20/11/2020 – Brevi riflessioni in materia di verifiche antimafia nei procedimenti ad istanza di parte aventi ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati alla luce dei più recenti interventi normativi: focus sulle corrispondenti verif
Come noto, l’attuale sistema della documentazione antimafia, per come aggiornato e confluito nel vigente Codice Antimafia (d.lgs. 6 ottobre 2011, n. 159), risulta incentrato sui due diversi e alternativi istituti della comunicazione antimafia e della informazione antimafia[1], acquisibili attraverso la consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia (BDNA) di cui all’art. 96 dello stesso Codice, costituente uno dei cardini della disciplina codicistica in materia di documentazione antimafia[2].
A differenza della comunicazione antimafia[3], l’informazione antimafia - consistente nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67, nonché nell’attestazione della sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate (art. 84, co. 3) – risulta avere un contenuto più ampio, frutto di una valutazione dell'autorità prefettizia che, fondandosi su una serie di elementi sintomatici, in chiave preventiva, esprime un motivato giudizio circa il pericolo di infiltrazione mafiosa relativamente ai soggetti sottoposti a verifica, inibendo a questi ultimi l'inizio di qualsivoglia rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione ovvero l'ottenimento di contributi, finanziamenti o altre sovvenzioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici.
Ai fini della disamina della tematica de qua appare pertanto opportuno richiamare preliminarmente il disposto normativo di cui all’art. 85 (Soggetti sottoposti alla verifica antimafia) del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, il quale contempla - quali soggetti sottoposti a verifica - essenzialmente soggetti esercenti attività di impresa, risultando invero necessario ai fini della assoggettabilità dei percettori di elargizioni e/o contributi economici alle verifiche antimafia il cd. requisito dell'"imprenditorialità", requisito che di norma risulta difettare con riguardo a talune tipologie di istanze, per lo più presentate da persone fisiche, dirette all’ottenimento di sussidi economici presupponenti situazioni lato sensu disagiate e/o di bisogno[4].
Detta lettura trova conferma nella formulazione di quella che può essere considerata la norma base di tutto il sistema di prevenzione legato alle informative prefettizie interdittive, ossia l’art. 67 del Codice Antimafia, il cui comma 1, alla lett. g), quali effetti delle misure di prevenzione di cui al Libro I, Titolo I del medesimo Codice, prevede l’impossibilità di ottenere contributi, finanziamenti e/o altre erogazioni, comunque denominate, per “lo svolgimento di attività imprenditoriali”[5].Siffatta ricostruzione ermeneutica trova altresì conferma, oltreché nella dizione letterale di cui al già citato art. 84 (Definizioni) del Codice Antimafia, il cui comma 3 - nel fornire la definizione della “informazione antimafia” – ricollega, come già rilevato, la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa che vi è alla base alla tendenza al condizionamento delle scelte e degli indirizzi delle “società” o delle “imprese” interessate, nella formulazione dell’art. 91 (Informazione antimafia), co. 1, lett. b), la cui seconda parte sancisce l’obbligo di acquisire l’informazione per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo - ove il valore sia superiore a 150.000 euro - parimenti “per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, nonché dell’art. 94 (Effetti delle informazioni del Prefetto), il cui comma 1 riferisce il divieto di “stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni” cui vanno incontro i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 del medesimo Codice all’accertamento della sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa “nelle società o imprese interessate”.Alle medesime conclusioni si perviene, d'altra parte, ove si abbia riguardo, da un lato, a quella che - a dir dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018 - con riferimento all’art. 67, co. 1, lett. g) del Codice (secondo il quale non possono erogarsi e riceversi “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”) sarebbe la finalità perseguita dal legislatore[6], nonché, dall’altro, alle conseguenze per il soggetto destinatario del provvedimento di cd. “interdittiva antimafia”, in capo al quale si determina una “particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico”, e dunque la “insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione”[7].Spostando poi l’attenzione alla più stringente disciplina cui sono soggetti gli enti sciolti per infiltrazioni di stampo mafioso ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, benché per questi ultimi - a differenza degli altri enti - l’art. 100 del Codice Antimafia non preveda limiti minimi di valore ai fini dell’obbligo dell’acquisizione dell’informazione antimafia (dovendo la stessa essere acquisita “indipendentemente dal valore economico” degli atti in questione), l’espresso riferimento ivi contemplato a qualsiasi concessione o erogazione “indicati nell’art. 67” del Codice, non può che condurre - sulla base sia degli argomenti di carattere semantico-testuale che degli argomenti di tipo logico-sistematico di cui si è dato atto - alla conclusione della operatività dell’obbligo de quo unicamente per siffatta categoria di erogazioni e/o contributi “finalizzati” (all’esercizio di attività imprenditoriali). Sul piano sistematico, non si può peraltro trascurare che la ratio sottesa all’intera impalcatura del corpus normativo di cui al decreto legislativo n. 159/2011, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di misure interdittive antimafia, si caratterizza per l’anticipazione della soglia di tutela circa il possibile inquinamento delle attività economiche in cui sia riscontrabile il pericolo di condizionamento mafioso, e ciò proprio avendo riguardo alle ipotesi specificatamente elencate nell’art. 67 (comma 1, lett. da a a g) del d.lgs. n. 159/2011, espressamente richiamato nel testo del precitato art. 100, il quale, visto nel suo contesto sistematico, sottende dunque l’esercizio di una attività economica[8].In altri termini, l’art. 100 cit. si riferisce, sì, a qualsiasi concessione o erogazione amministrativa, anche diverse da quelle indicati nell'articolo 67, ma – come condivisibilmente osservato - nel combinato disposto delle due norme prese in considerazione (artt. 67 e 100 del Codice) ricorre la “eadem ratio”, ossia “l’afferenza dei provvedimenti autorizzativi ad attività contrattuale con la P.A. o comunque ad attività di natura imprenditoriale, non certo ad un’attività privata inerente il diritto di proprietà e quello di abitazione”[9], ritenendosi che l’estensione della soglia di applicabilità della normativa antimafia anche ad ipotesi del tutto disancorate dall’esercizio di attività imprenditoriali costituisca una opzione ermeneutica non coerente con la lettura e la ratio della normativa in questione[10].La ricostruzione di un quadro normativo di riferimento quanto più esaustivo possibile ai nostri fini non può infine non contemplare il richiamo, da un lato, del disposto normativo di cui all’art. 3 (Verifiche antimafia e protocolli di legalità), co. 1 del cd. decreto Semplificazioni, convertito con modificazioni dalla legge n. 120/2020, ai sensi del quale “fino al 31 dicembre 2021, ricorre sempre il caso d'urgenza e si procede ai sensi dell'articolo 92, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l'erogazione di benefici economici comunque denominati, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti da parte di pubbliche amministrazioni, qualora il rilascio della documentazione non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati di cui all'articolo 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 1-bis e 13 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, nonché dagli articoli 25, 26 e 27 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34” nonché, dall’altro, della nuova formulazione dell’art. 75 (Decadenza dai benefici) del dPR. n. 445/2000, il cui nuovo comma 1-bis introdotto dal cd. decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020), dispone che “la dichiarazione mendace comporta, altresì, la revoca degli eventuali benefici già erogati nonché il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di 2 anni decorrenti da quandol'amministrazione ha adottato l'atto di decadenza. Restano comunque fermi gli interventi, anche economici, in favore dei minori e per le situazioni familiari e sociali di particolare disagio”, derivandone un del tutto eccezionale favor per la tutela delle esigenze e degli interessi sottesi alle istanze e ai corrispondenti interventi che abbiano come destinatari tali categorie di soggetti ritenuti particolarmente fragili, e, pertanto meritevoli di una tutela tale da non recedere neppure in caso di mendacità delle autodichiarazioni (che vi sono) a monte, aspetto quest’ultimo che – a parer del sottoscritto – certamente non spinge verso il sempre più auspicato improntamento dei rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione ai principi della collaborazione e della buona fede, recentemente positivizzato dal legislatore nell’innesto normativo operato all’interno dell’art. 1, della l n. 241 del 1990, con l’introduzione del nuovo comma 2-bis ad opera del decreto-legge n. 76/2020 (cd. decreto Semplificazioni), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120/2020.
NOTE:
[1] In termini di alternatività è stato invero ricostruito il rapporto tra i due diversi istituti de quibus, tra gli altri, dal Consiglio di Stato, Sez. I, parere 17 novembre 2015, n. 3088.
[2] Per un’analisi sul tema della portata dell’intervento riformatore sulla documentazione antimafia operatosi nell’ambito del nuovo Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, cfr., inter alia, R. Cantone, La riforma della documentazione antimafia: davvero solo un restyling?, in Gior. dir. Amm., 8-9, 2013.
[3] Essa, ai sensi dell’art. 84, co. 2 del Codice Antimafia, “consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 D.lgs. n. 159/2011”, ovvero, dell’applicazione, con provvedimento definitivo dell’autorità giudiziaria, di una delle misure di prevenzione personali previste dal libro I, titolo I, capo II, del Codice.
[4] Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle istanze - non riconducibili all’esercizio di attività di impresa o assimilate - dirette all’ottenimento dei buoni spesa previsti dalla recente normativa emergenziale diretta a contenere la diffusione del virus Covid-19, alle istanze per il cd. bonus bebè, ai voucher sociali, ecc..
[5] Il tratto distintivo che ne consegue va dunque individuato proprio nella finalizzazione - delle stesse (erogazioni) - all’esercizio di attività imprenditoriali.
[6] “La finalità del legislatore è, in generale, quella di evitare ogni <esborso di matrice pubblicistica> in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali. In sostanza – ed è questa la ratio della norma – il legislatore intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della Pubblica Amministrazione in favore di tali soggetti, di modo che l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A.”; in questi termini si esprime il C.d.S., Ad. Plen., nella sentenza n. 3 del 6 aprile 2018.
[7] Così si legge sempre nella citata pronuncia della Adunanza Plenaria n. 3/2018. Di incapacità prevista dalla legge a garanzia di valori costituzionalmente garantiti “in equilibrata ponderazione tra libertà di impresa e tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale” parla il Cons. Stato, sez. III, nella sentenza del 9 febbraio 2017 n. 565, richiamata anche nel noto pronunciamento della Corte cost. n. 57 del 27 marzo 2020. Alle modalità di conduzione (“familiare” e con una “regia collettiva”, “nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia <clanica>”) dell’impresa, d’altra parte, si ritiene debba aversi riguardo ai fini della misura dell’intensità dei rapporti di parentela in grado di fondare i rapporti di interdittiva nella ricostruzione operata dal C.d.S., sez. III, con la sentenza 24 aprile 2020, n. 2651.
[8] Seppur con riferimento alle omologhe disposizioni del previgente decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 19/2012 ha invero individuato la finalità generale perseguita dalla normativa in questione in quella di “escludere l'imprenditore, sospettato di essere passibile di infiltrazione criminale, dalla fruizione di benefici che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività”. Più di recente, con riguardo alle erogazioni di contributi e/o finanziamenti pubblici in favore di soggetti economici esercenti attività di impresa, l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 23/2020 del 26 ottobre scorso, ha indagato l’ambito delle conseguenze sulle stesse di una cd. “informativa interdittiva sopravvenuta”, statuendo che, contrariamente a quanto avviene per i contratti di appalto pubblico di lavori, servizi e forniture, l’intervenuto accertamento dell’“incapacità” del soggetto che ne è risultato beneficiario esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte dello stesso, non ritenendo in tal caso consentito lo ius ritentionis.
[9] Così TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sent. n. 1500 del 21.07.2020, il quale ha ritenuto che la sanatoria di un immobile per uso abitativo non sia annoverabile tra le ipotesi previste dall’art. 67, comma 1 d.lgs. n. 159/2011, non venendo in rilievo alcuna connessione all’esercizio di attività economico-commerciali.
[10] Sul punto, appare significativa la riflessione - richiamata proprio dal TAR Sicilia nel precitato pronunciamento del 21 luglio scorso - che si legge nella sentenza del C.G.A. 3.8.2016 n. 257, la quale, in tema di interdittive antimafia ha chiarito che ai Prefetti non è dato alcun “potere extra ordinem”, che altrimenti si verrebbe ad attuare “…un aberrante meccanismo … simile a quella su cui si fondava … l’inquisizione medievale”.