18/03/2020 - Criteri per definire i canoni di locazione degli alloggi erp: reddito da lavoro dipendente e reddito da lavoro autonomo
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Criteri per definire i canoni di locazione degli alloggi erp: reddito da lavoro dipendente e reddito da lavoro autonomo
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Il reddito da lavoro è uno degli indicatori posti alla base dei calcoli che gli enti gestori delle case popolari sono chiamati ad operare per determinare i canoni di locazione degli assegnatari, inquadrandoli in apposite fasce. È accaduto che la fonte di reddito sia apparsa discriminante rispetto all’esito dell’inquadramento, e dunque della determinazione del canone, come deciso dal T.A.R. Lombardia nella sentenza n. 297 del 13 febbraio 2020. La vicenda giudiziaria che ha coinvolto il Giudice milanese ha interessato un privato assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, che ha impugnato il provvedimento con cui il gestore del patrimonio ERP respingeva il suo reclamo relativo alla determinazione dei nuovi canoni di locazione con riguardo all’abitazione di edilizia popolare assegnata.
In sostanza, il gestore ha inquadrato il ricorrente in una determinata fascia, alla quale corrispondeva una specifica quantificazione del canone di locazione, in forza del reddito effettivo e della situazione anagrafica dichiarata. Il reclamo si è basato sulla mancata accettazione di tale inquadramento, allo scopo di poter beneficiare di un inquadramento diverso e, di conseguenza, di un canone inferiore.
Il ricorrente ha in particolare lamentato una valutazione vaga e indeterminabile dei dati anagrafici a fondamento della propria decisione. Inoltre, il reclamo evidenziava l’erroneità della decisione dell’ente rispetto alla determinazione del reddito, derivante da un’attività da lavoro autonomo consistente nello svolgimento di servizi stagionali di prenotazione e gestione di locali di terzi per bed & breakfast, che più correttamente si collocherebbe nella prima fascia più economica. L’ingiustizia della decisione risiederebbe, a dire del ricorrente, nel mancato inserimento nella categoria più bassa dei collaboratori o portatori di partita iva, a prescindere dal reddito percepito. Incongruenza che si trova innanzitutto nella normativa regionale, per la quale è stato richiesto l’incidente di incostituzionalità.
Controversie in merito alla quantificazione del canone erp: profili di giurisdizione
È utile soffermarsi sulla soluzione offerta dal Collegio all’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, motivata in ragione dell’oggetto della controversia, inerente alla concessione di un bene. In realtà, ha affermato il Giudice milanese, non si tratta di concessione di un bene, in quanto la cessione degli alloggi ERP avviene sulla base di un contratto di locazione, a seguito di una procedura amministrativa finalizzata alla predisposizione di graduatorie per la individuazione dei soggetti assegnatari di un alloggio, in esito alla quale si instaura – previa stipula del contratto - un rapporto tra Amministrazione e assegnatario che prevede il godimento dell’alloggio da parte dell’assegnatario dietro il pagamento di un canone predefinito. Ne deriva – sempre secondo il T.A.R. Lombardia, sentenza n. 297/2020 – con riguardo sia all’attività amministrativa volta alla selezione dei soggetti con i quali instaurare il rapporto di locazione di un alloggio ERP, sia all’attività finalizzata alla determinazione dei relativi canoni, non viene in rilievo un rapporto di concessione di beni pubblici. Allo stesso modo, non ci troviamo nemmeno nell’alveo della giurisdizione esclusiva, ma ad assumere rilievo è il tradizionale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata rispetto ad una lamentata carenza o cattivo uso del potere amministrativo. Se questo è il criterio, la soluzione è che la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, poiché si contesta la valutazione effettuata dall’ente gestore – nell’esercizio del relativo potere attribuito dalla legge – circa il possesso in capo alla ricorrente dei requisiti necessari per la sua collocazione nell’area dell’accesso anziché in quella della protezione, ai fini della determinazione del corrispondente canone.
L’esito dell’istruttoria
Nel merito, il Collegio ha rigettato tutte le doglianze riferite ad un difetto di istruttoria o a sua erroneità. In particolare, con riguardo al tema dell’inquadramento reddituale, dal tenore delle norme regionali interessate, che sono quelle della L.R. n. 27/2009, Lombardia, emerge con chiarezza che la soluzione applicata dall’ente gestore non poteva essere diversa. Infatti, la situazione reddituale del ricorrente, derivante da lavoro autonomo, non è prevista in nessuna delle categorie utili per l’inserimento nella classe di protezione, cioè la più bassa. Anzi, si dice in conclusione che per i nuclei familiari con tipologia di reddito diversa, l’incidenza massima del canone sull’ISE è comunque non inferire ad un determinato valore, che di fatto inquadra la domanda nel valore superiore a quello minimo.
Questione di legittimità costituzionale delle norme sul reddito
Per quanto abbia ritenuto corretto l’esito dell’istruttoria, il Collegio ha considerato rilevante ai fini del decidere, e non manifestamente infondata, la questione d’illegittimità costituzionale sollevata dalla difesa con riferimento all’art. 31 della citata L.R. n. 27/2009, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui le disposizioni sopra richiamate - comma 3, ultimo capoverso, e comma 4, lett. a) e lett. b) – non consentono la collocazione nell’area della protezione a soggetti che percepiscono redditi da lavoro autonomo, a prescindere dall’ammontare del reddito percepito.
Secondo il rimettente, le norme in questione violerebbero l’art. 3 della Costituzione, perché sottopongono a un trattamento differenziato situazioni di precarietà economico-reddituale analoghe o addirittura identiche (in quanto caratterizzate dal possesso di un reddito in entrambi i casi al di sotto di determinate soglie) a quelle definite espressamente nelle norme, senza che debba rilevare in contrario che il reddito posseduto derivi da lavoro autonomo anziché da pensione, lavoro dipendente o assimilato.
Sono, per il Collegio, situazioni di debolezza economica non dissimili tra loro, non potendosi distinguere, sotto il profilo della capacità di far fronte al pagamento di un canone locatizio ERP, la condizione del soggetto che percepisca entrate esigue da lavoro dipendente o da pensione, dalla condizione di altro soggetto che tragga un reddito di pari ammontare dallo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo.
La disparità di trattamento descritta, come visto rispetto alle conseguenze in termini di inquadramento circa l’ammontare del canone, si risolve in questo caso in un trattamento deteriore e penalizzante per la parte che ricava il proprio reddito dal lavoro autonomo rispetto a chi invece percepisce una pensione o un reddito da lavoro dipendente.
Accesso all’erp e stranieri: regime delle dichiarazioni sostitutive
In un altro caso, lo stesso Tribunale milanese (sentenza n. 208/2019) ha fornito un’interessante pronuncia relativamente al valore da attribuire ad una dichiarazione di impossidenza presentata da uno straniero. Una dichiarazione sostitutiva proveniente da un cittadino dell’Unione o extracomunitario, relativa a situazioni esistenti fuori dall’Italia e diretta ad una pubblica amministrazione italiana, potrà essere ammessa solo se a favore di quest’ultima sono disponibili mezzi di controllo adeguati, corrispondenti a quelli di cui dispone rispetto alla dichiarazione resa in Italia dal cittadino italiano. Le verifiche devono potersi eseguire direttamente o indirettamente, e cioè con l’apporto prestabilito dell’Autorità estera del luogo interessato. In mancanza di mezzi di verifica adeguati, l’interessato dovrà produrre i certificati indicati dall’art. 3, comma 4, D.P.R. n. 445 del 2000 (certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all'originale). Oppure, in caso d’impossibilità oggettiva, il console in Italia dello Stato straniero potrà certificare il fatto richiesto, pur non essendo il depositario istituzionale dei relativi dati, effettuando in proprio e direttamente le indagini necessarie a consentire ad esso di raggiungere la prova della veridicità dei dati stessi.