09/11/2020 - Sulla legittimità o meno dell'affidamento in concessione integrata dei servizi di biglietteria, bookshop e servizi di assistenza alla visita presso la Galleria dell'Accademia di Firenze ed il Museo di San Marco
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6971 del 2020, proposto da
Vivaticket s.p.a. a socio unico, in proprio e quale mandataria del R.T.I. con Giunti Editore s.p.a., Vivaevents s.r.l. e D’Uva s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Valentino Vulpetti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Sabotino, 2/A;
contro
Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giovanni Pesce, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Bocca di Leone, 78;
Opificio delle Pietre Dure, Galleria dell'Accademia, Galleria degli Uffizi, Musei del Bargello, Polo Museale della Toscana, non costituiti in giudizio;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Società cooperativa Culture, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Grazzini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Firenze, p.zza Vittorio Veneto, 1;
Ing. Martina Frizza, Dott.ssa Chiara Lunardini, Dott. Marco Mozzo, Sig.ra Maria Elisabetta Mondelli, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sezione Seconda, n. 565/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a., della società cooperativa Culture, nonchè del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e per il Turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Vulpetti, Pesce, Grazzini, dello Stato Aiello Chiarina;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-Il R.T.I.Vivaticket s.p.a ha interposto appello nei confronti della sentenza 12 maggio 2020, n. 565 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. II, che ha respinto il suo ricorso ed i motivi aggiunti rispettivamente avverso il bando con cui Consip s.p.a. in data 20 dicembre 2018 ha indetto la gara a “procedura aperta per l’affidamento in concessione dei servizi museali presso la Galleria dell’Accademia di Firenze e il Museo di San Marco per il Ministero dei Beni e le Attività Culturali”, il disciplinare ed il capitolato tecnico, il provvedimento in data 4 giugno 2019 di nomina della Commissione di gara, nonché avverso il provvedimento di aggiudicazione del 5 dicembre 2019 in favore della società cooperativa Culture, chiedendo altresì la pronuncia di inefficacia del contratto ove intervenuto.
Oggetto della concessione integrata (ai sensi dell’at. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) è il servizio di biglietteria che include ed accorpa il servizio aggiuntivo di assistenza alla visita, qualificato dal disciplinare come “prestazione principale”, mentre il servizio aggiuntivo di bookshop viene qualificato come “prestazione secondaria”.
Con il ricorso in primo grado il R.T.I. Vivaticket, risultato quinto graduato, ha impugnato la lex specialis, gli atti del procedimento ed l’aggiudicazione, deducendone l’illegittimità nell’assunto che la gara concerne solo due degli otto musei fiorentini finora gestiti da un’A.T.I. di cui fa parte la mandante Giunti, in assenza di una preventiva programmazione delle modalità di valorizzazione dei siti, che è stata bandita procedendo ad un mero affidamento del servizio di biglietteria, erroneamente ritenuto prevalente sui servizi aggiuntivi (di assistenza culturale ed ospitalità per il pubblico), con conseguente penalizzazione degli aspetti qualitativi e culturali dell’offerta, e lamentando la violazione delle norme sulla nomina della Commissione e di sostituzione dei commissari.
2. - La sentenza appellata ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. In particolare, ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse (anche strumentale) il motivo volto a contestare l’impostazione della gara, e respinto le censure sulla composizione della commissione giudicatrice, ritenendo applicabile la disciplina transitoria di cui all’art. 216, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, ed escludendo la sussistenza di cause di incompatibilità del commissario Lunardini, come pure dell’ing. Frizza ed anche di incompetenza dei commissari Mondelli e Mozzo.
3.- Con il ricorso in appello il R.T.I. Vivaticket critica la sentenza per erroneità della statuizione di inammissibilità sul primo motivo di ricorso - che ripropone - contestando l’impostazione della gara che attribuisce posizione preminente al servizio di biglietteria rispetto ai servizi aggiuntivi, in violazione della finalità di valorizzazione dei beni culturali; ha poi dedotto l’omessa pronuncia sul motivo di violazione dell’art. 6 del d.m. 29 gennaio 2008, che fissa la durata delle concessioni aventi ad oggetto servizi aggiuntivi in quattro anni rinnovabili per pari periodo e l’erroneità della sentenza sui motivi (del ricorso principale e dei motivi aggiunti) inerenti i vizi della Commissione giudicatrice.
4. - Si sono costituiti in resistenza il Mi.B.A.C.T., la società cooperativa Culture, la Consip eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso in appello; la cooperativa Culture ha altresì riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., le eccezioni, non esaminate, di inammissibilità svolte in primo grado, argomentate nella considerazione che è contestata l’impostazione della gara, frutto di scelte ampiamente discrezionali poste in essere dall’amministrazione, e comunque per carenza di interesse, in ragione della mancata tempestiva impugnazione del bando, e, relativamente all’aggiudicazione, nella considerazione che la ricorrente è risultata quinta graduata, nonché in ragione del ius superveniens, derivante dalla novella all’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004 ad opera del d.-l. n. 76 del 2020.
5. - Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Il primo, articolato, motivo critica la statuizione di inammissibilità della censura del ricorso di primo grado volta a rilevare l’illegittimità dell’impostazione della gara in quanto indetta in violazione della disciplina in tema di servizi aggiuntivi, ed inidonea a garantire quella valorizzazione dei beni culturali cui tende la concessione dei servizi pubblici interni ai musei. L’appello deduce l’erroneità della sentenza nell’aver ritenuto che il raggruppamento ricorrente, risultato quinto graduato, avrebbe dovuto dare puntuale dimostrazione della ragionevole possibilità di ottenere l’utilità richiesta in conseguenza di una rinnovazione della procedura nei termini contenutistici auspicati, invocando la consolidata giurisprudenza sull’interesse strumentale, che, in caso di impugnative demolitorie e non pretensive, non richiederebbe la prova di resistenza. L’appello dunque reitera il primo motivo, che contesta l’assenza di un progetto di valorizzazione dei siti oggetto di gara (peraltro, due soli degli otto complessivi musei fiorentini sinora gestiti in via integrata), con travisamento della natura del servizio di biglietteria che, in quanto servizio strumentale (al pari di quello di pulizia e di vigilanza), non può assumere valore prevalente rispetto ai servizi aggiuntivi di cui all’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004, funzionalmente preposti alla valorizzazione. Per l’appello, l’inversione del rapporto di accessorietà tra biglietteria e servizio aggiuntivo degrada la prevalenza dello scopo di valorizzazione che impronta il predetto art. 117 a mera eventualità in pratica derogabile nel caso concreto in ragione della preponderanza dei servizi diversi da quelli aggiuntivi, portando con sé un orientamento della selezione verso tipologie di operatori (con un determinato fatturato di biglietteria/bookshop) che non garantiscono esperienza nei servizi aggiuntivi e conseguente qualificazione in materia. L’appello poi lamenta l’omessa pronuncia sulla violazione dell’art. 6 d.m. 29 gennaio 2008, che fissa la durata delle concessioni aventi ad oggetto servizi aggiuntivi in quattro anni rinnovabili per pari periodo, mentre la concessione in esame è stabilita in sessanta mesi ed è al contempo esclusa la possibilità di rinnovo, in tale guisa riducendosi il periodo di gestione.
Il motivo è fondato in tutte le sue articolazioni, anche considerate le eccezioni riproposte in appello dalla società Cooperativa Culture.
1.1.- Giova anzitutto premettere che l’impugnazione della lex specialis per l’affermata violazione delle norme in tema di valorizzazione dei beni culturali, in particolare dell’art. 117 (Servizi per il pubblico) d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), è censura che non attiene al merito, ma di mera legittimità. Non viene infatti dedotta l’illegittima utilizzazione della concessione integrata (profilo effettivamente riservato alla valutazione tecnica dell’amministrazione), ma solo la non corretta utilizzazione del modello concessorio prescelto per effetto dell’attribuzione di prevalenza al complementare servizio di biglietteria.
1.2. - Quanto, poi, alla dichiarata carenza di interesse, è da considerare che la ricorrente ha potuto partecipare alla gara: per consolidata giurisprudenza, l’operatore economico che abbia partecipato alla gara o, almeno, manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, ha l’onere di impugnare il bando unitamente al provvedimento lesivo (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4; V, 16 marzo 2020, n. 1867).
La contestazione dell’impostazione della gara non presuppone l’esistenza di “clausole immediatamente escludenti”: il “deficit progettuale” e il vulnus al principio di valorizzazione dei beni culturali non integrano una clausola impositiva di oneri manifestamente incomprensibili o sproporzionati, ovvero regole tali da rendere la partecipazione irragionevolmente difficoltosa se non impossibile, né sono disposizioni abnormi che rendono impossibile il calcolo di convenienza tecnica od economica ai fini della partecipazione, né condizioni negoziali che rendono il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente.
Al contempo, prova troppo la tesi che desume il carattere escludente del bando dall’affermata configurazione in termini di clausola impositiva di obblighi contra ius: in tale prospettiva, tutte le previsioni della lex specialis di cui si postula l’illegittimità si tramuterebbero in clausole “immediatamente” escludenti, contro la giurisprudenza.
D’altro canto, la richiamata sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4 ha posto in evidenza che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando al momento dell’aggiudicazione, non va contro il principio eurounitario di concorrenza, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo (in termini anche Cons. Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1).
1.3. - Nemmeno si può negare al raggruppamento ricorrente, che ha partecipato alla gara di cui contesta la lex specialis, così acquisendo una posizione differenziata, l’esistenza di un interesse strumentale alla ripetizione del procedimento di gara mediante una nuova disciplina (così Cons. Stato, V, 9 novembre 2018, n. 6325, nonché V, 6 luglio 2020, n. 4307 e n. 4311). Per consolidata giurisprudenza, anche la terza, quarta o quinta graduata hanno interesse a sollevare censure per invalidare l’intera procedura, pur se con quelle si coltiva un interesse diverso da quello dell’aggiudicazione, strumentale alla riedizione dell’intera gara e dunque al conseguimento mediato del bene della vita cui la gara è istituzionalmente orientata (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2020, n. 83). Obiettano le resistenti che anche l’interesse strumentale dev’essere attuale: ne conseguirebbe che bene la sentenza ha ritenuto che assume consistenza allorché «sussistano ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta; esso deve cioè aderire in modo rigoroso e con carattere di immediatezza e di attualità all’oggetto del giudizio».
La tesi non è condivisibile: l’interesse strumentale alla riedizione della gara, comportante la possibilità di presentare una nuova offerta con regole e criteri modificati, non consente al ricorrente di allegare alcunché per superare la prova di resistenza. La tesi prospettata equivarrebbe infatti ad imporre una probatio diabolica. A tutto concedere, si può figurare una sorta di inversione dell’onere della prova, riconoscendo alla stazione appaltante, in excipiendo, l’onere di dimostrare che, comunque, anche modificandosi la legge di gara nei termini auspicati, il concorrente che ha proposto ricorso non avrebbe avuto alcuna chance di successo.
2.- Il primo motivo di appello, riproponendo il primo motivo del ricorso introduttivo, deduce l’omessa pronuncia sulla contestazione dell’assenza di progetti di valorizzazione, tra l’altro con scorporo e separazione dei siti museali fiorentini; nonché la violazione, da parte del bando, del principio di valorizzazione dei beni culturali e dei livelli minimi uniformi, inferibili dal combinato disposto degli artt. 112, 114, 115 e 117 del d.lgs. n. 42 del 2014. Per l’appello, i servizi aggiuntivi costituiscono un importante strumento di valorizzazione rispetto ai quali il servizio di biglietteria, al pari di quello di pulizia o di vigilanza, è un mero servizio strumentale, senza valenza di valorizzazione; esso può essere gestito in forma integrata con i servizi aggiuntivi, fermo restando che questi ultimi sono il servizio principale.
Il motivo è fondato.
E’ utile premettere, per chiarezza di esposizione, che nella sistematica del Codice dei beni culturali e del paesaggio i «servizi per il pubblico» dell’art. 117 (vale a dire i servizi di assistenza culturale e di ospitalità attivati presso i luoghi e gli istituti della cultura), tralaticiamente chiamati anche “servizi aggiuntivi”, possono essere gestiti in maniera indiretta, grazie al rinvio, contenuto nell’art. 117, all’art. 115 del d.lgs. n. 42 del 2004. In tale caso l’affidamento da parte dell’amministrazione ad imprese private dei servizi aggiuntivi assume la forma giuridica della concessione di servizio pubblico,. Il che ovviamente è anche se il procedimento di gara sia svolto dalla Consip, o meglio alla stessa “delegato” in forza dell’art. 16 del d.lgs. n. 78 del 2015 e della successiva convenzione tra il Ministero e Consip.
Più precisamente, l’affidamento dei servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti (art. 117, comma 2) costituisce, in linea di principio, concessione di servizio pubblico. Invece l’esternalizzazione dei servizi complementari di biglietteria, pulizia e vigilanza dà luogo a un appalto di servizi. Difatti, come evidenziato da costante giurisprudenza (es. Cass., SS.UU., 27 maggio 2009, n. 12252; SS.UU., 9 dicembre 2015, n. 24824), la qualificazione in termini di concessione dell’affidamento della gestione a terzi dei servizi aggiuntivi è conforme alla definizione delle direttive europee, oltre che coerente con la struttura dei suddetti servizi, atteso che l’amministrazione trasferisce il diritto di gestire il servizio in favore dei visitatori/utenti dietro pagamento di un canone, e che sussistono altresì i caratteri del pubblico servizio per la valorizzazione dei beni culturali in presenza : a) della titolarità del servizio in capo all’amministrazione; b) della sua destinazione alla soddisfazione di esigenze della collettività; c) della predisposizione, da parte dell’amministrazione, di un programma di gestione, con obblighi di condotta e livelli qualitativi vincolanti per il privato; d) del mantenimento da parte dell’amministrazione dei corrispondenti poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento.
L’affidamento dei servizi di biglietteria (oltre che di pulizia e vigilanza), che possono integrare la suddetta concessione, è invece configurabile come appalto di servizio pubblico: rileva infatti la stretta bilateralità del rapporto di servizio e l’assunzione da parte dell’amministrazione della veste di acquirente delle corrispondenti utilitates su pagamento di corrispettivo.
Appare comunque chiaro, anche nella sistematica del d.lgs. n. 42 del 2004 - essendo le disposizioni dell’art. 117 contenute nel “Titolo II”, attinente alla “fruizione e valorizzazione” [dei beni culturali] - come la disciplina dei servizi aggiuntivi rinvenga la sua razionalità proprio nell’espresso obiettivo codicistico di garantire al pubblico una migliore e potenziata fruizione dei beni culturali – nel che in sostanza consiste la valorizzazione, da intendersi per il Codice anzitutto come valorizzazione culturale: cfr. art. 6 - , assicurando in tali modi, seppur di riflesso, anche un ritorno economico per l’amministrazione (valorizzazione economica). In altri termini, si esternalizza il servizio perché lo si stima il modo migliore per «promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso […] al fine di promuovere lo sviluppo della cultura» (art. 6, comma 1). Perciò, essendo questa la causa preminente dell’esternalizzazione, ogni altra causa è rispetto ad essa recessiva: in particolare, quella strettamente organizzativa, ed economica, che riguarda il servizio di biglietteria.
La controversia presente riguarda l’affidamento in concessione dei servizi di biglietteria, bookshop e servizi di assistenza alla visita presso la Galleria dell’Accademia di Firenze ed il Museo di San Marco, e dunque enuclea una fattispecie di concessione integrata dei servizi aggiuntivi con servizi complementari, prevista dall’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, e poi meglio specificata quale forma di “integrazione orizzontale” dall’art. 3, comma 5, d.m. 29 gennaio 2008 (modalità di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi della cultura).
In tale contesto non è sostenibile la legittimità di una concessione integrata avente ad oggetto, come dalla tabella n. 1 dell’art. 3 del Disciplinare di gara, quale prestazione principale il servizio di biglietteria e i servizi di assistenza alla visita e quale prestazione secondaria il servizio di bookshop: il che però ha orientato la selezione verso tipologie di operatori non adeguatamente qualificati in materia di servizi aggiuntivi, vale a dire verso il preminente compito cognitivo di valorizzazione culturale, che è la ragione prima e comunque qualitativamente dominante di una tale complessa esternalizzazione.
Viene infatti, indebitamente, in tal modo operato, sul piano dei contenuti e dei requisiti di capacità dei soggetti aspiranti alla partecipazione alla gara, uno spostamento del baricentro della concessione, non compatibile con le rammentate finalità di valorizzazione culturale, cui è evidentemente estranea la stretta gestione dei servizi di biglietteria alla stregua di quanto esposto, ed anche del contenuto suo proprio, che consiste nelle «attività di emissione, distribuzione, vendita e verifica dei titoli di legittimazione all’ingresso degli istituti e luoghi della cultura […], nonché quelle di incasso e versamento degli introiti», secondo la definizione dell’art. 2, comma 1, d.m. 11 dicembre 1997, n. 507.
Contro questa praticata configurazione, la rilevanza preponderante dei servizi aggiuntivi rispetto a quello accessorio e strumentale di biglietteria è implicita anche nella lettera della norma, come mostra la circostanza che l’art. 117, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 prevede come mera possibilità quella della gestione in concessione integrata: la concessione è di suo formula propria dei soli servizi aggiuntivi, sì che questi ultimi, in caso di uso di tale strumento giuridico (che è modalità di gestione finalizzata alla valorizzazione), non possono divenire né formalmente, né sostanzialmente accessori (in termini Cons. Stato, V, 7 dicembre 2017, n. 5773).
L’inversione dell’ordinario (cioè stabilito dalla norma) rapporto di accessorietà, oltre a non garantire l’efficace perseguimento della funzione della valorizzazione culturale, incide anche sul profilo causale della concessione, tramutandola sostanzialmente – per la bilateralità che diviene dominante -in un appalto. Non appare dunque condivisibile, sul piano strettamente giuridico, l’assunto delle resistenti per cui entrambi i servizi risulterebbero in modo complementare funzionali alla valorizzazione del sito: e ciò a prescindere dalla prevalenza economica del servizio di biglietteria, che si vorrebbe dire comunque orientato alla valorizzazione dei musei, richiedendosi ai concorrenti di indicare una “infrastruttura informatica di supporto”.
Invero la concessione di servizi non ammette che il servizio di biglietteria, quand’anche caratterizzato da un maggiore volume di incassi, possa avere prevalenza funzionale, sì da precludere la partecipazione di soggetti attivi in servizi aggiuntivi di bookshop e di editoria (ma senza avere emesso biglietti per gli importi richiesti).
2.1. - Tale è anche il senso della disposizione introdotta dall’art. 8, comma 7-bis, della legge 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del d..l. 16 luglio 2020, n. 76 (“decreto legge semplificazioni”), che, in fine all’art. 117, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), oggetto di disamina, ha aggiunto i seguenti periodi : «Qualora l’affidamento dei servizi integrati abbia ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. vv), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, l’integrazione può essere realizzata anche indipendentemente dal rispettivo valore economico dei servizi considerati. E’ ammessa la stipulazione di contratti di appalto pubblico aventi ad oggetto uno o più servizi tra quelli di cui al comma 1 e uno o più tra i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria».
La norma, seppure non direttamente applicabile alla presente controversia ratione temporis, è invocata dalle resistenti per una pretesa portata ricognitiva: e se ne predica un’effettualità finalizzata ad ammettere l’affidamento integrato in concessione indipendentemente dal valore economico dei servizi, e dunque dalla necessità di applicare la disciplina sui contratti misti.
A bene considerare, tale opzione ermeneutica evidenzia la specialità della concessione di servizi in materia di beni culturali, idonea anche ad escludere un problema di compatibilità con i principi europei in materia di contratti pubblici; ma non ad infrangere il principio della necessaria prevalenza funzionale (non: economica) dei servizi per il pubblico rispetto a quelli complementari.
La regola non sembra posta in discussione neppure dall’affermazione della possibilità che l’integrazione tra i servizi (per il pubblico, da una parte, ed i servizi di pulizia, vigilanza, biglietteria, dall’altra parte) possa avvenire, anziché mediante la concessione, con il contratto di appalto pubblico (come analogamente introdotto all’art. 115 dello stesso d.lgs. n. 50 del 2016).
La soluzione, in ipotesi innovativa ma sistematicamente eccentrica, dell’utilizzazione dell’appalto in luogo della concessione potrebbe aprire notevoli problemi interpretativi: ma per le dette ragioni la disposizione, visto il suo carattere a tutto concedere innovativo, qui non rileva perché posteriore al caso.
2.2. - Quanto all’assenza di un progetto di valorizzazione dei siti e dei servizi aggiuntivi, in violazione degli artt. 114 e 115 d.lgs. n. 42 del 2004, va rilevato che l’annullamento della lex specialis per le ragioni esposte rende non più utilizzabile, per incompatibilità logica, il progetto culturale predisposto dall’amministrazione. Perciò non vi è interesse alla disamina di tale (sub)motivo.
2.3. – Anche la doglianza sulla durata della concessione, fissata dall’art. 4 del disciplinare in sessanta mesi senza possibilità di rinnovo, è fondata: tale clausola della lex specialis viola l’art. 6 d.m. 29 gennaio 2008, che la determina in quattro anni, rinnovabili per pari periodo. Né vale la norma generale dell’art. 168 del d.lgs. n. 50 del 2016, perché l’art. 6 costituisce disciplina speciale, autorizzata dalla legge. Peraltro, ad escludere un’incompatibilità “sistemica” dell’art. 6, è da ricordare che esso prevede una durata quadriennale che “può” essere rinnovata una sola volta, ed ha il medesimo fondamento di razionalità dell’art. 168, che commisura la durata della concessione alla complessità dell’oggetto e così consente di superare il quinquennio, se necessario per il recupero degli investimenti da parte del concessionario.
3. - L’accoglimento dei detti motivi di appello comporta l’annullamento della lex specialis di gara ed ha dunque efficacia assorbente.
Tale circostanza esime il Collegio dalla disamina del secondo motivo di appello sull’illegittima composizione della Commissione incaricata di valutare le offerte tecniche, e della sostituzione dei commissari per mancanza di criteri predeterminati di trasparenza e competenza di cui all’art. 216, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, in ragione della incompatibilità (dei commissari Lunardini e Frizza), nonché, ancora, in ragione della mancanza di esperienza professionale (dei commissari Mondelli e Mozzo); come pure dalla disamina del terzo motivo, volto a contestare l’assegnazione dei punteggi discrezionali per mancata verifica di ciascuna offerta ai requisiti tecnici minimi previsti dal capitolato.
Infatti l’annullamento della lex specialis travolge l’intera gara, e dunque l’atto di nomina della Commissione e la necessità della sua ripetizione, che non potrebbe svolgersi innanzi alla Commissione nell’originaria composizione e che imporrebbe comunque la rinnovazione dell’attribuzione del punteggio alle offerte tecniche.
4.- Alla stregua di quanto esposto l’appello va accolto. Per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati e declaratoria di inefficacia della concessione stipulata in data 1 settembre 2020 (in termini Cons. Stato, V, 5 ottobre 2017, n. 4647).
La complessità delle questioni giuridiche trattate integra le ragioni che per legge giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati e declaratoria di inefficacia della concessione stipulata in data 1 settembre 2020.
Compensa tra e parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Angela Rotondano, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefano Fantini Giuseppe Severini