15/04/2016 - La nuova costituzione Una riforma pasticciata e vi spiego come
La nuova costituzione
Una riforma pasticciata e vi spiego come
di Salvatore Sfrecola
La Costituzione è la legge fondamentale di uno Stato, lo “costituisce” e definisce le regole della democrazia, i diritti fondamentali delle persone e delle formazioni sociali, l’equilibrio dei poteri, il rapporto tra le istituzioni. La Costituzione rappresenta l'identità politica di un popolo. E’ così, sempre e dovunque. Per questo nel 1947 (entrerà in vigore nel 1948) i Costituenti l’approvarono quasi all’unanimità, raggiungendo, con grande saggezza, un non facile equilibrio tra culture politiche molto distanti, la liberale, la cattolica, la comunista, ma nella convinzione che quelle regole fossero un bene per tutti.
Quella Costituzione ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo democratico e sociale del nostro Paese. Ed è stata fatta per durare, come accade in tutti i paesi occidentali, fino a quando il popolo non decide di modificarla poco o tanto. Modifiche che avvengono sempre con ampie maggioranze, come ha previsto anche l’attuale Costituzione italiana che all’art. 138 ha stabilito una procedura, cosiddetta “aggravata”, che prevede plurime letture delle Camere. Infatti la nostra è una Costituzione definita “rigida”, come ha voluto l’Assemblea costituente sulla base dell’esperienza negativa del precedente ordinamento: infatti lo Statuto Albertino, la Costituzione liberale che ha retto l’Italia dalla fondazione del Regno unitario all’avvento della Repubblica era una costituzione flessibile, cioè modificabile da una semplice maggioranza parlamentare. È andata bene finché si sono alternate maggioranze liberali. Ma con l’avvento del Fascismo quella Costituzione è stata impunemente e ripetutamente violata.
Ebbene, la riforma voluta dal duo Renzi-Boschi è stata approvata con quello che può definirsi “un colpo di mano”, il voto di una minoranza che, grazie ad una sovrarappresentazione parlamentare assicurata da una legge elettorale dichiarata (anche per questo motivo) illegittima dalla Corte costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta. Una simile maggioranza non avrebbe dovuto avere l’improntitudine di cambiare i connotati fondamentali della Costituzione. È un dato non solo formale. Ma la cosa non ha fatto alcun effetto a Matteo Renzi sfruttando la disattenzione di molti italiani per i principi di diritto e le regole della democrazia.
Non solo. Il metodo utilizzato nel processo di riforma per riscrivere la Carta di tutti ha seguito molteplici forzature nel corso del dibattito parlamentare, giungendo al voto finale con una maggioranza racimolata e occasionale, legata da interessi di bottega e prevaricando le garanzie e le prerogative riconosciute all’opposizione. Che, infatti, ha abbandonato l’aula in occasione della votazione finale. E ricordiamo che il rispetto per l’opposizione è un connotato fondamentale della democrazia parlamentare, come dimostra il Regno Unito, dove il premier consulta sistematicamente il capo dell’opposizione che, infatti, costituisce il cosiddetto “governo ombra”.
Alla mancanza di legittimazione della riforma in atto non potrà sopperire nemmeno il referendum, ove ad ottobre prevalessero i “si”. Il vizio di fondo, infatti, resta. Il voto di un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale incostituzionale è una lesione grave della democrazia. Ci auguriamo che i cittadini capiscano che questa riforma è un imbroglio, perché non farà funzionare meglio lo Stato, non garantirà più democrazia, non ridurrà i costi della politica (basti pensare che avendo, giustamente, ridotto i senatori da 315 a 100, ha lasciato 630 deputati). Il che appare assurdo ed evidenzia la volontà di questa “maggioranza”, il cui unico scopo è far durare questo Governo, di occupare soprattutto il potere, come dimostra l’intento di attuare un plebiscito sulla politica del premier. Una politica, ormai lo hanno compreso gli italiani che leggono i giornali, di furbesche, periodiche regalie (gli 80 euro ne sono un esempio) i cui effetti l’abile comunicatore enfatizza tra slogan, mezze verità ed autentiche bugie.
L’augurio è che gli italiani non stiano al gioco, non si facciano confondere le idee da improvvisazioni che non hanno nessun effetto duraturo. Lo dimostra la flessione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato una volta diminuiti gli incentivi ai datori di lavoro. E quando cesseranno del tutto?
È certo che la Costituzione aveva bisogno di essere ritoccata su alcuni aspetti, come si chiede da più parti da decenni, dai politici e dai tecnici più avveduti. Ma questa riforma è eversiva, non migliorativa, dell’assetto costituzionale. Trasforma una repubblica parlamentare, dove il potere è esercitato dal popolo attraverso i suoi rappresentanti eletti, in una repubblica i cui poteri confluiscono nell’esecutivo, come dimostra l’esperienza del governo Renzi che più di ogni altro è ricorso al voto di fiducia impedendo la libera espressione della volontà del Parlamento. Lo ha fatto nonostante l’ampia maggioranza. È stata una prova di quello che ci attenderà se la riforma entrerà in vigore.
Infatti la riforma costituzionale collegata alla riforma elettorale, il cosiddettoItalicum (perché mai si usa la nobile lingua del diritto per una riforma antidemocratica?), travolge i principi della repubblica parlamentare. L’“Italicum”, infatti, aggiunge, all’azzeramento della rappresentatività del Senato, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera - che può decidere senza difficoltà in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali - nelle mani del leader del partito vincente (anche con pochi voti) nella competizione elettorale.
Contemporaneamente saltano i pesi e i contrappesi che caratterizzano l’attuale ordinamento costituzionale creando una sorta di “Premierato assoluto” che assicura al Governo un potere senza precedenti che si esprimerà nell’elezione del Capo dello Stato, dei componenti della Corte costituzionale, e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il Senato viene modificato sulla base dell’idea di dover superare il bicameralismo “perfetto” o “paritario” (due Camere con identici poteri). Si poteva procedere in vari modi. Molte sono state nel tempo le proposte di riforma. Nessuna come quella scelta dal duo Renzi-Boschi.
La scusa, la lentezza della procedura legislativa per il doppio esame è una balla. L’esperienza dimostra che quando i disegni di legge sono rimasti troppo a lungo tra Camera e Senato è stato perché non vi era la volontà politica di approvarli. Perché quando si è voluto in pochi giorni le leggi sono state varate. Il Senato lo ha dimostrato in un rapporto dati alla mano. E poi quante volte sono stati corretti nella seconda lettura gli errori di una camera? Proprio in occasione della approvazione della legge sulla scuola, il relatore, al quale in un dibattito televisivo si faceva osservare un errore, ha risposto “lo correggiamo alla Camera”.
Anche il risparmio è una balla. I neosenatori consiglieri regionali avranno certamente una diaria e il pagamento delle spese di missione per la permanenza a Roma. E una segreteria. Sarebbe assurdo che non fosse così.
Le funzioni attribuite al nuovo Senato sono ambigue e il modo di elezione dei nuovi senatori è totalmente confuso, prevedendo che siano rappresentati enti territoriali (regioni e comuni) con funzioni molto diverse. Non potrà funzionare.
Anche il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni, voluto dalle sinistre nel 2001 con una maggioranza di soli tre voti, che ha avuto gli effetti deleteri sui rapporti Stato-Regioni, e che adesso si vorrebbero sanare, non porterà affatto alla diminuzione dell’attuale pesante contenzioso costituzionale. Probabilmente anzi lo aumenterà. L’elenco di ciò che spetta allo Stato o alle Regioni, è infatti largamente impreciso ed incompleto. Non è vero, ad esempio, che la competenza concorrente è stata eliminata: in molte materie, come nel “governo del territorio” rimane una concorrenza tra “norme generali e comuni” statali e leggi regionali. Inoltre, a causa dei poteri legislativi del nuovo Senato configurati in maniera confusa, nasceranno inevitabilmente ulteriori conflitti di legittimità costituzionale.
Inoltre la stessa riforma del Titolo V della Costituzione torna ad accentrare nello Stato materie che in atto sono assegnate alle Regioni. Da un eccesso all’altro. Senza esperienza e con scarsa cultura giuridica, e nella fiducia di arraffare tutto il potere in conseguenza dell’Italicum, Renzi ha voluto un centralismo che non è funzionale all’efficienza del sistema. Determinerà un aumento della spesa statale e di quelle regionale e degli enti locali, specie per il personale.
È una grave lesione del pluralismo istituzionale e la negazione del principio, di derivazione europea e prima ancora proprio della cultura cattolica, della sussidiarietà. Alle parole non seguono i fatti. L’intento dichiarato di dar vita ad una più efficiente Repubblica delle autonomie è clamorosamente smentito dal farraginoso procedimento legislativo e da un rapporto Stato-Regioni che non valorizza per nulla il principio di responsabilità e determina solo un inefficiente e costoso neo-centralismo.
È stato anche osservato che lo Stato, attraverso la clausola di supremazia (una vera e propria clausola “vampiro”, come è stata definita), potrebbe riaccentrare qualunque competenza regionale anche in Regioni che si sono dimostrate più virtuose e responsabili dello Stato stesso, contraddicendo tanto l’efficienza quanto il fondamentale principio autonomistico sancito all’articolo 5 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”.
Torneremo sui vari aspetti della “riforma” perché gli italiani sappiano che dietro gli slogan del giovanotto di Rignano sull’Arno non c’è una solida idea di costituzione ma solamente la volontà strumentale di conquistare e tenere il potere.
14 aprile 2016