31/08/2016 - mobbing contro un segretario comunale
Atteggiamento intollerante ed aggressivo del vertice politico nei confronti del segretario comunale ha integrato gli estremi del mobbing
"L’atteggiamento intollerante ed aggressivo nei confronti della F. tenuto dal vertice politico del Comune sfociò nella revoca delle funzioni operata dal Sindaco, su sollecitazione della Giunta, con procedimento viziato da illegittimità per violazione del principio del contraddittorio (non essendo stata la Segretaria comunale messa in condizione di controdedurre alle contestazioni che le erano state mosse, rivelatesi peraltro del tutto inconsistenti). La revoca venne sospesa in sede cautelare dal giudice del lavoro di Nuoro su ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalla F., con ordinanza del 18 marzo 2004, alla quale peraltro venne data esecuzione, con provvedimento del Sindaco di reintegra dell’interessata nelle sue funzioni di Segretario comunale, solo il 29 giugno 2004 (a dimostrazione del fatto che l’atteggiamento ostile nei confronti della F. proseguì anche dopo l’adozione del provvedimento cautelare).
La F. venne persino denunciata penalmente dall’Assessore F. per truffa ai danni dell’ente, con l’accusa di aver ottenuto con artifizi e raggiri la corresponsione di emolumenti non spettanti (il procedimento fu poi archiviato per infondatezza dell’ipotesi accusatoria).
L’insieme dei fatti descritti, la cui veridicità non è stata contestata dai convenuti nel presente giudizio, ha sicuramente determinato un’attività persecutoria rivolta alla persona della Segretaria F., che, per le sue caratteristiche, ha integrato gli estremi del mobbing, come riconosciuto dal giudice civile."
Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna 26/7/2016 n. 174
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEICONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE SARDEGNA
composta dai magistrati Cristina ASTRALDI Presidente
A. Marco CANU Consigliere relatore
Elisabetta LOCCI Consigliere
pronuncia la seguente
SENTENZA
sul giudizio di responsabilità instaurato ad istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna nei confronti di:
B. A., nato il 1° novembre 1947 a Ollolai, codice fiscale BSSNTN47S01G044O;
B. S., nato il 6 aprile 1969 a Ollolai, codice fiscale BSSSDR69D06G044I;
Z. A., nato il 4 aprile 1950 a Ollolai, codice fiscale ZDDNTN50D04G044S;
F. G., nato il 15 novembre 1953 a Ollolai, codice fiscale FRAGNN53S15G044C
tutti rappresentati e difesi dall’avvocato L. P. (PEC: lorenzopalermo@pec.it).
Visto l’atto di citazione del 04/11/2015, iscritto al n. 23529 del registro di Segreteria, e tutti gli atti della causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 7 luglio 2016, il relatore Consigliere A. M. C., l’avvocato L. P. per i convenuti e il Pubblico Ministero nella persona del Vice procuratore generale Gaetano BERRETTA.
MOTIVI DELLA DECISIONE
FATTO
Il Procuratore regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la Sardegna ha promosso azione di responsabilità nei confronti dei signori B. A., B. S., Z. A. e F. G. per il risarcimento di un danno di euro 68.424,03 provocato al Comune di Ollolai.
Il danno corrisponde alla somma pagata dal Comune di Ollolai per effetto della sentenza del Tribunale Civile di Nuoro - Sezione Lavoro - n. 114/10, depositata in data 03 maggio 2010, con la quale è stata accolta la domanda proposta dalla dott.ssa A. F., Segretario comunale di Ollolai, di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto di attività persecutorie (mobbing) di cui la stessa è stata destinataria.
In sintesi, il Procuratore regionale espone che alla dott.ssa F. è stato revocato l’incarico di Segretario comunale del Comune di Ollolai con un provvedimento del Sindaco B. A., adottato previa deliberazione della Giunta comunale, la cui illegittimità, per aspetti procedurali e sostanziali, è emersa nel corso del processo civile, da cui è risultato altresì che l’atto in questione è stato il culmine di una condotta persecutoria nei confronti della F., che è proseguita anche dopo che quest’ultima aveva ottenuto un provvedimento cautelare dal giudice del lavoro che aveva imposto al Comune di reintegrarla nell’incarico di Segretario comunale.
Tale condotta ha avuto inizio successivamente al rientro al lavoro della F. (primi mesi del 2003) dopo un lungo periodo di assenza per maternità quando, secondo quanto riferito dall’interessata, era diventata oggetto di continui attacchi, censure e umilianti richiami da parte di diversi soggetti all’interno dell’amministrazione dell’ente.
La ricorrente ricordava, in particolare, la lettera a firma dell’assessore F., in data 31 ottobre 2003, nella quale le veniva contestata una serie di episodi e di comportamenti del tutto infondati e veniva invitata, al termine della missiva, a timbrare il cartellino delle presenze, addirittura quelli relativi agli anni precedenti, e a provvedere all’apertura della posta.
Il Comune di Ollolai, pur ritualmente citato, rimaneva contumace.
Il Tribunale, ritenuto fondato il ricorso, disponeva la definitiva reintegra della dott.ssa F. nella funzione di Segretario comunale e condannava l’ente locale a risarcire il danno patrimoniale dalla stessa subito nell’importo di euro 5.442,81 oltre interessi, nonché a corrispondere alla medesima la somma di euro 55.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito, con rivalutazione e interessi oltre al pagamento delle spese di lite quantificate in complessivi euro 4.600,00, e alle spese per la consulenza tecnica d’ufficio.
All’esito del giudizio di primo grado il Comune acquisiva il parere legale dell’avv. Roberto CORRIAS in merito all’opportunità o meno di formulare atto d’appello avverso la sentenza 114/2010.
Il predetto parere sconsigliava di proporre gravame. L’ente locale procedeva quindi al pagamento del debito, nella complessiva somma di euro 68.424,03, con mandato n. 1370 del 28 settembre 2010.
Ritenendo responsabili di tale danno il Sindaco B. A. e gli altri componenti della Giunta all’epoca in carica, il Procuratore regionale ha loro notificato l’invito a dedurre.
Tutti i presunti responsabili hanno presentato le proprie controdeduzioni per mezzo dell’Avv. L. P..
Le argomentazioni prospettate in deduzioni non sono però apparse idonee ad escludere la responsabilità contestata.
Secondo il Procuratore regionale sarebbe dimostrato, sulla base delle prove esaminate nel corso del processo civile, che la signora F. sia stata oggetto di una reiterata condotta vessatoria dapprima da parte dell’Assessore al Personale G. F. e, successivamente, anche da parte dell’intera Giunta oltre che dal Sindaco.
Peraltro, il Comune, non costituendosi in giudizio, non ha proposto letture alternative della documentazione prodotta dalla ricorrente e le mancanze a lei addebitate dall’Amministrazione sono rimaste del tutto indimostrate. Inoltre, l’assenza di elementi idonei a contrastare l’assunto della dott.ssa F. è ulteriormente comprovata dalla decisione dell’ente locale di non proporre appello avverso la sentenza che lo ha visto soccombente, assunta previa acquisizione di un motivato parere richiesto al legale di fiducia, che ha sconsigliato la proposizione del gravame non sussistendo la possibilità di un esito favorevole per il comune.
La condanna pronunciata a carico dell’amministrazione comunale sarebbe quindi la conseguenza delle condotte reiteratamente poste in essere dal Sindaco, dall’assessore F. e dagli altri componenti la Giunta municipale di Ollolai. Tali comportamenti, macroscopicamente contrari al corretto esercizio della funzione, nonché alla normativa di riferimento, depongono, ad avviso dell’attore, per la sussistenza della responsabilità erariale in capo ai suddetti amministratori.
Gli argomenti portati da costoro in sede di deduzioni all’invito sono riferiti esclusivamente ad aspetti di rito e di quantificazione del danno risarcibile, peraltro anche infondati, mentre non sono stati indicati fatti o circostanze idonei ad intaccare, nel merito, la ricostruzione effettuata dal Giudice del lavoro e le conclusioni cui lo stesso è pervenuto in ordine alla sussistenza di comportamenti integranti la fattispecie di mobbing.
La natura delle violazioni poste in essere dagli amministratori, la reiterazione e il protrarsi nel tempo delle condotte discriminatorie si configurano quali indicatori univoci ai fini della configurazione della colpa grave in capo ai predetti, che devono rispondere del nocumento patrimoniale arrecato all’ente, ad esclusione del Signor SORO Gesuino Angelo, anch’egli già componente della Giunta, ma deceduto in Ollolai in data 15 aprile 2013.
Tutti i convenuti si sono costituiti in giudizio a ministero dell’avvocato L. P., il quale, con comparsa di costituzione, ha formulato le seguenti conclusioni:
A. che sia ritenuta la mancanza di responsabilità dei convenuti e che per l’effetto sia respinta ogni domanda relativa. In subordine che sia ritenuta responsabilità per somma assai minore.
B. In subordine che per qualsiasi danno ritenuto (sempre da diminuirsi), siano considerati responsabili esclusivamente la Giunta ed i Consiglieri comunali che deliberarono, votando a favore della delibera n. 25 del 2010, il riconoscimento del debito derivante dalla sentenza n. 114/2010; subordinatamente che sia ritenuta la loro corresponsabilità con i convenuti per la quota derivante dalla rispettiva responsabilità.
C. Sempre [in via subordinata], che sia ritenuta la responsabilità dei funzionari e/o amministratori che deliberarono di non impugnare la sentenza n. 114/2010 del Tribunale di Nuoro.
D. Ogni consequenziale attività e decisione di giustizia, favorevole ai convenuti.
In via subordinata rispetto alla domanda di assoluzione piena: si chiede ordinarsi che la Procura svolga ulteriori accertamenti nel senso indicato dalla difesa, e cioè:
1. accertando presso il Comune di Ollolai la assoluta mancanza di comunicazioni fra la Segreteria comunale e la Giunta in relazione alla notifica del ricorso in riassunzione, avvenuta nel 2004;
2. ulteriormente accertando quali attività istruttorie hanno o non hanno assistito la delibera C.C. n° 25 del 11.08.2010 di riconoscimento del debito; in particolare accertando l’esistenza o meno di un precedente atto decisionale volto a non impugnare la sentenza n. 114/2010 del Tribunale di Nuoro, con accertamenti in ordine alla istruttoria ad esso relativa.
In sintesi, la difesa deduce:
a. Mancata costituzione del Comune davanti al Giudice del lavoro: i convenuti non hanno alcuna responsabilità in proposito, non avendo mai avuto contezza, conoscenza o anche solo sospetto della pendenza della causa in questione (a causa della probabilmente fraudolenta mancata comunicazione al Sindaco o al difensore, nominato nella fase cautelare, della notifica della citazione, peraltro nulla);
b. Mancato appello: i convenuti non erano in carica al tempo della decisione di non impugnare; si è trattato della vera attività causativa di danno, per i motivi esplicitati in comparsa;
c. Infondatezza ed erroneità della sentenza: la sentenza è stata emessa in causa introdotta irregolarmente (nullità della notifica) ed è comunque infondata per lo meno nelle parti del calcolo del danno, liquidato secondo criteri inesatti e illegittimi, comunque esagerati;
d. insufficienza ed erroneità dei parere legale di non impugnare; per plausibile mancata comunicazione, all’avvocato redigente, di elementi essenziali, e per mancata ponderazione degli altri elementi che avrebbero consigliato l’impugnazione (quali la giurisprudenza della Corte d’Appello, la facoltà di chiedere la sospensione, ecc.).
In via prudenziale, è stata eccepita la prescrizione.
Nell’udienza del 7 luglio 2016, entrambe le parti hanno integralmente confermato le rispettive conclusioni. Il Pubblico ministero si è opposto all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione (il pagamento della somma che costituisce il danno risulta effettuato con mandato emesso nel settembre del 2010) e delle richieste istruttorie formulate dalla difesa.
DIRITTO
L’eccezione di prescrizione formulata dalla difesa dei convenuti deve essere rigettata.
Nel caso in esame si verte in un’ipotesi di cd. danno indiretto.
Le Sezioni riunite di questa Corte, componendo un contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno stabilito che, in casi siffatti, la prescrizione decorre dalla data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato (sentenza n. 14/2011/QM del 5 settembre 2011).
Il mandato di pagamento in favore della dott.ssa A. F., relativo alle somme ad essa spettanti in esecuzione della sentenza del Tribunale di Nuoro n. 114/2010, risulta emesso in data 28/09/2010 (v. fgl. 43 della documentazione depositata dal Procuratore regionale).
L’invito a dedurre, contenente espressa intimazione al pagamento delle somme richieste nel presente giudizio e perciò idoneo ad interrompere la prescrizione (secondo il principio enunciato dalle Sezioni riunite nella sentenza n. 14/2000/QM del 20 dicembre 2000), risulta notificato a tutti i presunti responsabili entro il quinquennio decorrente dalla suddetta data.
L’eccezione è quindi infondata.
Sempre in via preliminare, deve escludersi la necessità di svolgere attività istruttoria, come richiesto dalla difesa dei convenuti, da ritenere superflua, come sarà esplicitato nella motivazione della decisione.
Nel merito, il danno di cui si discute consiste nelle somme pagate dal Comune di Ollolai alla dott.ssa A. F. a titolo di risarcimento dei danni subiti per un mobbing a cui fu sottoposta nel periodo in cui era Segretaria comunale dell’ente.
La prova di tale mobbing, che costituisce il fatto posto a fondamento della domanda attrice, è stata data dal Procuratore regionale mediante la produzione di copia del fascicolo processuale della causa civile intrapresa dalla F. nei confronti del Comune di Ollolai (v. allegato n. 4 all’atto di citazione, fgl. 47-296 della documentazione depositata dal Procuratore regionale).
In punto di diritto, la prova in questione è del tutto ammissibile, in linea con il pacifico orientamento della Corte di cassazione.
E’ opinione ormai consolidata, infatti, che il giudice, stante l’inesistenza, nel nostro ordinamento, di una gerarchia delle prove, ed essendo la valutazione di queste rimessa al suo prudente apprezzamento, possa utilizzare, come fonte del proprio convincimento, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o altre parti, esaminandone direttamente il contenuto ovvero ricavandolo dalla sentenza o dagli atti del diverso processo e effettuando la relativa valutazione con ampio potere discrezionale, senza essere vincolato dalla valutazione che ne abbia fatto l’altro giudice (Corte di cassazione, sentenza n. 6347 del 16/05/2000).
Dalla lettura degli atti del processo civile depositati dal Procuratore regionale e, in particolare, dalla sentenza del Tribunale si evince quanto segue.
La dott.ssa F. era Segreteria comunale del Comune di Ollolai.
Nei primi mesi del 2003 rientrò al lavoro dopo un’assenza dovuta alla maternità.
Sin da subito, la F. entrò in contrasto con l’Assessore al personale G. F. che, durante la sua assenza, aveva dato impulso ad una progressione di carriera di due dipendenti comunali, alla quale la F. si era opposta motivatamente, rilevandone l’illegittimità.
Di tale situazione conflittuale venne dato atto dalla stessa Giunta comunale che, con delibera dell’8 settembre 2003, dispose di affidare ad un legale del libero foro la difesa dell’Assessore F. nel procedimento penale instaurato a seguito di una denuncia penale presentata dalla F. nei suoi confronti per il reato di abuso d’ufficio.
In tale atto si affermava espressamente che da tempo si era creato un rapporto conflittuale tra la Segretaria comunale e l’Assessore F. che aveva generato un clima di sfiducia tale da far venir meno le condizioni per un lavoro sereno dell’intera Giunta.
Con una nota del 31 ottobre 2003 l’Assessore F. mosse alla Segretaria comunale una serie di contestazioni relative ad una sua presunta inottemperanza a direttive impartite oralmente qualche mese addietro (relative alla concessione di un contributo alla Compagnia barracellare) e al mancato rispetto dell’orario di servizio (ragion per cui le venne intimato di consegnare il cartellino delle presenze anche degli anni precedenti). La stessa venne altresì invitata a provvedere all’apertura della posta giornaliera.
Con la stessa nota, la F. venne inoltre rimproverata per “il continuo e defatigante scaricabarile senza la ricerca delle soluzioni per il raggiungimento dei previsti obiettivi, poca o nessuna attenzione al lavoro di gruppo ed infine compartimentazione assoluta senza alcuna possibilità di dialogo con gli altri responsabili”.
Tutti i componenti della Giunta, con una nota del 29 ottobre 2003, si rivolsero all’Agenzia dei segretari comunali per sollecitarla a collocare la F. presso un altro Comune, denunciandone gravi comportamenti. Gli stessi componenti della Giunta arrivarono al punto di rifiutare di convocarsi alla presenza della Segretaria comunale.
Come è evidente, la situazione conflittuale tra la Segretaria comunale e l’Assessore al personale, che in origine poteva anche essere dovuta a fisiologiche diversità di opinioni circa la legittimità di alcuni atti amministrativi, è degenerata in un’aspra contrapposizione tra tutti i componenti della Giunta (ivi compreso il Sindaco, che, pur interessato dalla F. circa la situazione che si era venuta a creare, aveva condiviso la posizione dei propri colleghi) e la Segretaria comunale, sulla quale vennero fatte ricadere tutte le responsabilità al riguardo. Nei suoi confronti vennero quindi prese le iniziative descritte, caratterizzate da evidenti illegittimità e da un intento vessatorio.
Come sottolineato nella sentenza del tribunale, l’Assessore al personale non aveva titolo per sindacare sotto l’aspetto disciplinare l’attività del Segretario comunale, stante il fatto che quest’ultimo è in rapporto fiduciario esclusivo con il Sindaco, e anche dal punto di vista del contenuto le censure da lui mosse si sono rivelate infondate o generiche. Altrettanto illegittima è da ritenere sia stata la richiesta dei componenti della Giunta all’Agenzia dei Segretari comunali, la quale, infatti, fece presente di non poter darvi corso.
L’atteggiamento intollerante ed aggressivo nei confronti della F. tenuto dal vertice politico del Comune sfociò nella revoca delle funzioni operata dal Sindaco, su sollecitazione della Giunta, con procedimento viziato da illegittimità per violazione del principio del contraddittorio (non essendo stata la Segretaria comunale messa in condizione di controdedurre alle contestazioni che le erano state mosse, rivelatesi peraltro del tutto inconsistenti). La revoca venne sospesa in sede cautelare dal giudice del lavoro di Nuoro su ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalla F., con ordinanza del 18 marzo 2004, alla quale peraltro venne data esecuzione, con provvedimento del Sindaco di reintegra dell’interessata nelle sue funzioni di Segretario comunale, solo il 29 giugno 2004 (a dimostrazione del fatto che l’atteggiamento ostile nei confronti della F. proseguì anche dopo l’adozione del provvedimento cautelare).
La F. venne persino denunciata penalmente dall’Assessore F. per truffa ai danni dell’ente, con l’accusa di aver ottenuto con artifizi e raggiri la corresponsione di emolumenti non spettanti (il procedimento fu poi archiviato per infondatezza dell’ipotesi accusatoria).
L’insieme dei fatti descritti, la cui veridicità non è stata contestata dai convenuti nel presente giudizio, ha sicuramente determinato un’attività persecutoria rivolta alla persona della Segretaria F., che, per le sue caratteristiche, ha integrato gli estremi del mobbing, come riconosciuto dal giudice civile.
Sebbene il mobbing non sia disciplinato normativamente, vi è però ormai consolidato consenso sulla sua morfologia. Secondo Corte di cassazione, Sez. L, sentenza n. 17698 del 06/08/2014, “ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi”.
Si è detto come la F. sia stata vittima di plurime condotte vessatorie, le quali si sono protratte per un significativo arco di tempo.
Nessun dubbio vi è sulle conseguenze lesive della salute derivate da tali condotte, accertate dal giudice civile mediante consulenza tecnica d’ufficio, così come sull’intento persecutorio che ha animato il comportamento di tutti i componenti della Giunta municipale.
La difesa dei convenuti non ha contraddetto tale ricostruzione dei fatti, ma ha cercato di supportare la tesi che il danno sopportato dal Comune sia stato dovuto a fattori causali diversi, non dipendenti dal comportamento dei convenuti.
Costoro erano in carica nel momento in cui venne notificato al Comune (irritualmente, si afferma) l’atto di citazione introduttivo del giudizio, ma essi lo avrebbero ignorato, in quanto l’atto non venne loro segnalato per disfunzioni dell’apparato amministrativo o, peggio ancora, per il preciso intento, attribuito allo stesso (ormai governato, si dice, dalla dott.ssa F.), di mantenerli all’oscuro.
Se il Sindaco e i componenti della Giunta avessero avuto conoscenza della domanda risarcitoria proposta dalla F. nei confronti del Comune, non avrebbero esitato ad avvisare il legale già nominato per la difesa dell’Ente nella fase cautelare affinché si costituisse anche nel giudizio di merito per rappresentare le ragioni del Comune, sia per profili processuali che sostanziali, così evitandone la soccombenza o, quanto meno, scongiurando la possibilità che venisse accordato alla F. un risarcimento palesemente eccessivo rispetto a quello ad essa spettante.
In sostanza, il pregiudizio subito ingiustamente dal Comune sarebbe stato dovuto a tale mancata costituzione (anche tardiva, eventualmente), così come alla successiva decisione di non proporre appello avverso la sentenza di primo grado, assunta in maniera poco trasparente (non risultando essere mai stata formalizzata con apposita delibera) dalla Giunta subentrata a quella composta dai convenuti.
Si rileva anche che la successiva delibera del Consiglio comunale di riconoscimento del debito scaturente dalla sentenza del Tribunale (delibera alla quale viene, in definitiva, ricondotto il danno subito dal Comune) non fa alcun riferimento al parere negativo dell’avvocato incaricato di esprimersi al riguardo (parere che, peraltro, sarebbe da considerare erroneo per le ragioni che sono illustrate nella comparsa difensiva).
Sul piano del nesso causale, è da ricordare che, secondo la norma dettata dall’art. 41 c.p., “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.
Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento”.
Ai fatti indicati dalla difesa potrebbe, in via ipotetica, essere assegnato un ruolo concausale nella produzione del danno, che non esclude però la rilevanza causale della condotta dei convenuti.
In realtà, però, nel caso specifico, anche tale più limitata incidenza causale è da escludere.
La difesa ha obiettato che la notifica dell’atto introduttivo del giudizio sarebbe stata viziata da nullità, in quanto eseguita direttamente al Comune, mentre avrebbe dovuto essere effettuata presso l’avvocato difensore nominato dall’Ente nella precedente fase cautelare, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., in quanto la procura alle liti era stata conferita per ogni fase e grado del processo. Anche solo per tale ragione, si sostiene, l’impugnazione della sentenza di primo grado sarebbe stata sicuramente accolta.
La disposizione richiamata prevede che “dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti”. Deve però ritenersi che la norma faccia riferimento alle costituzioni avvenute in ogni specifica fase del giudizio e non in altre fasi.
E’ da escludersi quindi che valesse come costituzione nel giudizio di merito la precedente costituzione del Comune nella fase cautelare, e che perciò la notifica dell’atto di citazione dovesse farsi presso il procuratore del Comune ivi nominato. Può al massimo ritenersi che detta procura, conferita anche per altre fasi del giudizio, estendesse la contemporanea elezione di domicilio anche al successivo giudizio di merito, consentendo, ma non imponendo, all’attore di notificare la citazione presso il domiciliatario, ai sensi dell’art. 141 c.p.c. (come si evince dal secondo comma della citata disposizione, l’obbligo di notifica presso il domiciliatario si ha solo in ipotesi specificamente indicate).
Escluso quindi che ricorresse il vizio procedurale indicato dalla difesa, neppure si rilevano ragioni che, nel merito, potessero portare ad una diversa decisione del giudice civile, né, come detto, la difesa è stata in grado di indicarle. Talché, sul punto, appare evidente l’irrilevanza causale dell’omessa costituzione in giudizio del Comune e della successiva decisione di non impugnare la sentenza di primo grado.
Va inoltre soggiunto che le illazioni della difesa circa un presunto concorso della F. nell’inerzia mantenuta dall’apparato amministrativo del Comune nel momento della notifica dell’atto di citazione appaiono sprovviste di verosimiglianza, considerato che l’atto in questione venne assunto al protocollo del Comune in data 19 maggio 2004 (v. allegato n. 8, fgl. 418 della documentazione depositata dal Procuratore regionale), quando la F. non era ancora stata reintegrata nelle sue funzioni (e non si vede quindi come potesse “governare”, per usare l’espressione utilizzata dalla difesa, la struttura burocratica).
Per quanto concerne la misura del risarcimento accordato alla F. e, conseguentemente, del danno sopportato dall’erario comunale, questa Sezione ha già avuto modo di affermare, in un precedente analogo, che “non è compito di questa Corte rideterminare in questa sede quale fosse il corretto importo dei danni riconoscibili alla dipendente, potendo solo valutarsi se la determinazione di essi sia stata l’effetto di calcoli, valutazioni, ecc. palesemente errati e/o abnormi del giudice civile o del CTU da questi officiato, circostanze queste potenzialmente idonee a interrompere il nesso causale tra la condotta dei convenuti e il danno in questione, ai sensi dell’art. 41, comma 2 c.p.
Se viceversa la sentenza, come avviene nel caso di specie, non si esponga a simili rilievi, l’esito sfavorevole del processo, quand’anche la relativa decisione sia suscettibile di qualche critica (cosa del tutto normale, soprattutto quando si ponga mente a voci risarcitorie di quantificazione notoriamente difficile, come nel caso del danno non patrimoniale), rientra in un ambito di normale alea, talché delle relative conseguenze non possono che essere chiamati a rispondere coloro i quali, con il proprio comportamento illecito, al processo abbiano dato causa” (v. sentenza n. 8 del 28/01/2015).
Nel caso in esame, le obiezioni mosse dalla difesa al risarcimento accordato dal Tribunale alla F. non evidenziano vizi della pronuncia che ne inficino la correttezza giuridica.
Non si comprende quale sia il fondamento della singolare tesi, sostenuta dalla difesa, peraltro in difetto di alcuna motivazione, secondo cui il danno non patrimoniale dovrebbe (addirittura sempre!) essere determinato in una frazione di quello patrimoniale.
Il ricorso a tabelle per la determinazione della misura del danno non patrimoniale non è affatto inusuale ed è anzi prassi ormai consolidata e riconosciuta anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, pur con la raccomandazione ai giudici di merito di adeguare sempre la quantificazione del danno alle circostanze concrete del caso esaminato (v. ad es. Corte di cassazione, n. 4242 del 24/03/2003). Raccomandazione che il Tribunale di Nuoro ha seguito (v. pag. 16 della sentenza).
La difesa contesta l’utilizzo, da parte del giudice, delle tabelle in adozione presso il Tribunale di Cagliari, ma non porta alcun argomento che consenta di evidenziare che tale decisione fosse in contrasto con la prassi seguita nel Tribunale di Nuoro.
Quanto alle considerazioni circa la ridefinizione del danno non patrimoniale operata dalla Corte di cassazione con le note sentenze del novembre 2008, non si comprende quale argomento se ne tragga per affermare l’erroneità della sentenza di cui si discute (la quale, peraltro, cita tali sentenze e fa puntuale applicazione dei principi in esse enunciati, v. pagg. 15-16).
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa (v. pag. 11 della comparsa), secondo cui la F. sarebbe stata reintegrata nelle sue funzioni “in assenza di alcuna lesione permanente alla salute”, il giudice civile ha invece riconosciuto, sulla base della CTU, anche un profilo di invalidità permanente (v. pag. 17 della sentenza), pur se di entità assai minore rispetto a quella temporanea.
In definitiva, non vi sono ragioni per affermare che il risarcimento accordato alla F. sia stato abnorme od esagerato. E’ sicuramente possibile, ma nient’affatto certo, che un’eventuale impugnazione della sentenza avrebbe potuto dare luogo ad una pronuncia meno sfavorevole per il Comune, o dare ingresso ad una transazione con la controparte che avesse gli stessi effetti, ma si tratta appunto di mere eventualità che non consentono di asserire che il risarcimento ottenuto dalla F. non costituisca una conseguenza rientrante in un ambito di regolarità causale delle condotte illecite dei convenuti.
Costoro vanno quindi ritenuti responsabili del danno loro ascritto in ragione delle condotte da essi tenute che questa Sezione, in difformità dalla richiesta del Procuratore regionale, reputa sicuramente dolose e non meramente affette da colpa, seppure grave. E’ infatti indubitabile che le iniziative illecite di cui si sono resi protagonisti i componenti della Giunta comunale fossero indirizzate a perseguitare la F., “colpevole” di aver rappresentato l’illegittimità di alcuni atti dell’Assessore al Personale, denigrandola (con la falsa attribuzione ad essa di condotte illecite o illegittime), umiliandola (imponendole ad esempio di aprire la posta), isolandola (con addirittura il rifiuto di riunirsi in sua presenza) ed, infine, estromettendola dal posto di lavoro, con la revoca delle funzioni, disposta con atto del Sindaco, sollecitato però da tutta la Giunta, viziato da illegittimità procedurali e sostanziali.
La condanna dei convenuti va quindi pronunciata per l’intero danno contestato e in solido tra loro.
Al riguardo, questa Sezione ha affermato, in una precedente pronuncia (v. la già citata sentenza n. 8/2015), che siffatta condanna in solido non determina violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, né violazione del diritto di difesa dei convenuti, per le ragioni ivi indicate, che si riportano per esteso.
“ … deve ora valutarsi se, così riqualificato l’elemento psicologico in difformità dalla richiesta del Procuratore regionale, questa Corte possa conseguentemente condannare i convenuti al risarcimento del danno non pro parte, ma in solido tra loro, come previsto dall’art. 1, comma 1-quinquies della L. 14/01/1994, n. 20.
In un precedente analogo (v. sentenza n. 570 del 04/12/2012) si era ritenuto che la decisione non potesse eccedere il limite posto dalla domanda attrice. Melius re perpensa, la Sezione ritiene che tale orientamento vada ora rivisto, per le considerazioni che seguono.
Va intanto detto che, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il giudice contabile può operare una qualificazione dell’elemento psicologico anche difformemente da quanto prospettato dal Pubblico Ministero contabile. Si è infatti affermato che “una valutazione dell’ elemento psicologico da parte del giudice difforme da quella formulata nell’atto di citazione non costituisce vizio censurabile, giacché nel giudizio contabile, nel quale il giudice può anche ordinare al P.M. di estendere oggettivamente e soggettivamente la domanda giudiziale, è possibile che egli si pronunci sulla fattispecie dedotta in giudizio dandone una ricostruzione diversa da quella prospettata dal requirente, senza che sia ravvisabile alcuna violazione del vincolo endoprocessuale, né vizio di extra o ultrapetizione” (Sezione 1^ centrale di appello, n. 443 del 18/12/2002; conforme SS.RR., n. 535 del 25/03/1987). Come affermato da Corte dei conti, Sezione 1^ centrale d’appello, n. 115 del 01/04/2003, la condanna del convenuto a titolo di dolo, pur non contestato dal Pubblico Ministero, non comporta violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato “poiché il giudice è vincolato in relazione ai fatti allegati e non alla loro qualificazione giuridica”.
In secondo luogo, la condanna di corresponsabili del medesimo danno in solido invece che pro parte non determina vizio di ultrapetizione, atteso che non viene ad essere ampliato il petitum, né viene mutata la causa petendi (Corte dei conti, Sezione 1^ centrale di appello, n. 109 del 26/03/2003; Corte di cassazione, n. 23386 del 15/10/2013; n. 8520 del 05/05/2004; n. 1131 del 07/06/1965).
E’ pur vero che la Corte di cassazione (v. sentenza n. 4018 del 02/05/1996; conforme n. 1602 del 22/06/1962) ha affermato che “il giudice al quale sia stata richiesta la condanna di più convenuti, pro quota, al pagamento di una obbligazione solidale non può, per le combinate norme di diritto sostanziale e processuale dettate rispettivamente dall’art. 1311 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., pronunciare condanna dei convenuti medesimi in solido e per l’intero”.
Come è però evidente, tale massima appare condivisibile se posta in relazione ad un processo governato dal principio dispositivo, nel quale, come evidenziato dal richiamo operato alla norma di diritto sostanziale, è rimesso alla facoltà del creditore di scegliere se chiedere al singolo debitore l’intero ovvero solo la parte a lui imputabile. Principio non estensibile al giudizio di responsabilità amministrativa, nel quale l’azione proposta dal Pubblico Ministero contabile è stata sempre pacificamente qualificata come pubblica, indisponibile ed irretrattabile (Corte dei conti, SS.RR., n. 752 del 17/02/1992; conforme Sezione Lazio, n. 24 del 17/01/2006; idem, n. 2876 del 23/10/2002).
Talché deve ritenersi che i limiti al potere decisorio del giudice indotti dalla domanda attrice non possano essere connessi ad un inesistente potere del requirente pubblico di esercitare facoltà proprie di un soggetto che abbia disponibilità del proprio diritto, ma siano giustificati solo in relazione al rispetto del diritto di difesa del convenuto, costituzionalmente tutelato. Diritto che sarebbe violato, ad esempio, ove la condanna fosse pronunciata per un danno diverso e/o superiore o per fatti non allegati nella domanda.
Tali circostanze non ricorrono nella fattispecie, per le ragioni già esposte, e pertanto non vi sono motivi che ostino a che la condanna dei convenuti, sulla base della riqualificazione dell’elemento psicologico rinvenibile nella loro condotta, sia pronunciata in conformità alla già richiamata disposizione di legge, secondo la quale la responsabilità di coloro che abbiano agito con dolo è solidale”.
Sulla somma per cui è condanna dovranno essere corrisposti la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, da calcolare con decorrenza dalla data del pagamento effettuato dal Comune di Ollolai e sino alla data della presente sentenza, e gli interessi legali sulla somma rivalutata, a decorrere dalla data della sentenza e sino al soddisfo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei condannati, in solido tra loro.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, condanna B. A., B. S., Z. A. e F. G., per l’intero e in solido tra loro, al pagamento, in favore del Comune di Ollolai, della somma di euro 68.424,03 (diconsi euro sessantottomilaquattrocentoventiquattro e tre centesimi).
Condanna i suddetti convenuti al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, da calcolarsi secondo le modalità indicate in parte motiva.
Condanna B. A., B. S., Z. A. e F. G. al pagamento, in favore dello Stato e in solido tra loro, delle spese di giudizio, che sino alla presente sentenza si liquidano in euro 974,07
(diconsi euro novecentosettantaquattro/07).
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio del 7 luglio 2016.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to A. Marco CANU f.to Cristina ASTRALDI
Depositata in Segreteria il 26 luglio 2016.
Il Dirigente
f.to Paolo Carrus