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10/02/2016 - Licenziamenti disciplinari: occorrono professionalità ad hoc

tratto da La gazzetta degli enti locali del 09.02.2016

Licenziamenti disciplinari: occorrono professionalità ad hoc


di Arturo Bianco


Nel momento in cui il Governo ha adottato uno schema di decreto legislativo, attualmente all’esame del Parlamento, per rendere più facile il licenziamento dei dipendenti pubblici, alcune sentenze della Corte di Cassazione ci ricordano gli ambiti entro cui ciò è possibile. 
Si devono in particolare sottolineare le recenti pronunce che stabiliscono la legittimità della irrogazione di questa sanzione per la modifica del certificato medico in modo da allungare i giorni di malattia e che consentono di assumere il patteggiamento come presupposto per la irrogazione di questa sanzione. 
Sul terreno procedurale viene ricordato che costituisce motivo di nullità la mancata irrogazione della sanzione da parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari. 
Le indicazioni che si possono ricavare da queste pronunce sono molteplici. In primo luogo, che la irrogazione delle sanzioni disciplinari, anche quella più dura del licenziamento, è consentita nel rispetto dei vincoli e delle procedure dettate dall’ordinamento. Ed ancora, che occorre che le amministrazioni esprimano una decisa volontà in questa direzione. 
Appare quanto mai necessario, questa è la conclusione che si può trarre, che gli enti formino adeguate professionalità al proprio interno, visto che il legislatore impone il rispetto di specifici vincoli e di precise procedure e che queste costituiscono dei vincoli insuperabili, essendo posti a garanzia del dipendente. 
Non si può che tornare a sollecitare le amministrazioni, in particolare quelle di dimensione medio piccola, a costituire uffici in forma collegiale, così da potere gestire con adeguate professionalità i procedimenti disciplinari.


1. La correzione del certificato medico
Può essere licenziato un dipendente che corregge il certificato medico in modo da allungare i giorni di malattia: sono queste le indicazioni contenute nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 1351 del 26.1.2016
Preliminarmente ci viene ricordato che, “sebbene debba condividersi la tesi dell’illegittimità in via astratta di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, in base all’articolo 55 del d.lgs. 165/2001, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato e pur dovendosi qui rimarcare che la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è regola valida per tutto il diritto punitivo trasfusa per l’illecito disciplinare nell’articolo 2106 del codice civile, pure richiamato dall’articolo 55 del d.lgs. 165/2001, con conseguente possibilità per il giudice dell’annullamento della sanzione eccessiva, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo in definitiva possibile introdurre con legge o contratto sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari”.
Nel merito la sentenza evidenzia che la correzione/falsificazione del certificato medico è da ritenere come una condotta dolosa e costituisce pertanto un “comportamento fraudolento tale da minare la fiducia del datore di lavoro sui futuri adempimenti”. Il che giustifica la irrogazione della sanzione del licenziamento.
Nel caso specifico è presente la cd “giusta causa” per il licenziamento. Essa “costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato”. Infine, “la massima sanzione è tipizzata dalla legge (art. 55-quater) e ciò non di meno anche tale previsione è sindacabile alla luce del principio di civiltà giuridica del canone di proporzionalità della sanzione”.


2. Il patteggiamento
La sanzione del licenziamento può essere irrogata sulla base di una sentenza di patteggiamento, ci ricorda lapronuncia della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 24828 del 9.12.2015. I cd patteggiamenti “hanno efficacia di giudicato nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento del fatto, alla sua illeicità penale e all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.. la sentenza di applicazione di pena patteggiata, a prescindere dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, presuppone pur sempre un’ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall’onere di verifica sul punto”. Quindi non è necessario lo svolgimento di una specifica attività istruttoria.
Le sentenze di patteggiamento possono inoltre costituire la base per la irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento nel caso in cui il legislatore non richiede che sia necessario dimostrare la lesione del rapporto di fiducia con il lavoratore. Ci viene ricordato che tale sanzione può essere irrogata una volta che siano stati accertati i seguenti fattori: “l’intensità dell’elemento intenzionale, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate al lavoratore, il numero e la gravità delle condotte, la proporzionalità dalla sanzione espulsiva adottata”.


3. L’ufficio competente
Il licenziamento deve essere irrogato dall’ufficio per i procedimenti disciplinari. Ce lo ricorda la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 24731 del 4.12.2015.
Essa stabilisce il seguente principio di diritto: “anche le Camere di commercio, al pari delle altre Amministrazioni pubbliche, devono individuare l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, in tal modo dovendosi coordinare la disciplina prevista dalla legge n. 580 del 1993 con il disposto generale di cui all' art. 59, comma 4, d.lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell' art. 55, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001. Pertanto, il procedimento disciplinare per l'irrogazione di un licenziamento instaurato e gestito dalla giunta camerale è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, risolvendosi in una violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza, senza che possa portare ad un diverso risultato l'art. 14, comma 5, della legge n. 580 del 1993 (nel testo antecedente la modifiche di cui al d.lgs. n. 23 del 2010, applicabile nella specie ratione temporis), trattandosi di norma si carattere recessivo rispetto all'art. 19, comma 1, della stessa legge n. 580 cit., il quale, con rinvio recettizio, stabilisce che al personale delle Camere di commercio si applicano le disposizioni previste dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29” (oggi d.lgs. n. 165/2001).
La sentenza chiarisce che “nel pubblico impiego privatizzato tutte le fasi del procedimento disciplinare devono essere svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l'organo competente all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, risolvendosi in una violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza”.
La citata della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 24828 del 9.12.2015 chiarisce inoltre l’ufficio per i procedimenti disciplinari deve avere una posizione di “sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente”. Occorre “evitare che la cognizione disciplinare avvenga nell’ambito dell’ufficio di appartenenza del lavoratore, ossia in un luogo dove lo stesso dirigente dell’ufficio ha un coinvolgimento diretto con l’autore dell’infrazione disciplinare”. Esso può essere validamente costituito in forma monocratica. E, soprattutto nel caso in cui sia costituito da un dirigente generale, appare legittima la delega ad un dirigente dello svolgimento della attività istruttoria, ivi compresa l’audizione del dipendente.


4. Il personale distaccato
La citata sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 24828 del 9.12.2015 chiarisce che, sulla base delle previsioni del d.lgs. 165/2001, articolo 55-bis“anche per i lavoratori in posizione di distacco, il procedimento disciplinare viene attivato dal responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora. Qualora il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili più gravi”la competenza spetta all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. 
La scelta legislativa “di individuare il soggetto o l’ufficio competente in materia di procedimento disciplinare attraverso il parametro costituito dal luogo in cui il lavoratore effettivamente presta la propria attività lavorativa”costituisce una scelta “assolutamente logica e coerente con i principi di buona amministrazione e di garanzia del diritto di difesa”.

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