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05.06.2015 - Storytelling all’italiana. Come rottamare la democrazia

riceviamo e pubblichiamo da Lucia Maniscalco

Storytelling all’italiana

Negli Stati Uniti d’America e nelle moderne democrazie a sistema presidenziale o semipresidenziale, si assiste all’esaltazione in modo eclatante della figura del leader, che rappresenta le aspirazioni e gli ideali dei sostenitori e, comunque, l’uomo sul quale una parte della popolazione   ritiene di poter proiettare le sue più sentite esigenze. Il carisma personale del leader, unito al programma elettorale condiviso, costituisce così senz’altro una buona ragione per seguirlo e riporre in lui la fiducia di chi lo sostiene. Di contro, si verifica un indebolimento dei partiti.

E’ invalso in quei Paesi l’uso di interpretare le esigenze della gente attraverso il racconto delle storie che più colpiscono l’opinione pubblica. Sicché ogni persona che ascolta è in grado di immedesimarsi nel racconto e capire l’orientamento che il candidato alla presidenza intende assumere nei diversi settori della vita sociale di quella determinata realtà. Ciò comporta un rafforzamento della figura del leader che lo conduce, in ipotesi di successo elettorale, alla presidenza.

E’ stato così sin dal primo presidente americano che introdusse l’idea della leadership, Franklin Delano Roosvelt, che si pose l’obiettivo di risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli USA  a partire dal 1929, che portò poi negli anni 1933-1937 al New Deal. Fu così anche per De Gaulle in Francia con la crisi algerina che portò al rafforzamento dei poteri presidenziali.

In Italia la situazione assume contorni diversi: c’è una crisi di dimensioni esorbitanti, recessione e mancanza di lavoro,  c’è un Presidente del Consiglio dei Ministri imposto agli italiani con la strategia della scelta al di fuori del Parlamento, c’è un leader che non ha carisma sebbene utilizzi il sistema del racconto ed è anche segretario di partito. Sicché, mentre nel resto del mondo la leadership si afferma come metodo alternativo al ruolo dei partiti e interpreta, come sostiene Sofia Ventura nel suo libro “Il racconto del capo”,  il bisogno della gente di puntare l’attenzione sull’uomo che, anche attraverso il suo stile di vita, mostra la capacità di realizzare ciò che altri non sono in grado di realizzare, nel nostro Paese si crea una strana commistione tra leadership e partito politico, che lascia intravedere finalità per nulla innovative,  che ci proiettano al contrario in un passato  recente di difficile dimenticanza.

Con l’ascesa di Matteo Renzi alla presidenza del Consiglio dei Ministri, si manifesta in modo chiaro la specialità del caso italiano. Innanzitutto perché il leader non viene scelto dal popolo con regolari votazioni conseguite ad una competizione politica ma viene cooptato dal Presidente della Repubblica direttamente dal partito democratico e non dalle aule del Parlamento come sarebbe stato naturale attendersi. Proprio per ciò il leader non ha coinvolto nessuno essendosi limitato ad assumere il governo del Paese annunciando subito il fine principale che si prefigge: la governabilità e la rottamazione di tutto, persino delle cose buone che l’Italia possiede. Il leader utilizza il racconto per tentare di acquisire consensi ed è così che in breve  racconta diverse frottole, tra le quali assume un rilievo determinante quella della creazione di chissà quante migliaia di posti di lavoro e della staffetta generazionale, dimenticandosi però di dire che l’obiettivo sarà realizzato anche con il licenziamento di buona parte della dirigenza pubblica. Ed è così che l’Italia, a suo dire, diventerà trainante dell’economia europea, se non addirittura mondiale, e acquisirà nel breve il primato produttivo.

Il leader inoltre non punta sulle proprie doti personali, visto che nessuno gliele riconosce, ma sul partito dal quale assume la sua linfa vitale.

Le riforme annunciate in effetti stanno andando avanti ed è anche stata varata la legge elettorale che instaura un sistema di rappresentanza maggioritario con premio al partito di maggioranza. Fuori inoltre la dirigenza pubblica con il sistema dell’incarico a termine. E fuori soprattutto il Senato della Repubblica per non incontrare impedimenti, con la seconda Camera,  nell’obiettivo della governabilità.

Ma se vengono meno i pesi che finora hanno bilanciato il sistema, se il leader è il leader del partito, se diviene semplice liberarsi della dirigenza pubblica, se il sistema elettorale è improntato all’idea che con  appena il 40 per cento dei voti attribuiti ad un partito  è possibile governare il Paese, si affaccia immediatamente la preoccupazione che in realtà il leader, al di là delle storie che racconta,  voglia soltanto rottamare la democrazia.

                                                        Lucia Maniscalco

 

articolo tratto da l'Obiettivo n.9-2015

 

 

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