10/10/2016 - Audite, audite.
Audite, audite.
Ebbene in uno slancio di masochismo estremo mi sono sottoposto alla tortura di seguire (in differita) le audizioni sulla bozza di decreto delegato Madia. Ovviamente non tutte. Mi sono soffermato soprattutto su quelle che maggiormente ci riguardano. Maria Concetta Giardina, Alfredo Ricciardi, Antonio Mezzolla, Pompeo Savarino e, dulcis in fundo (in realtà nella scaletta sta prima): Umberto Di Primio. Ho ascoltato anche qualche altro intervento (tra gli altri: il rappresentante Andigel, e Gentile della CGIL, che ha parlato a nome della Triplice, e che ha esposto severe critiche all’impianto della riforma). Ascolti interessanti.
Ho elencato i colleghi in ordine di gradimento. Il peggiore, mi spiace per lui, Pompeo Savarino, dall’eloquio sempre difficoltoso ma questa volta involuto in maniera eccessiva.
La Giardina, pasionaria style ma con grazia, sta raccogliendo giustamente grandi consensi (le ho manifestato anche il mio apprezzamento, suscitando la sorpresa non solo sua ma anche di qualche suo fido scudiero).
Onesto l’intervento di Mezzolla.
In gran spolvero, nonostante le critiche preconcette dei suoi detrattori, Alfredo Ricciardi. Freddo, preciso, analitico. Più lucido delle altre volte. Il suo limite (per me inaccettabile) è che si muove totalmente immerso nell’orizzonte valoriale della riforma, che ha concorso a scrivere (o comunque a legittimare) e che ora (come accade spesso agli apprendisti stregoni) gli sfugge di mano.
Devo dire che alla fine non è stato pessimo neppure Di Primio, che della bozza del decreto ha detto forse – al netto di una iniziale dichiarazione di principio favorevole – le cose più nette, ricorrendo all’efficace neologismo: “autonomicidio”.
Evidentemente le cose scritte nel decreto sono talmente scriteriate ed inaccettabili che chiunque ne parli non può esimersi dal rilevarvi almeno una contraddizione, un’aporia, un profilo di illegittimità; vuoi per eccesso di delega, vuoi per incostituzionalità delle singole disposizioni se non dell’intero pacchetto (delega + decreto delegato).
E allora ti ridesti da questo sonno “ecumenico” e comprendi che la trappola è ormai scattata e tutti ci siamo dentro.
Il problema non è correggere i tanti, macroscopici errori contenuti nella bozza del decreto (ammessi dalla stessa senatrice Bianconi, che ha preannunciato l’impegno per un’opera di profonda revisione del testo), quanto denunciare l’inaccettabilità del disegno complessivo.
Stranamente, su questo punto – a dispetto della dichiarazione di principio iniziale, favorevole alla “modernizzazione” che sarebbe perseguita dalla riforma - il più categorico (sia pure dal suo punto di vista particolare) mi è sembrato proprio Umberto Di Primo, il quale ha chiaramente prefigurato i rischi che sono intrinseci nel disegno del governo: il sistema locale rischia la paralisi. Scusate se è poco.