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09/11/2020 - Corte dei Conti Sardegna. Il divieto di conferimento di incarichi in quiescenza riguarda anche i lavoratori privati

Tratto da www.lasettimanagiuridica.it

La sezione regionale della Sardegna della Corte dei Conti (90/2020) prende in esame la richieste di parere espressa da un ente locale riguardo la possibilità di conferire conferire la carica di presidente o componente del consiglio di amministrazione di una società partecipata dal comune, interamente partecipata da pubbliche amministrazioni, qualora l’incarico sia conferito a soggetto che seppure in quiescenza svolga una libera professione con regolare iscrizione al relativo albo professionale.

I giudici contabili richiamano il divieto contenuto nell’articolo 5, comma 9 del DL 95/2012, affermando che tale divieto, il cui raggio di operatività è stato diversamente modulato negli anni per effetto di successivi interventi normativi tra i quali spiccano quelli riconducibili al D.L. n. 90/2014 e alla L. 124/2015, risiede nella scelta legislativa di conseguire un duplice obiettivo: favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e, più in generale, supportare l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani nonché conseguire risparmi di spesa, evitando di corrispondere la retribuzione a un soggetto che già gode del trattamento di quiescenza.

Sotto quest’ultimo aspetto, il Collegio si riporta a quanto evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 124/2017 la quale, ancorché resa con riferimento ad altre disposizioni legislative, non manca di rimarcare che “È pur vero che può corrispondere ad un rilevante interesse pubblico il ricorso a professionalità particolarmente qualificate, che già fruiscono di un trattamento pensionistico. Tuttavia, il carattere limitato delle risorse pubbliche giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva – e modellata su un parametro prevedibile e certo – delle risorse che l’amministrazione può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni. Tale ratio ispira, del resto, anche le disposizioni dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, che vietano l’attribuzione di incarichi di studio o di consulenza ai lavoratori pubblici o privati collocati in quiescenza e a tali lavoratori consente di ricoprire incarichi dirigenziali o direttivi o in organi di governo delle amministrazioni solo a titolo gratuito.” Il Giudice delle leggi individua, quindi, nel D.L. n. 95/2012 uno dei “capillari interventi che il legislatore ha scelto di apprestare negli ambiti più disparati” quale “misura di contenimento della spesa pubblica”.

Nella sua versione originaria, la norma in discussione vietava di “attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse (il riferimento è alle “pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per la società e la borsa”) e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell’ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza”.

L’impedimento all’attribuzione di incarichi a soggetti in quiescenza aveva, quindi, una portata più circoscritta rispetto alla formulazione attualmente vigente. In particolare, sul piano soggettivo, la definizione dei soggetti sottoposti al divieto abbracciava unicamente i dipendenti pubblici in quiescenza che avessero svolto nell’ultimo anno di servizio attività analoghe a quelle oggetto di incarico e, sul piano oggettivo, la tipologia di attività vietata era limitata a quella di studio e di consulenza.

Con la novella del 2014 (art. 6 del D.L. n. 90/2014 come modificato, in sede di conversione, dalla L. n. 114/2014) l’ambito del divieto de quo viene esteso arrivando ad abbracciare, sul fronte soggettivo, tutti i “soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza” e giungendo a comprendere, sul fronte oggettivo, anche gli “incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo”. Inoltre, la latitudine applicativa della norma viene espansa con riferimento agli incarichi de quibus in “enti e società” controllati dalle amministrazioni di cui al primo periodo dell’articolo in commento, salvo le eccezioni ivi indicate.

Premesso quanto sopra, con riferimenti al dubbio interpretativo prospettato dal Comune il Collegio ritiene che l’art. 5, comma 9, del D.L. n. 95/2012, nella vigente formulazione, non lascia spazi per soluzioni ermeneutiche divergenti dal chiaro disposto normativo che, espressamente, stabilisce il divieto di conferire cariche in organi di governo non solo nelle amministrazioni pubbliche ivi specificate ma anche nelle società (e negli enti) da esse controllate.

L’ulteriore aspetto su cui si incentra la richiesta di parere formulata dal Comune riguarda la possibilità di conferire incarichi a “soggetto che seppure in quiescenza svolga una libera professione con regolare iscrizione al relativo albo professionale”. Ebbene, sulla scia di precedenti pronunce della giurisprudenza contabile, la Sezione ritiene che tale espressione consenta di includere nel novero dei soggetti a cui è preclusa l’assunzione degli incarichi ex art. 5, comma 9, D.L. n. 95/2012 non solo i dipendenti pubblici in quiescenza ma anche i lavoratori privati in quiescenza, siano quest’ultimi dipendenti o autonomi.

Il Collegio, adendo alle conclusioni in tal senso raggiunte anche in seno ad altre Sezioni della Corte, reputa di non poter seguire la diversa opzione ermeneutica prospettata dal Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione – Dipartimento della funzione pubblica nelle circolari interpretative n. 6/2014 del 04.12.2014 e n. 4/2015 del 10.11.2015 (che, per inciso, non costituisco fonti del diritto) laddove si circoscrive l’ambito applicativo della norma in discorso a “qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza” (circolare n. 6/2014) ed “esclusivamente i lavoratori dipendenti e non quelli autonomi” (circolare n. 4/2015).

Tale ultima interpretazione risulta conferente alla versione originaria del comma 9 in esame ma, di contro, si palesa discordante rispetto all’attuale formulazione della norma che incentra il divieto sui “lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”; una simile locuzione, interpretata alla luce del criterio letterario indicato dall’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale preliminari al codice civile, non può non avere altro senso che quello “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. Nella specie, il tenore letterario della norma induce a concludere che tutti coloro i quali abbiano svolto un’attività lavorativa, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato (quindi sia i lavoratori dipendenti privati che i lavoratori autonomi), qualora collocati in quiescenza, non possono essere destinatari degli incarichi di studio, di consulenza, dirigenziali, direttivi o di cariche in organi di governo da parte delle amministrazioni, negli enti e nelle società specificate dalla norma oggetto di parere.

Ed invero, come osservato dalla Sezione Piemonte, “se il beneficiario del possibile incarico è già collocato in quiescenza, a prescindere dalla natura, dipendente o autonoma, del lavoro svolto prima della quiescenza, trova applicazione il divieto di cui all’art. 5, comma 9, del d.l. 95/2012” e “la possibilità da parte di un ente pubblico territoriale, quale il comune, di conferire cariche in organi di governo di enti e società controllate a soggetti già titolari di pensione, a prescindere da qualunque caratteristica anagrafica dei soggetti beneficiari, è riconosciuta, sulla base della stessa formulazione letterale dell’art. 5 comma 9 del d.l. n. 95/2012, solo nel caso in cui l’incarico sia a titolo gratuito.” (SRC Piemonte n. 66/2018/PAR).

Per completezza espositiva, si aggiunge che l’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali si muove nella medesima direzione della giurisprudenza contabile, tanto che nell’Atto di indirizzo adottato ai sensi dell’art. 154, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – TUEL) ed avente ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 5, comma 9, del D.L. n. 95/2012, ha ritenuto che tale disposizione “in quanto generalmente riferita a lavoratori in quiescenza, trova applicazione sia per i lavoratori dipendenti che per i lavoratori autonomi” (Atto di indirizzo approvato in data 24 maggio 2019).

 

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