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04/05/2016 - Dirigenti, generali, magistrati Conflitti di interessi e illecite contiguità

tratto da unsognoitaliano.it

Dirigenti, generali, magistrati

Conflitti di interessi e illecite contiguità

di Salvatore Sfrecola

 

Con l’espressione conflitto di interessi l’opinione pubblica identifica normalmente situazioni diverse, di interferenza tra interessi pubblici e privati solo parzialmente corrispondenti a quelle previste dalle leggi che tutelano il corretto esercizio di funzioni pubbliche. La gente, infatti, si preoccupa che non si verifichino situazioni anche solo potenzialmente capaci di determinare influenze negative sulla gestione delle pubbliche amministrazioni con conseguente deviazione dalle finalità istituzionali e dispendio di denaro pubblico. E si sofferma sulle vicende professionali di alcuni alti esponenti delle pubbliche Amministrazioni che destano perplessità.

Vediamo qualche esempio. Accade da molto tempo che personalità che hanno operato con funzioni di vertice nelle amministrazioni pubbliche, alti dirigenti dello Stato, delle regioni e degli enti locali, gradi elevati delle Forze Armate ed anche magistrati con importanti funzioni requirenti o giudicanti, all’atto del pensionamento, quando non si avviano verso qualche libera professione, vengano impiegati in imprese, pubbliche o private, quali amministratori o consulenti, in ragione dell’esperienza a lungo maturata negli uffici pubblici. Naturalmente ci riferiamo ad attività che vengono prestate, con funzioni di consulenza o di gestione, in strutture che operano nel settore degli appalti di opere pubbliche o di forniture di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni. Accade anche per alti gradi delle Forze Armate che hanno maturato importanti esperienze nell’approvvigionamento di materiali di carattere strategico, dagli armamenti alle infrastrutture tecnico scientifiche, i quali, dismessa l’uniforme, passino ad amministrare industrie che lavorano anche per l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica. Ovviamente in linea di principio non c’è nulla di male nel fatto che imprese del genere si avvalgano della collaborazione di esperti, particolarmente qualificati, che ben conoscono le esigenze delle Forze Armate. Il dubbio, che costituisce per il cittadino motivo di giusta preoccupazione, è che la utilizzazione di queste professionalità derivi da una contiguità con l’attività già svolta in servizio. È evidente, infatti, che se ci fosse stato un condizionamento delle amministrazioni nella scelta delle forniture attraverso una persona di riferimento nella struttura pubblica si determinerebbe una situazione di conflitto che potrebbe aver determinato scelte distorte, effettuate nell’interesse non dello Stato ma dell’impresa. Per cui il successivo passaggio al privato, come dirigente o consulente, sarebbe il frutto di un non corretto esercizio di un ruolo istituzionale, che abbia assicurato vantaggi non dovuti all’impresa dal dipendente infedele. Ciò quando non si configurasse una vera e propria ipotesi delittuosa qualificabile come corruzione.

Ugualmente per i magistrati, i quali hanno svolto attività requirente o giudicante in una certa area geografica, sarebbe assolutamente inopportuno assumere un incarico di consulenza in favore di un’autorità politica o amministrativa i cui atti potrebbero essere stati oggetto di valutazione sotto il profilo della liceità/legittimità nella veste di pubblico ministero o di giudice. Situazione imbarazzante ove si trattasse, di un magistrato di una Procura della Repubblica al quale fossero state segnalate o denunciate irregolarità di un amministratore locale dal quale poi fosse chiamato a collaborare. Ma anche di un magistrato amministrativo che abbia deciso su questioni importanti di interesse per l’ente o per un appaltatore. Lo stesso può dirsi di chi ha svolto funzioni di revisore dei conti in rappresentanza di una pubblica amministrazione vigilante il quale andasse, all’indomani del collocamento a riposo, a fare il consulente presso l’ente già vigilato.

Naturalmente queste ipotesi possono essere solamente inopportune e non necessariamente illecite. L’utilizzazione dell’ex dirigente, dell’ex generale o dell’ex magistrato può avvenire senza che ci sia stata in passato alcuna sua complicità nei confronti dell’ente o dell’impresa con la quale, da pensionato, va a collaborare

La materia è molto delicata e attiene alla libertà di esercizio di una funzione professionale che non si può negare ad un dipendente pubblico a riposo, a meno che pretenda di svolgerla presso l’amministrazione appena lasciata. Ma questa ipotesi è stata disciplinata dalla legge e precisata da una circolare del Ministro Madia.

Le legittime aspettative dell’opinione pubblica alla chiarezza ed alla trasparenza, inducono ancora una volta a tornare alla storia, ad un esempio che sovente richiamo per essere espressione di un comportamento che indica straordinaria correttezza morale e istituzionale, quello del ministro delle finanze del 1862, Quintino Sella. Chiamato all’incarico governativo ed in vista del giuramento di fedeltà al Re, Sella, si rivolge al nonno, il patriarca della famiglia, per segnalargli l’esigenza inderogabile che, da quel giorno, le imprese di famiglia si sarebbero dovute ritirare dagli appalti pubblici. Siamo in un periodo storico che costituisce il nerbo morale e politico dell’Italia risorgimentale, quando nella costituzione del nuovo Stato si impegnano personalità della politica e della cultura di elevatissimi valori morali. Quell’Italia e quegli uomini e le idee che hanno portato avanti negli anni sono espressione della cultura liberale che è l’unico patrimonio politico del nostro Paese, sopravvissuto al Fascismo e che ha permeato la primissima fase della Repubblica, rapidamente scivolata verso Tangentopoli. Oggi quelle idee, quei comportamenti sembrano lontanissimi e fanno quasi sorridere. Mentre dilaga la corruzione, della quale, come ha detto Piercamillo Davigo, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, oggi non si vergogna più nessuno, il nostro Paese sembra aver perso ogni riferimento morale, il senso della dignità della funzione che altrove è richiesta inderogabilmente per chi esercita un ruolo pubblico. Anche la nostra Costituzione richiama l’esigenza di comportamenti virtuosi, quando afferma, all’articolo 54, che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere con disciplina ed onore”. Tuttavia la sensibilità dei partiti e dei cittadini non è certamente uguale a quella che si registra in alcuni paesi, in Germania, ad esempio, dove non molto tempo fa il ministro della difesa, astro nascente del partito di maggioranza, ha sentito il dovere di dimettersi perché gli era stato contestato di aver copiato qualche pagina della sua tesi di laurea una ventina di anni prima. Immagino che a quella notizia, enfatizzata dalla stampa internazionale, molti politici di casa nostra abbiano sorriso. Chissà quanto hanno copiato, a cominciare dai banchi di scuola, laddove si dovrebbe insegnare e imparare ad essere dei cittadini rispettosi delle leggi. O come il parlamentare inglese dimessosi per aver addebitato alla moglie una contravvenzione stradale che invece atteneva ad una sua infrazione.

Con Quintino Sella siamo lontani nel tempo, giusto 154 anni dall’unità d’Italia, con gli esempi tedesco ed inglese siamo ai giorni nostri, a dimostrazione del fatto che la moralità pubblica non ha tempo. Ma in casa nostra la politica sembra non saper selezionare i migliori, quanto a professionalità ed a rigore morale. Forse perché a scuola non si insegna a diventare italiani. Lo diceva già Massimo d’Azeglio all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia: “pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani”. All’epoca poteva essere una constatazione prematura. Oggi è una realtà.

3 maggio 2016

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