12/03/2020 - E' del giudice ordinario la giurisdizione tra le controversie inerenti la mobilità del passaggio del personale tra le pubbliche amministrazioni
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
E' del giudice ordinario la giurisdizione tra le controversie inerenti la mobilità del passaggio del personale tra le pubbliche amministrazioni
di Federico Gavioli - Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La mobilità per passaggio diretto tra pubbliche Amministrazioni e quindi, anche tra pubblica Amministrazione e soggetto privato integra una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro e, quindi, una cessione del contratto, per cui la giurisdizione sulla controversia a essa relativa spetta al giudice ordinario; il T.A.R. del Lazio con la sentenza n. 2181, del 18 febbraio 2020, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un dipendente contro il Comune in relazione alla delibera di giunta che ha disposto il passaggio di personale comunale dipendente ad una SRL in house.
Il contenzioso
La vicenda trae origine dal fatto che a seguito di concorso pubblico del quale risultava vincitrice, la dipendente ricorrente veniva assunta dal Comune , a decorrere dal 1 gennaio 2010, a tempo pieno e a tempo indeterminato con il contratto collettivo previsto per gli enti locali, con l'inquadramento nella categoria "D-3 - profilo professionale di farmacista collaboratrice", con le seguenti mansioni: provvedere "alla gestione tecnica/amministrativa della farmacia, avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche del profilo e assumendone le connesse responsabilità previste da norme legislative e regolamentari", nonché coordinare "l'attività di altro personale inquadrato nelle posizioni inferiori".
In seguito l'ente locale costituiva una società in house per la gestione delle farmacie comunali, sotto forma di SRL, alle cui dipendenze non transitava la ricorrente, che rimaneva alle dirette dipendenze del Comune.
In seguito il Comune, tramite gara a evidenza pubblica, cedeva per un periodo trentennale il 49% delle quote della suddetta società a un socio privato.
Con Delibera di Giunta del dicembre 2019, oggetto dell'impugnazione davanti al TAR, l'ente locale disponeva il passaggio dei dipendenti della farmacia comunale, compresa la ricorrente, alla società in house, con decorrenza dal 02/01/2020, per trasferimento attività.
Cioè disponeva il cambiamento di status della ricorrente da pubblico a privato.
La dipendente ha impugnato, come detto, il ricorso davanti al TAR.
Controversie relative ai rapporti di lavoro nel pubblico impiego
L'art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dal titolo "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" afferma che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni , ad eccezione di quelle relative alle controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti.
Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi.
L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.
Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all'assunzione, ovvero accerta che l'assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.
Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l'amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare la sanzione, in applicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato.
Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 28, L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall'ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva.
La società in house: cenni
Con l'espressione in house providing, si fa riferimento all'affidamento di un appalto o di una concessione da parte di un ente pubblico in favore di una società controllata dall'ente medesimo, senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica, in virtù della peculiare relazione che intercorre tra l'ente pubblico e la società affidataria.
La società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un "ufficio interno" dell'ente pubblico che l'ha costituita, una sorta di longa manus; non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale ma solo formale.
Queste caratteristiche della società in house giustificano e legittimano l'affidamento diretto, senza previa gara, per cui un'amministrazione aggiudicatrice è dispensata dall'avviare una procedura di evidenza pubblica per affidare un appalto o una concessione. Ciò in quanto, nella sostanza, non si tratta di un effettivo "ricorso al mercato" (outsourcing), ma di una forma di "autoproduzione" o, comunque, di erogazione di servizi pubblici "direttamente" ad opera dell'amministrazione, attraverso strumenti "propri" (in house providing).
La società in house, infatti, avrebbe della società solo la forma esteriore, costituendo, in realtà, un'articolazione in senso sostanziale della pubblica amministrazione da cui promana e non un soggetto giuridico ad essa esterno e da essa autonomo.
Una tale configurazione, si giustifica in base al fatto che solo quando la società affidataria è partecipata in modo determinante dall'ente pubblico, esercita in favore del medesimo la parte più importante della propria attività ed è soggetta al suo controllo in termini analoghi a quello in cui si esplica il controllo gerarchico dell'ente sui propri stessi uffici, non sussistono esigenze di concorrenza e, quindi, si può escludere il preventivo ricorso a procedure di evidenza pubblica.
Per l'individuazione dell'in house sono richiesti tre requisiti: 1) controllo analogo; 2) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'ente controllante; 3) partecipazione totalitaria.
Ai fini dell'in house, l'espressione "controllo" non starebbe ad indicare l'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è in grado di esercitare sull'assemblea della società, ma individuerebbe "un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente con modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale" .
Il D.Lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), stabilisce, in linea con quanto prescritto dalle direttive comunitarie (cfr. art. 12 della direttiva cd. appalti), che gli statuti delle società in house debbano prevedere che "oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci", ma, innovando rispetto ad esse, consente che "la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economia di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società".
La sentenza del giudici amministrativi
Il T.A.R. dopo aver esaminato il ricorso lo dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione.
Infatti, osservano i giudici di prime cure, il Giudice regolatore della giurisdizione ha avuto modo in più occasioni di affermare il principio che la mobilità per passaggio diretto tra pubbliche Amministrazioni (e quindi, anche tra pubblica Amministrazione e soggetto privato) integra una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro e, quindi, una cessione del contratto, per cui la giurisdizione sulla controversia a essa relativa spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui all'art. 63, comma 4, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (cfr. Cass. Civ., Sez. un., 17 dicembre 2018 n. 32624).
Il T.A.R. osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l'atto impugnato non può in alcun modo essere ricondotto alla categoria degli atti di macro organizzazione (la cui giurisdizione a conoscere delle relative controversie spetterebbe al giudice amministrativo), che sono solo quelli attraverso i quali le Amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi.
Le conclusioni
Il Tribunale Amministrativo Regionale, definitivamente pronunciando sul ricorso , lo dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 1.000,00, oltre accessori.