato dal legislatore novello con la locuzione “incarichi dirigenziali, non assegnati attraverso i concorsi o le procedure di cui al citato art. 19-ter”. La formulazione attuata è fortemente criticata e avversata dal parere del Consiglio di Stato con dovizia di argomenti, i quali lo inducono ad una posizione pregiudicante sulla necessità della preventiva effettuazione dell’interpello interno preordinato alla verifica del rinvenimento di idonee professionalità: “il Consiglio di Stato ritiene, pertanto, che il conferimento degli incarichi esterni deve necessariamente essere preceduto dalla verifica, almeno nell’ambito delle domande pervenute, dell’assenza, per profili e competenze, di adeguate professionalità interne alla dirigenza della Repubblica”. Gli incarichi a soggetti estranei ai ruoli dirigenziali non possono che essere conferiti, nell’ámbito delle aliquote riservate, attraverso procedure selettive con avviso pubblico, per evitare che la selezione si risolva in un momento meramente interno, che esclude, per definizione, l’effettuazione di ricerche di mercato.
La disposizione dello schema di decreto legislativo delegato prevede che taluni degli incarichi de quibus possano avere durata infraquadriennale. Ciò, come acutamente osservato dal Consiglio di Stato, pone “una questione di compatibilità con la legge delega, che prevede che la durata degli incarichi è di quattro anni, senza consentire differenziazioni connesse alla tipologia di incarico (art. 11, comma 1, lettera h)”. Ancóra una volta, è adombrato un tipico caso di eccesso di delega legislativa, il che anticipa nei fatti un’altamente probabile censura di incostituzionalità da far valere alla prima occasione utile e che, oltre a tutto, determina una stridente discrasia ordinamentale di disagevole spiegazione.
Della normativa sul conferimento degli incarichi di funzione dirigenziali rileva il comma 8 del neoprevisto art. 19-bisda interpolare nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165: “le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle amministrazioni locali. Rimane fermo quanto previsto dall'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”. Disposizione normativa, quest’ultima, manipolata in un pernicioso “gioco al rialzo” ad opera dell’art. 11, comma 1, lett. a) del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114, fortemente criticata per l’innalzamento sproporzionato della percentuale dei posti attribuibili con rapporto di provvista lavorativa a tempo determinato a soggetti esterni al ruolo della singola amministrazione locale, percentuale per di piú ancorata ad un concetto evanescente come quello di “dotazione organica”, destinato al superamento ad opera dell’art. 17, comma 1, lett. q) della legge 7 agosto 2015, n. 124.
La disposizione normativa appare prima facie di innocente formulazione. Su di essa si attestano però le critiche del Consiglio di Stato: la relativa disposizione normativa, nel disciplinare le modalità di conferimento degli incarichi esterni, “risulta non solo non pienamente conforme al criterio della legge delega che si è limitata ad autorizzare una eventuale modifica delle percentuali di dirigenti esterni che devono essere definite «in modo sostenibile per le amministrazioni non statali» (lettera b), ma anche, e soprattutto, difficilmente compatibile con il nuovo sistema della dirigenza pubblica quale definito dallo stesso schema di decreto. Ciò in quanto: i) vengono definiti limiti percentuali eccessivamente elevati, riferiti alla dotazione organica del solo ente locale che ha stipulato il contratto e senza la previa verifica della non rinvenibilità nei ruoli di professionalità adeguate; ii) la possibilità di conferire incarichi oltre la dotazione organica risulta contraria al principio della legge delega della tendenziale riduzione del numero dei dirigenti pubblici; iii) la previsione di una durata ancorata a quella del mandato del Sindaco o del Presidente della Provincia contrasta con la regola generale posta dalla legge delega della durata di quattro anni imposta per tutte le funzioni dirigenziali. In definitiva, lo schema di decreto, pur prevedendo l’operatività della regola del ruolo unico anche per dirigenti locali, lascia ferma una norma che si inserisce in un contesto regolatorio completamente diverso fondato sui ruoli delle singole amministrazioni”. Tanto quanto basta per espungerla e consegnarla all’oblio.
Altro ámbito di regolazione è il conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale, a prescindere dal loro contenuto. Se ne occupa il neo previsto art. 19-ter da interpolare nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Come acutamente viene evidenziato nel § 12 del parere del Consiglio di Stato, “nella disciplina vigente sono previsti criteri e non anche procedure di selezione del dirigente”. Ciò, in buona sostanza, significa che attualmente la scelta del dirigente avviene al di fuori di uno specifico procedimento amministrativo, essa operando iure privatorum, come la dottrina e la giurisprudenza largamente prevalenti ritengono. La prima conseguenza della procedimentalizzazione della scelta del dirigente può avere riflessi sulla giurisdizione, traslandola dal giudice ordinario al giudice amministrativo. E, a ben vedere, è proprio la previsione di criterî ex lege che orienta a ritenere che il legislatore novello abbia voluto enucleare un vero e proprio procedimento amministrativo preordinato al conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali, il che determina a sua volta che l’atto di conferimento non abbia piú natura privatistica, ma di vero e proprio provvedimento amministrativo, con tutte le conseguenze che ne discendono.
Piú in dettaglio, la nuova disciplina prevede che la scelta del dirigente avvenga “mediante procedura comparativa con avviso pubblico”, fattispecie che non opera per “gli incarichi di segretario generale dei ministri e dei ministeri, quelli di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali, quelli di livello equivalente, e quelli conferiti presso gli uffici di diretta collaborazione di cui all’art. 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
È noto che per gli incarichi de quibus, la Corte costituzionale ha ritenuto salvo il principio fiduciario [si ricordi che la fede è l’argomentum non visibilium ac non apparentium, il che rimanda sempre al pensiero retrostante e dunque al non dichiarato, in un contesto nel quale la scelta del dirigente dovrebbe essere ispirata dall’opposto principio della lealtà,] dell’intuitus personae, argomentandolo a partire dalla speciale collocazione che essi hanno nei rapporti con gli organi di governo, come ben si trova compendiato, ex plurimis, nelle sentenze della Corte costituzionale 5 giugno 2006, n. 233 e 28 ottobre 2010, n. 304. E tuttavia, come ha osservato il Consiglio di Stato, la clausola eccettuativa contenuta nel neopensato [evidentemente in modo malaccorto] art. 19-ter, comma 1 si pone in flagrante contrasto con l’art. 11, comma 1, lett. g) della legge 7 agosto 2015, n. 124, il quale prevede che il conferimento degli incarichi de quibus avvenga sulla base di una rosa di cinque candidati selezionati dall’apposita Commissione. Detto in altri termini, la clausola eccettuativa prevista dal legislatore novello è in contrato con l’art. 76 Cost. per eccesso di delega, il che è come anticiparne la caducazione da parte della Corte costituzionale alla prima occasione utile. Come esercizio di eunomía da parte degli uffici addetti alla scrittura dello schema di decreto legislativo in questione non v’è proprio che dire!
Ma al peggio non v’è limite” verrebbe da dire. È che ciò sia vero non è particolarmente complesso da disvelare. Lo si vede súbito osservando che il regime dei conferimenti degli incarichi di funzione dirigenziale presuppone la previa messa a regime di un ben lubrificato e oliato sistema di valutazione della performance dirigenziale, del quale però non si rinviene traccia nel testo dello schema del decreto di riforma della dirigenza elaborato – probabilmente con tutta fretta – dal legislatore novello in tempi di vendemmia. Lo sottolinea il parere del Consiglio di Stato nel prosieguo del suo § 12, e lo fa in modo articolato e particolarmente sottolineato. Qui si ferma l’attività di supplenza dell’organo consultivo per impossibilità sopravvenuta, il quale non riesce, per piú che intuitivi motivi, a suggerire formulazioni di testo alternative per rimettere in sesto i contenuti delle disposizioni normative dello schema di decreto legislativo. E la ragione è ovvia e deprimente al tempo stesso: nessuna azione di ortopedia legislativa è possibile perché il testo dello schema di decreto legislativo è monco: semplicemente.
I commi 4, 5, 6, 7 e 8 del neopensato art. 19-ter da interpolare nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 non pongono particolari problemi di lettura, se non per la prosa scadente. Vale qui solo la pena di segnalare la svista in cui il legislatore novello è incappato nel comma 5 in materia di conferimenti di incarichi relativi a ufficî dirigenziali generali. Qui i candidati sono identificati prima nel numero di 3, poi nel numero di 5. Il Consiglio di Stato è clemente nell’apprezzare il richiamato disallineamento, e ímputa la discrasia al mero errore materiale. Per noi l’errore è semplicemente il frutto della fretta in cui è incorso un legislatore che pare animato da vera e propria furia iconoclasta. L’errore ha un precedente illustre, che è ben compendiato nei 181 errori presenti nel d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, per porre rimedio ai quali si è resa necessaria un’imbarazzante errata corrige pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. E anche qui errore e fretta sono andati largamente a braccetto.
Di qui la conclusione. Che riformare per riformare sia un segno dei tempi è sotto lo sguardo delle moltitudini; certo è che i contenuti delle riforme non appaiono per nulla allineati con le loro asserite ragioni, portate innanzi con vere e proprie corse alla bersagliera, senza prestare la dovuta attenzione ai contenuti degli articolati normativi che le compendiano. 
A questo proposito vi sarebbe da chiedersi cosa accadrebbe in un’impresa se i responsabili della stesura di documenti importantissimi incorressero in errori di concetto o in piú banali, ma ampiamente reiterati, e non per questo meno emblematici, errori di altro tipo. La domanda non è puramente retorica. È ovvio che per comprenderne i contorni occorrere essersi cimentati nelle attività lavorative, almeno per qualche tempo. Cosa che molti esponenti politici non solo non fanno, ma non hanno mai fatto.

(IV - segue)

La prima parte dell'approfondimento è disponibile qui.

La seconda parte dell'approfondimento è disponibile qui.

La terza parte dell'approfondimento è disponibile qui.

 

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