17/05/2016 - Indebite pressioni del Governo per il SI al referendum
In un appello a Mattarella la denuncia di Zagrebelsky
Indebite pressioni del Governo per il SI al referendum
di Salvatore Sfrecola
L’appello, autorevolissimo, è diretto al Capo dello Stato. Lo fa Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte costituzionale, uno dei massimi costituzionalisti italiani, da sempre orientato a sinistra. Il quale, in occasione della presentazione a Torino, al Salone del Libro, del volume di Salvatore Settis,Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla, si rivolge, “con rispetto” al Presidente Mattarella affinché dica “al presidente del Consiglio che chi governa non può legare la sua sorte all’esito del referendum costituzionale”. Così attuando una forma di pressione indebita che fa comprendere quale sia il modo di intendere la democrazia da parte di Matteo Renzi.
Le ragioni dell’appello al Presidente della Repubblica sono fondatissime e muovono dalla considerazione che il referendum è “del popolo” e non “del governo”, così come del Parlamento e non del governo doveva essere la riforma costituzionale, ancorché a promuoverla fosse il partito del premier. Ed è facile tornare all’esperienza della Assemblea Costituente quando il dibattito in aula vedeva il banco del governo sistematicamente vuoto, convinti com’erano i padri costituenti e l’esecutivo che la costituzione fosse un atto proprio dell’assemblea. È accaduto il contrario con il governo Renzi, nel corso delle letture, che l’articolo 138 della Costituzione impone ad ogni modifica della Carta fondamentale, che il Premier ed il ministro delle riforme Maria Elena Boschi siano stati attori in prima linea della riforma costituzionale. Così facendo intendere che ad essa legavano le sorti del governo e della maggioranza che, sulla base del combinato disposto, come si usa dire, della riforma e della nuova legge elettorale, l’Italicum, consente al partito che vince le elezioni di conquistare quell’ampio potere, per certi versi assoluto, che discende dal premio di maggioranza con la possibilità di eleggere, senza il concorso di altre forze politiche, il Presidente della Repubblica, i giudici costituzionali e i membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura.
Quell’impegno improprio in sede di dibattito parlamentare oggi si ripropone nella campagna referendaria, nella quale il Presidente del Consiglio si spende in favore del SÌ, non come qualunque altro politico ma facendo intendere agli italiani che il voto negativo sulla riforma costituirebbe una bocciatura del governo con conseguenti sue dimissioni. Ed anche se, sul piano giuridico, questo collegamento è privo di qualunque fondamento costituzionale non c’è dubbio che l’essersi impegnato in prima persona nella riforma della Costituzione costringe oggi Renzi a prospettare in quel modo l’eventuale esito negativo della consultazione di ottobre per galvanizzare i suoi seguaci e confondere le idee degli italiani che quella riforma poco conoscono, essendo stato loro prospettato, tra l’altro, quasi solo un risparmio di spesa che all’evidenza è, in ogni caso, modesto essendo sufficiente considerare che, avendo ridotto i senatori da 315 a 100, un numero assolutamente congruo (si pensi soltanto che gli Stati Uniti d’America, con una popolazione di molto superiore alla nostra, hanno un identico numero di senatori), ha mantenuto 630 deputati, certamente eccessivi. E senza considerare che le istituzioni della Repubblica non possono essere valutate per quanto costano ma per quanto la loro presenza giova al buon andamento della democrazia. Ciò che non è assolutamente dimostrato leggendo la pasticciata riforma che ci viene proposta.
“Ci va di mezzo la democrazia”, dice infatti Zagrebelsky, spiegando come le pressioni del governo e del premier si accompagnino alla previsione di scenari drammatici in caso di sconfitta in un referendum che segue ad una campagna elettorale per il rinnovo di sindaci e consigli comunali che vede il partito democratico in forte affanno sicché, sull’onda di quei risultati, è prevedibile che l’ampio schieramento di quanti propongono di votare NO possa riservare al governo ed alla maggioranza brutte sorprese. Nonostante l’impegno di Renzi che non ha esitato, come in altri casi, a dare alla sua polemica il tratto sgradevole dell’offesa personale, come quando ha apostrofato i giuristi favorevoli al NO “archeologi travestiti da costituzionalisti”, rivolta agli stessi, tra cui proprio Gustavo Zagrebelsky, che Maria Elena Boschi, all’inizio del percorso parlamentare della riforma, aveva definito “professoroni” con evidente disprezzo, un atteggiamento che non si confà a chi riveste incarichi di governo, non dico a statisti, perché parliamo di persone modeste e di pochi studi la cui cultura giuridica è attestata in modo inequivoco dalla lettura della Gazzetta Ufficiale dove si leggono provvedimenti legislativi e amministrativi nei quali oltre al diritto assai spesso anche l’italiano è una variabile indipendente.
Tornando all’appello al Capo dello Stato non è dubbio che esso sia indirizzato a chi ha il dovere di assicurare un corretto esercizio dei diritti tra i quali indubbiamente vi è quello di esprimere il voto sulla riforma costituzionale in piena serenità e consapevolezza della scelta, senza pressioni indebite che costituiscono un vero e proprio ricatto nei confronti dei cittadini. Per cui l’appello contro “l’ideologia della rassegnazione”, come ha scritto Zagrebelsky nell’epilogo del suo bel libro “Moscacieca”, nonostante si debba constatare che oggi “negli organi di governo, nelle posizioni-chiave, siedono ormai solo uomini di fiducia dell’oligarchia finanziaria globalizzata”.
16 maggio 2016