30/03/2016 - Anche il TAR Molise rimette alla Consulta la riforma dei compensi dell’Avvocatura di Stato, estendendo i parametri di rimessione rispetto all’analoga decisione del Trga Trento
tratto da segretaridellazio.blogspot.it/
Anche il TAR Molise rimette alla Consulta la riforma dei compensi dell’Avvocatura di Stato, estendendo i parametri di rimessione rispetto all’analoga decisione del Trga Trento
In un precedente post abbiamo dato notizia della rimessione da parte del Tar Trento alla Corte costituzionale la riforma dei compensi delle avvocature pubbliche (Ord. n. 138 del 10.03.2016). In quella sede abbiamo sottolineato che le condivisibili argomentazioni dei giudici trentini sono estensibili anche all'abolizione dei diritti di rogito operata dall'art. 10 del Dl. 90/2014.
Giunge ora una nuova ordinanza da parte del TAR Molise con la quale, riprendendo in parte la rimessione già disposta dal Trga Trento con la recente ordinanza 10 marzo 2016, n. 138, i giudici hanno rinviato, a propria volta, alla Consulta la riforma della disciplina dei compensi degli Avvocati dello Stato, di cui all’art. 9, d.l. 24 giugno 2014, n. 90.
Su di un primo versante, il Tar molisano ha ripreso il profilo concernente la carenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza, anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale richiamata in motivazione.
Su di un secondo e nuovo versante (rispetto a quello già esplorato dal Trga Trento), il Tar Molise ha individuato, come parametro in relazione al quale effettuare il sindacato di costituzionalità, il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., evidenziando la difforme e penalizzante disciplina cui soggiace la sola Avvocatura di Stato.
Qui il link a Tar Molise, ord., 25 marzo 2016, n. 161.
Come scritto nel post di commento dell'Ordinanza del TAR Trento n. 138/2016, le medesime argomentazioni sono applicabili anche all'abolizione dei diritti di rogito per i segretari comunali disposta con l'art. 10 del DL. 90/2014. In proposito avevo espresso forti dubbi sulla costituzionalità della norma nell'articolo Le funzioni rogatorie ed i relativi compensi a seguito del D.L. 90/2014, pubblicato sulla rivista Management locale - rivista di amministrazione, finanza e controllo, n. 5/2015. Riporto di seguito il paragrafo 7 dal titolo Problematiche di compatibilità costituzionale.
Per completezza, seppur in forma sommaria, occorre fare menzione delle forti perplessità in ordine alla costituzionalità della nuova disciplina introdotta dal D.l. 90/2014 in tema di diritti di rogito, perplessità che riguardano non solo lo strumento del decreto legge utilizzato per l’innovazione normativa, ma anche il contenuto stesso della norma.
In merito all’utilizzo dello strumento normativo prescelto, occorre ricordare come la Corte Costituzionale con sentenza n. 171/2007 abbia per la prima volta dichiarato incostituzionale una norma per vizi formali del decreto legge. La stessa Corte dal 1995 ha affermato che l’esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità, ma che tale controllo “non si sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto”. Ebbene con la sentenza 171/2007 la Corte ha dichiarato incostituzionale una norma ritenendola “intrusa”. Il giudizio di “intrusione” è derivato dal fatto che né il titolo del decreto, né il preambolo facevano intendere l’esistenza dei requisiti di necessità e d’urgenza.
Se si analizza in tale ottica il D.l. 90/2014 si può notare che lo stesso è titolato “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari” e che nel preambolo, in merito alle norme riguardanti la pubblica amministrazione, la straordinaria necessità e urgenza di emanare il decreto è tesa “a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione”. A parere di chi scrive, l’art. 10 del D.l. 90/2014 potrebbe rientrare nella categoria di “norma intrusa” in un decreto legge, in quanto essa non può essere retta e giustificata dai presupposti che sorreggono, invece, il decreto.
I dubbi in ordine alla conformità della norma alla Costituzione non sono esauriti dallo strumento utilizzato, ma riguardano il contenuto stesso dell’art. 10 del D.l. 90/2014. In tale ottica assume rilievo il fatto che nell’ordinamento esiste una norma analoga che disciplina i diritti di rogito dei segretari delle comunità montane e dei consorzi di comuni che non è stata minimamente incisa dal legislatore. Il riferimento è all’art. 8 della L. n. 93 del 23 marzo 1981, così come integrato dall’art. 7 del D.l. n. 359 del 31 agosto 1987, che prevede espressamente “Per il rogito degli atti e contratti di cui ai precedenti commi, alle comunità montane e ai consorzi di comuni spettano i diritti di segreteria nella misura del 90 per cento, mentre il rimanente 10 per cento viene versato in apposito fondo da costituire presso il Ministero dell'interno. Ai segretari roganti è attribuito il 75 per cento della quota spettante alla comunità montana e al consorzio di comuni, fino ad un massimo di un terzo della base presa in considerazione per i segretari comunali”. Non vi è chi non veda l’assoluta similitudine della norma riguardante i segretari delle comunità montane e dei consorzi di comuni che non è stata abrogata. Potrebbe, dunque, ritenersi che sussista una violazione del principio di eguaglianza in quanto l’abrogazione dei compensi relativi all’attività di rogito è riferita, in modo irragionevole ed arbitrario, solo ai segretari comunali. Peraltro, anche rispetto agli stessi segretari, la disposizione crea disparità tra coloro che svolgono una funzione che viene retribuita in modo aggiuntivo ed altri che la svolgono senza avere alcuna retribuzione aggiuntiva.
Non rimane che augurarsi che i sopra descritti dubbi siano sottoposti quanto prima, nell’ambito di un giudizio incidentale, innanzi alla Corte Costituzionale.
Per la problematica riguardante i diritti di rogito negli enti privi di dirigenza si veda il precedente post L'intenzione del legislatore travisata dalla Corte dei Conti (appunti sulla delibera della Sezione Autonomie n. 21/2015 relativa ai diritti di rogito).