18/03/2020 - Disciplina e principi della Legge 241/1990 nel procedimento amministrativo.
tratto da ildirittoamministrativo.it
Disciplina e principi della Legge 241/1990 nel procedimento amministrativo.
Rispetto ad una disposizione di legge regionale (nella specie, la legge regionale Veneto 7 settembre 1982, n. 44, “Norme per la disciplina dell'attività di cava” ora abrogata dalla legge regionale 16 marzo 2018, n. 13) che configuri un generale potere di revoca per l’intervento di elementi sopravvenuti, tale potere non può che rientrare in quello generale di revoca degli atti amministrativi.
In attuazione del principio di conservazione degli atti, il potere di revoca può essere esercitato anche con una revoca parziale.
Il potere di revoca deve essere esercitato conformemente ai principi generali, successivamente codificati dall’art. 21 quinquiesdella legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo modificato dalla legge 11 febbraio 2015, n. 15, comunque applicabili anche agli atti precedentemente adottati, in base ai principi già elaborati dalla giurisprudenza, in relazione alla valutazione della sussistenza di un interesse pubblico attuale alla revoca anche in considerazione dell’affidamento ingenerato nel privato: l’atto di revoca, infatti, anche se per sua natura ampiamente discrezionale, deve dar conto del raffronto con l’interesse privato sotteso all’atto oggetto di revoca.
La revoca, infatti, si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione di un atto ad efficacia durevole, in esito ad una nuova e diversa valutazione dell'interesse pubblico.
I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendisono definiti dall'art. 21 quinquies,con formule lessicali volutamente generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto, imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento e in una rinnovata e diversa valutazione dell'interesse pubblico originario. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione procedente.
Peraltro, la previsione normativa dell’art. 21 quinquiesdella legge n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce anche dei principi generali dell'ordinamento della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa, che implicano il rispetto della imparzialità e della proporzionalità, per cui la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare: non è, pertanto, sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell'atto originario; le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell'atto originario; la motivazione della revoca deve esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico, ma anche la prevalenza di tale interesse pubblico su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.
In attuazione del principio di conservazione degli atti, il potere di revoca può essere esercitato anche con una revoca parziale.
Il potere di revoca deve essere esercitato conformemente ai principi generali, successivamente codificati dall’art. 21 quinquiesdella legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo modificato dalla legge 11 febbraio 2015, n. 15, comunque applicabili anche agli atti precedentemente adottati, in base ai principi già elaborati dalla giurisprudenza, in relazione alla valutazione della sussistenza di un interesse pubblico attuale alla revoca anche in considerazione dell’affidamento ingenerato nel privato: l’atto di revoca, infatti, anche se per sua natura ampiamente discrezionale, deve dar conto del raffronto con l’interesse privato sotteso all’atto oggetto di revoca.
La revoca, infatti, si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione di un atto ad efficacia durevole, in esito ad una nuova e diversa valutazione dell'interesse pubblico.
I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendisono definiti dall'art. 21 quinquies,con formule lessicali volutamente generiche e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto, imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento e in una rinnovata e diversa valutazione dell'interesse pubblico originario. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione procedente.
Peraltro, la previsione normativa dell’art. 21 quinquiesdella legge n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce anche dei principi generali dell'ordinamento della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa, che implicano il rispetto della imparzialità e della proporzionalità, per cui la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare: non è, pertanto, sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell'atto originario; le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell'atto originario; la motivazione della revoca deve esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico, ma anche la prevalenza di tale interesse pubblico su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.