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22/10/2015 - considerazioni su quanto scritto dal collega Capalbo

le considerazioni del collega Claudio Rossi relative allo scritto del collega A. Capalbo "se questo è un uomo" - tratto da forumsegretari.emunicipio.it/

Ho letto la rappresentazione fatta da Angelo Capalbo e non posso non far rilevare come da quanto egli scrive emerga in maniera plastica tutta la contraddittorietà del modello a cui ci hanno educato, "indottrinandoci", in questi anni.

Per riprendere lo spunto del collega che stamattina ha citato (molto opportunamente) Latouche, il punto vero è che bisogna "decolonizzare" il nostro immaginario, colonizzato da decenni (ormai) di mera propaganda.

Il sistema "meritocratico" non esiste, almeno per come propagandato e per come applicato su larghissima scala. E' una drammatica ipostatizzazione creata dal nulla da una cultura "aziendalistica" superficialmente applicata alla PA.

La semplice lettura dell'intervento di Angelo ci rende plasticamente il fallimento di  un "modello" o "paradigma" che finisce per ottundere tutti. Il dirigente (segretario) , anzi l'apparato, è impegnato a documentare/rappresentare cosa fa... in previsione di una (possibile) contesa, per altro senza senso e che fatalmente serve solo a chi detiene il potere (perché il risultato finale non è frutto di algoritmi matematici ma di valutazioni soggette ad ogni forma di manipolazione, sia ex ante, sia ex post).

Sono almeno 20 anni che corriamo tutti dietro alle metodologie di valutazione, alle performance, agli OIV….

E, guarda caso, mai come in questi 20 anni la credibilità e la produttività della PA ha raggiunto livelli così infimi.

Il problema, caro Angelo, non è dunque quello di emendare un modello, a mio avviso, inemendabile quanto di provare a cambiare modello culturale prim’ancora che operativo.

Un sistema di misurazione/valutazione deve avere alcuni requisiti essenziali:

Deve essere adeguato (Ad esempio: non si misurano le distanze in termini peso. Così nessuno si sognerebbe di affermare che Roma dista da Milano 100 o 1000 tonnellate);

Deve essere congruo (non si usano unità di misura starate rispetto all’oggetto di misurazione. Con il metro da muratore o con il centimetro da sarto è impossibile misurare le precise dimensioni di un atomo. Così come nessuno si sogna di misurare con quegli stessi strumenti la distanza che corre tra Londra e Milano). Penso qui alla faciloneria con cui invece si scopiazzano e si scambiano piani –performance tra diverse amministrazioni e diversi enti.

Deve essere “oggettivo” ossia riconosciuto da tutti e fondarsi su basi oggettive. Un metro è tale in base a parametri rigorosamente fissati da sistemi internazionali di misurazione e non in base alla lunghezza della falcata di ciascuno di noi.

E queste sono solo le precondizioni generali e riguardano soltanto il sistema di misurazione in sé.

Ci sarebbe poi da fare una necessaria puntualizzazione: misurazione e valutazione (che pure il sistema tiene insieme) dovrebbero essere invece nettamente distinte. La prima dovrebbe afferire a profili quantitativi; la seconda a profili qualitativi. Ma non è il caso neppure di accennare a questa irrisolta (irrisolvibile) questione.

Esiste poi tutta la problematica relativa all’oggetto o alla materia che deve misurarsi/valutarsi.

L’oggetto da misurare/valutare deve essere adeguato al sistema di misurazione/valutazione. (Un frattale non è misurabile come una normale figura della geometria “euclidea”…. Quindi nozioni, pur oggettive, come: base, altezza, lunghezza, larghezza, raggio, baricentro, apotema, perimetro, diametro.... sono inservibili rispetto alla eventuale misurazione di un frattale).

L’oggetto da misurare/valutare deve avere esso stesso una sua consistenza “oggettiva” in relazione all’unità di misura (esempio: di un gas in veloce, costante e libera espansione non si può misurare il volume. Allo stesso modo non si può misurare ad occhio un liquido che scorre e si espande altrettanto liberamente sul terreno).

L’oggetto deve prestarsi ad essere misurato/valutato con strumenti di misurazione/valutazione obiettivi. E qui sorge – a mio avviso – la questione centrale. Prendiamo il classico esempio del quadro o dipinto. Un quadro pittorico può essere analiticamente descritto nei suoi costituenti oggettivi (Le dimensioni: la larghezza e la lunghezza della tela. I costituenti dei colori usati: olio; tempera; vernice… La natura materiale su cui è impresso il dipinto: carta, tela - che a sua volta può essere di diversa consistenza – legno etc…)…. Ma questi tipi di valutazione/misurazione nulla ci dicono della vera sostanza (o valore) del dipinto… Un Raffaello ed il dipinto di uno strappino qualsiasi possono avere identiche misure; identici costituenti materiali… al limite possono raffigurare anche lo stesso soggetto ed anche in maniera pedissequa (pensiamo ai falsi) eppure restano due cose radicalmente diverse.

Vorrei chiudere, riproponendo alcune considerazioni che già in passato vi ho segnalato. Non sono mie ma mi sembrano piene di buon senso.

Come capita alla maggior parte delle istituzioni pubbliche, oggi non viene chiesto alla National soltanto di fare il suo lavoro, ma anche di dimostrarlo.

È una pretesa controproducente, che crea un circolo vizioso. L’ortodossia corrente ritiene che gli impiegati pubblici facciano il loro lavoro al meglio solo se gli viene richiesto di dimostrare che stanno facendo il loro lavoro al meglio; ma questa dimostrazione richiede tempo, e quello speso a preparare le relazioni e i piani aziendali che dimostrano che ciascuno sta facendo il proprio lavoro è tempo sottratto alle ore di lavoro… e il risultato è che l’istituzione è effettivamente meno efficiente di quel che potrebbe essere… Oggi tutte le istituzioni pubbliche sono coinvolte in questa stupida giostra perditempo. Premessa necessaria di questa giostra è un altro malinteso – ovvero che tutto sia quantificabile e che i visitatori escano dalla National con qualcosa che può essere misurato mediante un bel questionario. Questo sarà vero forse per un 20%, e forse un 20 % di tutte queste pratiche per ottimizzare l’efficienza hanno qualche valore, o almeno valgono le ore di lavoro e di computo che richiedono?”. Alan Bennett, Una visita guidata, Adelphi 2008, pp. 41 e 42.

 

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